GAZZELLE: LAST PUNK ON EARTH

Edit: Simona Ladisa

Photo by: Alessandro Levati

Di Federico Ledda

GAZZELLE:

LAST PUNK ON EARTH

Di Federico Ledda

Photo by: Alessandro Levati

Edit: Simona Ladisa



” La cosa che è cambiata non è tanto l’approccio alla scrittura stessa, ma il fatto che non sono più nella mia cameretta e ora ci sono delle orecchie ad ascoltarmi. “

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Chi dice che il romanticismo è morto non conosce il nuovo disco di Gazzelle. Dal titolo completamente forviante PUNK, il secondo album del cantante romano si presenta come un manifesto di sincera sensibilità che vale la pena ascoltare, imparare e cantare ai suoi live. Concerti evento quelli di marzo, dove l’artista riempirà il Mediolanum Forum e il Palazzo dello Sport per due date veramente imperdibili. Chi quindi meglio di lui poteva finire sull’ultima copertina dell’anno di The Eyes Fashion? Scattata a settembre, quando ancora il disco era una progetto top secret, Flavio Pardini ci ha raccontato i segreti dietro l’ultimo album e il perché si intitola PUNK…

Cosa significa per te essere Punk?

L’esserlo è riferito al disco che, a mio avviso, è proprio punk a tutti gli effetti.
E’ sicuramente un disco diverso in confroto al mio primo e anche rispetto al mercato odierno. Ho avuto un approccio punk a livello di scrittura, infatti è stato principalmente scritto di notte, con tutto quello che comporta scrivere la sera, tra alcol etc…
È libero, sincero, spudorato.

Riferendoci invece proprio al pezzo Punk, contenuto nel disco, di che cosa parla?

Si riferisce a un sapore, quello che ho individuato in una ragazza. Nella canzone dico: “tu sapevi un po’ di Punk’’ inteso come appunto un sapore, un retrogusto.

È autobiografico quindi, parla di una persona…

Sì, certo. Tutto ciò che io scrivo parla di me.

Quali sono le differenze rispetto a Superbattito?

Io scrivo tantissime canzoni, difatti quando è uscito il primo album ne stavo già scrivendo altre. Credo che la differenza principale sia semplicemente il tempo che passa, io però sono sempre lo stesso. In tre anni, infatti, ho accumulato delle esperienze: cantare è diventato il mio lavoro e credo anche di aver raggiunto una consapevolezza artistica diversa.

È cambiato anche l’approccio con la musica da quando è diventato il tuo lavoro…

Sicuramente è migliorato. Scrivo canzoni da quando sono un bambino, è sempre stata una costante. Prima era una cosa privata, che facevo solo per me. La cosa che è cambiata non è tanto l’approccio alla scrittura stessa, ma il fatto che non sono più nella mia cameretta e ora ci sono delle orecchie ad ascoltarmi.
È una cosa più stimolante, cantare davanti alla gente ti dà un carico pazzesco di energia e pace.

Cosa si prova nel vedere le persone che cantano i tuoi testi a memoria?

È difficile da spiegare. È una sensazione magica, non è paragonabile a nessun’altra emozione.
È più dell’essere ubriachi, dell’amare qualcuno o essere amati. Ti senti parte di qualcosa che tu stesso hai creato, è molto gratificante ma allo stesso tempo ti spinge a riflettere. Bisogna avere la testa per fare questo mestiere e soprattutto per non montartela, perché succede in un attimo.
Ma per fortuna, non è il mio caso.

E come fai?

Perché ‘so fatto bene. Mi viene naturale non farlo, penso sia un fatto di carattere o di background. È una cosa che ho sempre voluto fare e a cui tengo così tanto che sarei un coglione a rovinarla. Non potrei mai, in nessun modo.

Qual è la canzone più bella secondo te che hai fatto?

È difficile per me. Del disco vecchio ti direi Non Sei Tu. Anche Nero” però. Di questo disco non lo so ancora, probabilmente Punk o Coprimi Le Spalle.
Mi piacciono tutte, ma è normale… le ho scritte io.

Quella che ti piace meno?

Non esiste. In questo disco no, infatti sono poche, come nel primo…

Appunto, per te che ne scrivi tante, è stato difficile selezionarle?

Sì! Nel primo erano otto, infatti l’esigenza di farsi sentire è arrivata e sono usciti cinque singoli, il che è una cosa rara.
In Punk i brani sono nove e ho volutamente deciso di farne uno in più rispetto a Superbattito, proprio per dare un senso di crescita, ma non troppo.
Probabilmente il terzo ne avrà dieci, capito? Ho cercato di mettere solo i pezzi necessari per me, in cui credo davvero. Non come capita in molti dischi dove hai spazi da riempire, no. Infatti, se per esempio guardi il mio Spotify, i miei play sono tutti molto simili rispetto ad alcuni artisti che hanno le hit da milioni e poi altri brani con molti meno streaming.

Com’è nata l’idea di fare i palazzetti?

È nata dal mio booking, che è Vivo Concerti. Mi ha proposto questa cosa, all’inizio ero un po’ restio però, basandosi sui numeri, mi hanno convinto. Alla fine nell’arte bisogna rischiare ma probabilmente non è un progetto nemmeno così rischioso. Ho iniziato a pensare che è solo un posto. Diverso dal solito, ma è un posto come un altro, soltanto più grande.
Quindi me la vivo abbastanza bene: più è grande il posto, più c’è gente e più sto a mio agio.

Una parola per descrivere il tuo album?

Eterno.

Cazzo, importante come parola! Perché?

Perché secondo me questo disco rimarrà. Nonostante cambierà il gusto nel corso degli anni, in qualche modo questo album ci sarà perché sarà nel cuore della gente che magari adesso ha vent’anni e a quarant’anni lo farà sentire ai figli.



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