IL NEOREALISTA

DODICIANNI

di Federico Ledda

IL NEOREALISTA

DODICIANNI

di Federico Ledda

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Di un’intensità disarmante e dallo stile unico ecco Dodicianni, il sound che cercate per le vostre playlist. Andrea Cavallaro è un artista a tutto tondo: cantautore, pianista e compositore ha fatto della sua personalità il suo marchio di fabbrica diventando sin da subito estremamente riconoscibile. Dopo un inizio di carriera messo in pausa per qualche tempo, l’artista torna a dedicarsi al suo percorso diventando, tra gli altri progetti, opening act per il tour europeo di Calcutta. Dodicianni è anche conosciuto nel panorama dell’arte contemporanea grazie alle sue performance spesso scioccanti e provocatorie che lo hanno portato a girare gallerie internazionali come la Grund di Berlino e il Museion di Bolzano. Tra le sue performance più note, “No Frame Portrait”, da cui è derivato l’album omonimo di piano solo, e la più recente “Il peso delle parole”, dedicata alla sensibilizzazione sul tema dell’immigrazione. Andrea è instancabile ed è estremamente interessante vedere la sua costante evoluzione progetto dopo progetto. L’ultimo? Il brano mio padre scrive per il giornale, suo nuovo singolo.

Di che cosa parla il tuo nuovo singolo?

Questo pezzo parla di incomunicabilità e di aspettative deluse, di tutte quelle volte che non ci sentiamo capiti dalle persone alle quali abbiamo dato fiducia e per le quali ci plasmiamo nel nome del quieto vivere. E’ una messa in scena necessaria per sopravvivere ma che chiaramente chiede un prezzo che si chiama frustrazione; il mio obiettivo, con questo pezzo, era farla percepire.

Hai un’estetica molto precisa ed elegante. Quanto credi sia importante l’immaginario artistico per un emergente?

Credo sia importante sempre in realtà, se penso ai miei artisti preferiti farei fatica ad immaginarli totalmente spogliati dal proprio immaginario. Non so se sarei pronto ad immaginare Robert Smith in una sala prove qualunque vestito jeans e t-shirt per intenderci. Personalmente sono sempre stato abbastanza dipendente dall’immaginario che si parli di opera, pop francese o musica metal, la finzione e il teatro sono parte integrante e imprescindibile dell’opera d’arte.

Come descriveresti il tuo stile?

Credo sia una delle domande più difficili che mi siano mai state fatte. Mi capita di ragionarci ogni tanto, ma una risposta ben precisa non sono ancora riuscito a darla, i miei lavori sono molto eterogenei. Mi verrebbe da dire però che se i miei pezzi fossero dei libri probabilmente finirebbero sotto la categoria neorealismo, mi piace guardare dal buco della chiave la vita delle persone, cercare di capirne le scelte più intime.

A chi è dedicata mio padre scrive per il giornale?

Questo pezzo è dedicato a tutte quelle persone che non hanno paura di fare scelte, anche impopolari, per ricercare strenuamente la propria felicità. La felicità è l’unica cosa che conta davvero.

Trovo che la tua musica sia molto descrittiva, fotografica. Secondo me si sposerebbe bene con il cinema. So che è forse prematuro, ma hai mai pensato ad occuparti della colonna sonora di un film? Se sì, con quale regista ti piacerebbe lavorare?

Mi piacerebbe moltissimo, nel recente passato ho anche lavorato in tandem ad una pellicola italiana ed è stata un’esperienza davvero molto stimolante. Se dovessi sparare in alto direi Terrence Malick, mi perderei totalmente e molto volentieri nei suoi flussi di coscienza. Ultimamente sono in fissa totale con le produzioni della A24, stile e poesia ad ogni pellicola, la mia preferita su tutte “First Reformed” con un Ethan Hawke criptico e controverso.

Cosa ci sarà dopo questo ultimo singolo?

Questa è la seconda tappa di un percorso, nonostante il mondo della musica sia molto cambiato in questi ultimi anni ed ora viaggi a ritmi molto più serrati, sono ancora convinto che valga la pena dare un senso unitario ad un lavoro. Il mio obiettivo è quindi continuare a raccontare le esperienze che mi hanno portato a scrivere questa manciata di canzoni e farlo bene, con attenzione e con i giusti tempi.



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