NICE TO MEET YOU:

TROPICO

di Federico Ledda

NICE TO MEET YOU:

TROPICO

di Federico Ledda

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Siamo circondati da nuova musica, ogni giorno una release: un brano, un album, un featuring. È difficile potersi affezionare a qualcosa perché nel momento in cui è fuori è già superata dalla prossima. Così facendo, una domanda però è lecita: chi rimarrà nei nostri cuori e nelle nostre orecchie? Chi supererà il marasma da release e rimarrà degno di nota? È impossibile saperlo di per certo. 
Uno su cui si può scommettere è, però, Davide Petrella in arte Tropico. Con all’attivo il suo album di debutto Non Esiste Amore a Napoli, Davide è già nel business da anni, firmando moltissimi singoli di successo. Basti pensare a brani come Poetica di Cesare Cremonini, Pamplona di Fabri Fibra e i Thegiornalisti o Rolls Royce di Achille Lauro, si potrebbe di sicuro ammettere che Tropico è da sempre nelle nostre orecchie.
Il suo primo lavoro come cantante, però, ha un sapore decisamente diverso. Delicato, dolce ed estremamente fresco, “Non Esiste Amore a Napoli” è un disco interessante, che si posiziona tra i nostri preferiti rilasciati quest’anno. Davide questo lavoro lo sa fare, lo si sente in tutto il progetto. La cura estrema che ha nel fotografare gli attimi di cui parla nei suoi testi, fa pensare che l’artista avrà un futuro celeste anche come cantante. Attraenti anche i featuring, in particolare quello con Calcutta nel brano che dà il titolo al disco.
Insieme, abbiamo fatto un’interessante chiacchierata cercando di capire meglio la divisione tra Davide Petrella e Tropico.

Di cosa parla il tuo nuovo progetto?

Di relazioni. La cosa più preziosa che conosca al momento. Volevo che questo disco fosse istantaneo. Volevo che parlasse subito alla gente, dal primo secondo di ogni canzone, in maniera diretta, faccia a faccia… Volevo roba sincera, che sapesse di vita, come dovrebbero essere le cose che legano le persone di questi tempi.

Sei una penna molto ammirata nel panorama musicale italiano: com’è essere dall’altra parte?

Dall’altra parte ci sto da quando sono un ragazzino. Sto in giro in strada per la musica da quando stava morendo MTV. Non ho mai voluto scegliere la strada giusta, forse mi ha sempre affascinato di più andare dove non vanno gli altri. Per me la musica è della gente, non degli addetti ai lavori… ho l’illusione di pensare che quando si accenderà una luce più grande sulla mia musica sarà solo perché lo ha deciso la gente. Per me conta solo quello. Ci sto male perchè tutti gli sforzi incredibili che facciamo non sono già sotto riflettori più grandi, ma non cambierei per nulla al mondo la sensazione di sentirmi un artista libero, che non può comprare nessuno e nessuna logica di mercato.
Io vado solo per l’arte, per la musica e per la gente. È così sarà per sempre.

Quando hai capito di voler “metterci la faccia”?

Ci metto la faccia da quando sono un ragazzino, ho cominciato a suonare in giro che avevo 16 anni, ho avuto diversi progetti, sono stato in una band, sono stato da solo, ma io ho sempre fatto musica in primis per me. Il grande errore dell’Italia è che ci comportiamo come un piccolo quartierino di addetti ai lavori e si fa sempre lo stesso errore, di concentrare tutta l’attenzione su poche cose. Dovremmo imparare a cercare davvero la musica, le cose più ben fatte e che più mi emozionano fanno un 100esimo dello streaming degli artisti in hype, ma sono veri giganti in confronto.

Sei sempre riuscito a essere riconoscibile pur avendo molti artisti a interpretare le tue parole. E’ stato difficile scrivere per te stesso? In che modo è stato diverso?

Io non ho cominciato come autore, ma come artista in prima persona. Scrivere per altri artisti è una roba che è arrivata molto dopo, per caso.
Quando scrivo per me lo so dal primo istante perché sono cose che posso cantare e portare solo io: ogni artista ha le sue caratteristiche, io ho le mie e riconosco dal primo istante quando sto parlando di me. Scrivere per altri è un’altra storia, devi entrare nel linguaggio di un altro e trovare la chiave per il suo pubblico… è molto divertente e stimolante per uno che scrive sempre tanto come me, mi permette di stare sempre con le antenne dritte, di capire che succede al linguaggio, alla melodia e alla scrittura, mi permette di restare curioso sempre.

Molti sono stati gli amici che hanno collaborato a questo progetto. Chi è quello di cui ti fa più piacere?

Tutti. Io non faccio featuring fini a se stessi, se scelgo di collaborare con qualcuno è perché penso che insieme si può fare bella musica, viva.

E il featuring che invece avresti voluto?

Vasco.

Quali sono i tre punti fondamentali per scrivere un brano di successo?

Non esistono regole. Chi pensa di avere una qualche verità in tasca è un cialtrone.
L’unica cosa che conta è l’istinto, è una roba piuttosto animale cercare una canzone, non lo impari da nessuno.

Quale brano (nuovo o vecchio) avresti voluto scrivere tu?

Malafemmena.

Se dovessi definire il tuo album con un termine, quale sceglieresti e perché?

Spero di non dover mai semplificare così tanto la mia musica da ridurla ad una parola sola. Decide la gente.

Un brano che ascolti spesso ultimamente?

Please please please let me get what I want degli Smiths.
In questo periodo Morrissey ha la voce giusta.



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