GEMITAIZ AKA DAVIDE

di Federico Ledda

foto di Dino Gulino @catturaproduction

GEMITAIZ AKA DAVIDE

foto di Dino Gulino @catturaproduction

di Federico Ledda



” Trovo che sia il disco più maturo che ho fatto… C’è meno spensieratezza dietro. “

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Sono a Milano, davanti agli uffici della Universal che aspetto il nostro fotografo Dino per salire a fare un’intervista. La città è calda, il pavimento scotta. Siamo ad aprile, ma sembra fine luglio, quasi agosto. Finalmente Dino arriva e possiamo salire e riprenderci prima di un’intervista davvero interessante. Lui è Gemitaiz, che da un po’ di tempo a questa parte, è riuscito a posizionarsi tra i rapper italiani più influenti del panorama. Oltre che indiscussa icona di stile, Gemitaiz ha anche sfornato un disco veramente importante, dal semplice titolo Davide, suo vero nome. Semplice quanto essenziale, maturo e al passo con i tempi, il musicista romano ha deciso di mettersi completamente a nudo per il suo terzo disco che, a mio parere è un po’ uno di quei dischi che rivoluzionano poi la carriera dell’artista stesso. Un po’ ai livelli di The Blueprint per Jay Z.

Sei arrivato al terzo disco da solista, come ci si sente? Cosa è cambiato dai precedenti?

Ogni volta che faccio un disco cerco di fare l’evoluzione del precedente in modo da seguire la stessa linea. Diciamo quindi che questo è un po’ il continuo di “Nonostante Tutto”. Trovo che sia il disco più maturo che ho fatto… C’è meno spensieratezza dietro. L’ho chiamato col mio nome perché mi rappresenta perfettamente, parla proprio di me.

Qual è la traccia a cui sei più affezionato?

Forse “Buonanotte”. È stata una delle prime che abbiamo fatto. Anche “Chiamate Perse” mi piace davvero tanto.

Quanto ci hai messo a chiudere l’album?

Ho iniziato più o meno un anno e mezzo fa a lavorare al primo brano. Un anno e qualcosa di assiduo lavoro quotidiano.

Che cosa ti ha ispirato, a livello musicale, per la creazione del disco?

Sono stato influenzato come al solito dalle ultime cose che ho sentito. Negli ultimi due anni, ho ascoltato tanta di quella roba che non saprei dirti con precisione chi ha influenzato di più tutto. Sicuramente c’è tanta musica differente rispetto a un classico disco rap che esce adesso.

In che cosa è differente?

Il disco rap come viene pensato adesso è un accorprare di possibili hit per vendere, no? Riempirlo il più possibile di singoli etc… Diciamo che questo non é un album pensato per quanti click dovrà fare, o per quanto dovrà vendere. È il disco che volevo fare. Sono molto contento di come sia venuto.

Ascoltando il disco, la canzone che più ho trovato divertente è “Pezzo Trap” con Fabri Fibra. Come è nata?

In maniera molto semplice e spontanea. È uno dei pochi pezzi di cui ho scritto prima il ritornello e poi la strofa. Di solito non capita mai. Ho scritto quel ritornello sarcastico, che va in contrasto con la strofa che è invece pregna di significato. Ho poi sentito Fibra perché chi c’è di più sarcastico e pungente di lui? Essendo lui poi della “vecchia scuola” diciamo, e presente ancora a tutti gli effetti, volevo il suo parere.

Parlando appunto di trap, cosa pensi che abbia portato in più al mercato italiano? Quanto ha influito sulla tua musica?

Sicuramente ha influito. Ci sono degli artisti che trovo geniali. Che facciano trap o no, per me fanno solo musica. Ha influenzato qualcosa a livello di produzione ma anche a livello musicale, di scrittura. Tipo In “Pezzo Trap” che dico che (il pezzo, ndr.) “lo scrivo in due settimane”, è perché effettivamente è così, per come sono abituato io a scrivere mi viene piuttosto easy. È più importante l’effetto che deve dare che quello che hai scritto. Sono produzioni dove bisogna bilanciare l’argomento e la melodia, non è così semplice alla fine.

Qual è il messaggio che vorresti i tuoi fan cogliessero ascoltando “Davide”?

Di credere in se stessi. Trovo che un po’ questa cosa si sia persa, le nuove generazioni tendono a sottovalutarsi. Nel disco c’è un senso di rivalsa, per me non è mai scontato arrivare a tutta questa gente ai live o quando esce un disco. Spero quindi che anche questa volta si crei quella particolare connessione tra chi lo ascolta e l’album.

Una cosa che mi ha colpito del disco, è la copertina. Come è nata? Ma soprattutto, come hai preso fuoco?

Le foto sono tutte opera di Sha Ribeiro, che è un fotografo ed ex writer, oltre ad essere una grande persona e in mezzo al mondo dell’hip hop tipo da sempre. Quando gli ho detto che volevo prendere fuoco, mi ha risposto “dai figo!”. Abbiamo chiamato degli stuntman che mi hanno insegnato come fare e via. Sono molto contento del risultato, è bastato il primo tentativo per raggiungere l’effetto che cercavo!

Qual è il messaggio nel prendere fuoco?

Rappresenta il martirio di non fare un disco semplice. Che comunque poteva essere una soluzione comoda e facile, eh. Invece ho fatto il disco che volevo.



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