IL RITORNO DEI

CATS ON TREES

di Federico Ledda

IL RITORNO DEI

CATS ON TREES

di Federico Ledda

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I loro primi due album, pubblicati rispettivamente nel 2013 e nel 2018, hanno avuto un successo straordinario: enormi risultati in airplay e numeri sensazionali su tutte le piattaforme di streaming. Dopo un tour durato due anni che li ha visti in giro per tutta la Francia, i Cats on Trees ritornano con “Alie”, il loro nuovo progetto. In seguito ad aver raggiunto settantacinque milioni di play e aver venduto oltre trecentomila copie, il duo francese ha dato vita a un lavoro intimo, delicato ed estremamente sincero. Una meravigliosa amicizia la loro, che nel corso degli anni li ha aiutati a definire un sound elettronico ed elegante. Secondo i due, “Alie” è il miglior disco che abbiano mai fatto ed è difficile non dargli ragione. Grazie alla loro estrema onestà, l’album è un fondamentale strumento di analisi che potrebbe essere utile a chiunque lo ascolta.

Di che cosa parla il vostro nuovo album “Alie”?

È un omaggio ad Alie, una componente del nostro staff. Abbiamo deciso di dedicarle una canzone in quanto è una persona stupenda da avere intorno: ci fa sempre ridere, nel suo lavoro è formidabile e sprizza gioia da tutti i pori. Purtroppo, come succede a molte persone “felici”, ha avuto grossi problemi nella sfera privata e difficoltà a mettere ordine nella sua vita. Questo brano è nato quindi per tirarle su il morale. Quando quindi dovevamo scegliere il nome del nostro nuovo progetto, ci è sembrato estremamente naturale chiamarlo come il nostro brano e, soprattutto, come la nostra Alie.

Come descrivereste il nuovo progetto?

Onesto. Credo sia il nostro lavoro migliore. Lavorarci è stato gioioso, leggero. Lo abbiamo realizzato nel nostro piccolo studio domestico, con un pianoforte e dei drumstick mentre bevevamo vino e cucinavamo l’uno per l’altra.

Per l’occasione avete lavorato con produttori come Liam Howe e Spike, che prima di voi hanno collaborato con artisti come Adele e Landa del Rey. Com’è stato averci a che fare?

Lavorare con Liam Howe è stato pazzesco. Per colpa del covid e delle restrizioni a viaggiare, non abbiamo avuto l’occasione di incontrarci e siamo stati obbligati a fare tutto da remoto. Nonostante questo, siamo davvero contenti del rilassante ambiente che siamo riusciti a creare insieme. Spike si è invece occupato del missaggio e devo ammettere che è riuscito a portare la nostra musica dentro una nuova dimensione. D’altronde quando uno si occupa dei lavori di artisti tipo Lorde ed Ed Sheeran, non ci si può che aspettare il meglio.

Il vostro nuovo singolo “She Was A Girl” è stato ispirato dal documentario “Petite Fille” di Sebastien Lifshitz che racconta di una bambina nata nel corpo di un bambino. In che modo vi ha influenzato?

Ci ha estremamente toccato. Mentre lo guardavamo volevamo urlare per aiutarla e per fermare l’ignoranza. Il brano poi è nato in maniera molto naturale mentre mi trovavo ad Amsterdam per le feste.

In che modo avete scelto il brano “Please, Please, Please” come primo singolo?

È stata una scelta piuttosto facile. Avevamo questa melodia che ci girava in testa da molto tempo, penso sia uno dei pezzi migliori che abbiamo mai fatto. Tuttavia è stata completata con la chiusura del progetto.

Come nasce una canzone dei Cats On Trees?

Quando scriviamo un brano lo facciamo in base a ciò che ci viene in mente. Può essere una frase, una melodia. Quando arriva l’ispirazione è importante non perderla, quindi registriamo immediatamente sulle note del telefono e questa cosa può succedere ovunque, da quando siamo sotto la doccia a quando siamo in bici. Ogni traccia quindi può nascere in maniera diversa, ricordo che prima della pandemia lavoravamo ogni giorno fino alle 18, come se fosse un ufficio. Con il lockdown siamo stati separati e quindi abbiamo dovuto cambiare metodo e credo che la nostra musica si completa grazie a questa cosa: a me piace lavorare la notte, Nina preferisce la mattina.

Ascoltando il progetto si notano diverse canzoni in francese, la vostra lingua madre. È la prima volta che dedicate così tanto spazio alla vostra lingua natia. Da dove arriva questa scelta?

È stato proprio uno degli obiettivi quello di concentrarci sulla nostra lingua. È sempre una sfida per noi cantre in francese, ci sentiamo più vulnerabili. Ricordo che durante l’ultimo tour cantavamo “Les Bateaux”, un brano dalla forte intensità che mi faceva piangere quasi a ogni concerto. In più poi c’è da valutare l’aspetto della comprensione, cantando nella nostra lingua veniamo capiti da tutti e siamo quindi nudi al 100%, il che è un’arma a doppio taglio.

Cosa pensate della scena musicale francese?

Siamo grandi fan dei Phoenix, Air e Daft Punk, che sicuramente hanno contribuito in maniera imponente alla definizione del nostro sound. Ci hanno dato qualcosa in cui credere e sono tutte band con una forte identità sonora, cosa che spero si possa dire anche di noi. Devo dire però che siamo da sempre tremendamente innamorati del vostro paese. È la patria di Fellini e Pasolini, i miei registi preferiti e così come la Francia anche voi avete artisti di rilevanza mondiale. Se penso ad Ennio Morricone, Giorgio Moroder e anche ai Maneskin, sono tutti esempi di come il vostro paese è grande nel mondo.