GALEFFI,
WE CAN’T WAIT
di Michela Luciani
GALEFFI
WE CAN’T WAIT
di Michela Luciani
Nullam consectetur mauris in nisl porta mattis. Proin id malesuada metus, eu venenatis nunc. Sed a lectus sem. Vestibulum eu lacinia erat. Quisque ac porta ligula, et consectetur libero. Nullam auctor, arcu eu tincidunt tincidunt, metus nulla faucibus ligula, eget condimentum mauris nibh eget ante. Praesent tincidunt velit velit, vitae tincidunt enim congue id. Duis varius mollis ipsum, eget mattis elit consequat id. Vivamus congue faucibus condimentum. Maecenas arcu mauris, sollicitudin ut tortor nec, ultricies lacinia erat. Phasellus finibus lectus ut lectus euismod pellentesque. Morbi lorem nibh, pulvinar viverra diam sed, rhoncus accumsan urna. Aenean vestibulum lectus placerat nisi fermentum euismod.
America, Cercasi amore e Dove non batte il sole, sono i tre singoli che anticipano il secondo ed attesissimo disco del cantante più British della scena. Abbiamo incontrato Galeffi e ci siamo fatti raccontare qualcosa in più sul suo nuovo lavoro, che ha già suscitato grandissimo interesse e colpito piacevolmente tutti coloro che non vedevano l’ora di risentire la voce del giovane romano.
Lui dice di essere innamorato di questo album e noi non possiamo fare altro che fidarci e aspettarne l’uscita.
Ciao Marco, è passato un anno dal tuo ultimo lavoro. È stato un anno di intensa scrittura o ti sei voluto prendere del tempo per te?
No, no, intensa scrittura. Magari pausa! (ride, ndr). L’ultima data è stata sotto Natale e ho ricominciato a scrivere a gennaio, ho scritto un sacco, ho studiato un sacco, mi sono intrippato con l’armonia, ho ascoltato un sacco di dischi e questa cosa è coincisa anche con il fatto che sono andato a vivere da solo, quindi più spazio per me, salotto con l’impianto per sentire bene la musica, insomma un altro tipo di situazione.
Ti abbiamo conosciuto con “Camilla”, ora ascoltando i tuoi due ultimi brani, direi che c’è stata una bella evoluzione. Cos’è cambiato secondo te?
Meno male direi prima di tutto, perché se no che palle! Penso che sia abbastanza semplice, ho scritto le canzoni di Scudetto che avevo venticinque anni, quindi chiaramente da quelle canzoni ad oggi sono passati un po’ di anni, come cresci artisticamente cresci anche umanamente, le cose vanno un po’ a braccetto.
America ha un sound decisamente jazz, una scelta particolare.
Mi racconti un po’ di questo brano? Quali sono le influenze?
Volevo avere una chicca nel disco, avevo bisogno che ci fosse una canzone che alzasse in modo esplicito e quasi volgare il livello. Essendo un malato del jazz ho pensato che fosse il caso di fare un brano che richiamasse quella roba lì, è molto interessante vedere come si mischiano gli ascolti e le cose che fai, il mostro che ne esce fuori. Un mostriciattolo che secondo molti ricorda un po’ la scuola Genovese, quindi Gino Paoli, Paolo Conto… il che è una cosa bellissima e molto interessante.
Ti cito: “un giorno la nostra storia finirà e rimarrà soltanto il bene”, funziona proprio così?
Alla lunga sì, poi dipende da come ti lasci ovviamente se la becchi in camera con uno dei tuoi migliori amici è un po’ più difficile (ride, ndr) ma poi secondo me te la prendi a ridere anche lì. Bisogna imparare a guardare il bicchiere mezzo pieno, siamo un po’ troppo abituati a guardare le cose in modo negativo, quindi forse è anche stato un modo per convincermi che bisogna guardare le cose in modo ottimista, cosa che non sto seguendo ovviamente (ride, ndr).
“Cercasi amore” è un brano un po’ insolito per quello che ci hai sempre abituati ad ascoltare, possiamo considerarlo un esperimento?
Esperimento no, perché secondo me “Cercasi amore” è una Camilla più incazzata, è un pezzo anni ’60 con le chitarre, un pezzo in cui canto un po’ graffiato, ricorda un po’ i Blur e un po’ i Black Keys che sono coerenti con quello che c’era in Scudetto, forse è solo una versione pro. Secondo me è più lontana America che Cercasi, però mi fa piacere se viene vista una cosa un po’ fuori.
Se mettiamo assieme “America” e “Cercasi amore”, quello che possiamo dedurre del tuo nuovo disco è che sarà sicuramente un lavoro dalle mille sfumature, puoi darci qualche anticipazione?
Posso dire poco (ride, ndr) ma posso dire che il disco spacca. Non so quando uscirà, non so niente ancora, stiamo concludendo il lavoro, anche perché sono quasi morto (ride, ndr) però io sono innamorato di questo album.
Hai girato veramente moltissimi club e festival di grosso calibro, sei uno che preferisce queste situazioni o sei uno di quelli che ancora tiene all’esibizione intima e ravvicinata con il proprio pubblico?
Non mi hanno mai fatto questa domanda, non ci ho mai pensato sai? In acustico forse sono più belli quelli nei posti più piccolini e intimi, mentre se vai con la band tutti belli gasati più gente c’è più ti fomenti chiaramente. Suonare è bello sempre, prima di scrivere canzoni nasciamo come persone che prendono lo strumento e iniziano a fare, è un po’ la base di tutto, quindi qualunque sia la situazione è sempre molto bello.
Stiamo per entrare nell’anno nuovo, qual è un augurio che ti fai?
Che vada il meglio possibile e che alla fine dell’anno guardando indietro possa dire “dai” con una pacca sulla spalla.
E quello che invece vorresti lasciarti alle spalle?
Il disco. Perché per farlo è stata tosta, due anni fa non avrei mai immaginato uscisse un mio disco, me lo sono un po’ ritrovato, mentre questo sapevo di doverlo fare, quindi da persona un po’ perfezionista, squilibrata e con un grande senso di responsabilità verso di me in primis e verso l’ascoltatore ho sentito il peso dell’aspettativa. Sapere quanto effettivamente sono importanti le canzoni per la gente è una cosa che comunque ti cambia un po’ il cervello, perdi un po’di inconsapevolezza. È stato bello ma pesante, è stata lunga, un bel processo, però ecco, non vedo l’ora che si concluda.