DENTE,

WE MISSED YOU

di Michela Luciani

DENTE,

WE MISSED YOU

di Michela Luciani

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Abbiamo scambiato qualche pensiero con Dente che, dopo una lunga attesa, è tornato sulla scena con un disco omonimo, in cui viene abbandonata la retorica e i giri di parole per lasciare spazio ad uno stile diretto, confidenziale e sincero. Ci vuole del coraggio per accettare i cambiamenti e saperli assecondare, ma del resto ci vuole del coraggio anche per dire “sono io anche se non voglio”. Così ritroviamo un Dente un po’ diverso, ma sempre eccezionalmente uguale.

Per la prima volta hai deciso di mettere la tua faccia in copertina, di chiamare il disco semplicemente Dente, di farlo uscire il giorno del tuo compleanno e di abbandonare la chitarra. Queste sono le particolarità evidenti, mi parli invece di quelle più nascoste di questo album?

Ci sono sicuramente delle cose più nascoste, nonostante sia un disco molto più diretto rispetto al solito, ci sono comunque delle cose celate che sono ad esempio la modalità in cui è stato fatto rispetto ai precedenti, la modalità di lavoro è stata molto diversa. Ho abbandonato la modalità di autarchia totale con cui ho sempre lavorato perché mi è sempre piaciuto lavorare tanto alle mie cose e mettere mano a tutto, essere molto presente e perfezionista. Un’altra particolarità è che non ho suonato niente, ho lasciato che suonassero altre persone e che mettessero delle energie dentro a queste canzoni per riuscire a farle suonare diverse da quello che avevo fatto prima, ho sentito il bisogno di coinvolgere altra gente che potesse dare dei colori nuovi alla mia musica, queste sono le cose che non si vedono e che paradossalmente sono anche in contrapposizione con la mia faccia in copertina ed il nome dell’album come dicevi tu.

Il cambiamento della scena indie ha influito su questa necessità di evoluzione?

Si sicuramente ha influito, tutto quello che è successo ha influito, anche nella scrittura e nell’accelerare il mio desiderio di fare cose diverse, nel farmi capire che dovevo fare delle cose musicalmente più contemporanee che è una cosa che non ho mai fatto, sono sempre andato a cercare nel passato il conforto delle cose fatte in un certo modo, come una volta. Invece mi è venuta una voglia matta di fare una cosa contemporanea, quindi un disco che esce nel 2020 e che suona come un disco del 2020 (ride, ndr) sembra una cosa abbastanza normale detta così però insomma, per me non lo era affatto.

Si parla spesso dei padri della scena e tu sicuramente fai parte di questi, ti ci senti? Che rapporto hai con la nuova invece?

Non sta a me ovviamente dire se sono il padre della scena indie, non so se mi ci sento anche perché non sono l’unico che ha fatto musica fino a ieri, ecco (ride, ndr).
Sicuramente la nuova scena l’ascolto, la seguo, ci sono cose che mi piacciono molto e la cosa buffa è che qualcuno dice che io ho influenzato loro ma alla fine anche loro hanno influenzato me, questo mi fa sorridere. Sicuramente qualcosa di tutte le cose nuove che ho ascoltato è entrato, non ho dubbi. È un circolo di influenze… anche se dire così oggi è una bruttissima frase scusate (ride, ndr). Però è così, quello che ho seminato mi è tornato indietro.
Mi è piaciuto tantissimo il disco di Fulminacci per esempio, mi piace tanto anche Coez che è entrato un pochino in quello che ho fatto, lui l’avevo conosciuto in tempi non sospetti… l’avevo invitato prima della grande esplosione a cantare Faccio un casino ad un mio concerto a carroponte, ho sempre trovato avesse un tipo di scrittura molto onesta e sincera.

Il tema dell’amore è sempre stato un elemento molto presente nel tuo lavoro, anche nella versione più disillusa come l’amore non è bello, in questo album c’è solo un brano che parla d’amore, fa anche questo parte del tuo processo di cambiamento?

Prima spesso parlavo d’amore in modo negativo, anzi più che in modo negativo ne parlavo quando non c’era più, di quando finiva, quando si rompeva e andava aggiustato. Invece ora, visto che funziona, non ho più sentito il bisogno di scrivere. Ho deciso di scrivere solo un brano che parla di quello che sta succedendo, non di ricordi o di rimpianti è una canzone di contemporaneità anche questa.

“Tra 100 anni” è una proiezione al futuro, la mia vita precedente guarda al passato, qual è la canzone che invece guarda più al presente di Dente?

Bella domanda, probabilmente la prima canzone del disco è una canzone che sento molto presente, è un pezzo se vuoi un po’ sofferto di un momento un po’ cupo, però ci trovo tanti elementi che ancora mi emozionano quando la sento e che fanno parte di me ancora in questo momento. A volte le canzoni le scrivi in momenti di rabbia, di felicità o illusione e poi magari passano, anche in tempi brevi, questa canzone invece la sento ancora dentro.

Sarà la musica a cambiare il mondo, dici. Hai mai avuto la sensazione che la tua musica potesse farlo davvero e quindi sentito il peso delle tue parole?

No, so che la musica può cambiare le persone tantissimo, a me la musica ha cambiato la vita, non solo da quando ho iniziato a farla, da prima ancora quando ero ascoltatore. Credo che abbia delle capacità magiche per cambiare le persone e cambiando le persone cambia inevitabilmente anche il mondo, solitamente in meglio e questa è un’altra cosa magica della musica non ho mai sentito qualcuno che attraverso la musica è diventato uno stronzo (ride, ndr).
Quando scrivo io ovviamente non ci penso e forse non ci devo nemmeno pensare.

A proposito di parole, le hai sempre usate in modo molto acuto e con piacevoli giochi ed intrecci. Che rapporto hai con la parola e la letteratura?

Ho un buonissimo rapporto, mi piace tantissimo la parola, la letteratura, sono un lettore accanito. Mi piacerebbe molto anche scrivere altro oltre alla musica, non ho ancora trovato il tempo per farlo ma mi ha sempre affascinato, quando ho cominciato a fare cose da ragazzino ho cominciato a scrivere, il suonare è venuto ben dopo quando ho cominciato a musicare ciò che avevo scritto.
È nata sicuramente prima la passione per la letteratura e per la poesia, la musica è arrivata per completare il quadro.

Mi sembra che questa rotta sia un po’ stata abbandonata però, come mai?

È una cosa che è venuta abbastanza naturale, non ci ho pensato. Guarda coso è arrivato in un momento di abuso del gioco di parole nella musica Italiana, forse è stato questo che inconsciamente mi ha un pochino frenato, non saprei ci sto ragionando eh… non essendo stata una scelta. È venuto naturale e va bene così, le cose che vengono naturali devono essere accettate.

Parliamo un po’ del tour che avrà inizio a breve, cosa dobbiamo aspettarci ora che hai perso la tua copertina di Linus? (la chitarra acustica)

Sicuramente dobbiamo aspettarci di vedermi seduto al pianoforte un po’di più, imbracciare una chitarra elettrica cosa che non era mai successo prima, ma la chitarra acustica non l’abbandono completamente perché qualche grande classico lo ripropongo con l’acustica. Quando ho fatto le due anteprime a dicembre ho fatto un esperimento, ho usato solo l’elettrica e ri-arrangiato alcuni pezzi che venivano molto bene anche così, ma per questo giro ho pensato potessero tornare nei loro panni. Alcune sono tornate dentro le loro scarpe, altre canzoni di repertorio sono state ri-arrangiate in modo che si avvicina di più al nuovo disco, due o tre canzoni le abbiamo rimaneggiate completamente mantenendone però sempre la linea melodica, che è una cosa a cui tengo molto, come ascoltatore non mi piace quando vado a vedere un concerto e sento una canzone che io ho in testa in un modo completamente stravolta, come Bob Dylan che le riconosci solo se stai ad ascoltare il testo, il ri-arrangiamento va bene, il cambio di sonorità anche ma la melodia deve rimanere quella, perché la gente vuole sentire quello.



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