IZI IS ON FIRE

di Federico Ledda

pictures by Alessandro Levati

style by Chiara Pastori

hair and make up Emanuela Caricato

videographer Dino.Zoor @Cattura Production

videographer’s assistant Francesco Bartoli Avveduti

with a massive special thanks to RES Autodemolizioni, RP Music Entertainment

IZI IS ON FIRE

di Federico Ledda

pictures by Alessandro Levati

style by Chiara Pastori

hair and make up Emanuela Caricato

videographer Dino.Zoor @Cattura Production

videographer’s assistant Francesco Bartoli Avveduti

with a massive special thanks to RES Autodemolizioni

RP Music Entertainment

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In un mercato sempre più vasto e competitivo un artista che mi ha sempre attirato è sicuramente IZI. Profondo, camaleontico e mai scontato, è riuscito nel corso degli anni a posizionarsi come uno dei nuovi pilastri del rap italiano. Cosa che ha dimostrato a pieno con Aletheia e ancora di più con RIOT, suo nuovo album. Il progetto rappresenta la rivolta spirituale, della mente. Significa fare una rivoluzione dentro noi stessi per poter cambiare il mondo poi. L’artista ligure questo concetto l’ha spiegato perfettamente attraverso l’album, dando vita a uno dei progetti più interessanti dell’anno che sta volgendo al termine. Preciso, minuzioso direi, che non si prende sul serio e soprattutto rivoluzionario. Brani importanti come “Can’t Breathe”, il divertente dissing alle etichette discografiche in “Flop” insieme a Leon Faun e l’omaggio a Enzo Carella con il rifacimento di “Parigi” hanno sicuramente aumentato la caratura artistica di IZI, dando al disco uno spessore maggiore.
Diego è istrionico, sarebbe inutile provare a definirlo perché nel momento in cui sto scrivendo queste parole, lui sta sicuramente già pensando alla sua prossima mossa. Per la prima volta sulla copertina di un magazine, non è stato per niente facile convincerlo, ma ecco per voi IZI.

Rivolta spirituale, mentale, culturale. Spiegami meglio.

Di certo non sono mai stata una persona violenta, anzi, la violenza mi urta. Il mio bisogno di rivolta è mentale. Vedo che siamo tutti incantati nelle nostre ipnosi e non riusciamo a comunicare. Non ho mai fatto riot né tantomeno ho detto che spaccare le vetrine (come è successo di recente) sia la modalità giusta per fare sentire la propria voce. No. Di conseguenza credo che se le nostre energie fossero connesse l’una con l’altra, potremmo affrontare le cose in maniera completamente diversa. Quando manca la comunicazione c’è la violenza.

In che modo hai capito questo concetto?

E’ un percorso che dura da tanto tempo. Per come sono fatto mi sono sempre incazzato per le ingiustizie e questa cosa l’ho patita moltissimo. Mi rendo conto che chi vuole fare del bene spesso non riesce perché reca danni a sé stesso. Io per esempio stavo dando l’acqua dalla mia brocca a tutti i bicchieri, ma nessuno si è mai scomodato a versarmela. Quindi bisognava che trovassi un equilibrio. Molte vicende personali tra cui il diabete, mi hanno aiutato. La mia musica vuole essere proprio il racconto di questo. Cerco di parlare di tutto quello che mi succede in modo da poter aiutare chi sta avendo problemi. Non voglio più tenermi dentro niente. Preferisco essere chiaro e trasparente, voglio che si veda lo sporco. Questo non è nemmeno IZI che parla, è Diego. 

Cosa credi che RIOT abbia portato nel rap italiano?

Se devo essere onesto mi sembra che non sia stato capito abbastanza. La premessa è che volevo divertirmi e non dare sfogo come sempre alla mia parte nera. Volevo sfoggiare dei colori, ecco. Come disco a me ha portato più libertà; è stata la prima volta che ho avuto modo di lavorare di più come direttore artistico. Ho cercato di creare un prodotto mai sentito, cose che non ti aspetti. Vedi IZI feat. Elettra Lamborghini e pensi: “che cazzo sta succedendo?”. Mi fa sentire bene fare ciò che voglio e questo album è la rappresentazione perfetta del presente e di quello che ho sentito lavorandoci. 

Entrando nel dettaglio invece, quali sono i pezzi migliori del progetto?

Sicuramente i miei pezzi preferiti non sono dentro l’album.

E usciranno mai?

Sì. Quando sarà il momento giusto e sarò sicuro che verranno valorizzati, sì.

Riferendoci a RIOT invece?

Impossibile scegliere, significano tutti qualcosa di diverso, hanno la loro storia. Flop ad esempio è molto importante. E’ nato dopo uno degli ennesimi, chiamiamoli “confronti” avvenuti con i fantomatici discografici. Dopo due ore ho scritto sta cosa che, sì, è un po’ satirica, ma rispecchia ciò che penso. E’ stato un bell’esperimento dove ho voluto includere anche Leon Faun, che secondo me è davvero interessante.

I discografici poi come l’hanno presa?

Sai che non mi interessa? Sono tutti dei permalosi, quindi non credo in maniera particolarmente buona. (ride, ndr). Le tue tracce preferite invece?

Le mie sono “Can’t Breathe” e “Parigi”

Pensa che anche se si chiama Parigi è nata a Miami. Ero con Marino (uno dei suoi manager, ndr) che mi ha accompagnato a partecipare a una sessione lunga una settimana in cui vari artisti, produttori e melodisti da tutto il mondo si incontrano appunto, in Florida, per creare e fare networking. Ogni due o tre ore andavo in studi pazzeschi e sempre con grandi professionisti con cui abbiamo creato di tutto. Tra queste cose, ho fatto sentire come ispirazione “Parigi” di Enzo Carella e sono tutti letteralmente impazziti. E’ stato incredibile vedere come il cantautorato italiano faccia breccia nei cuori di tutti rompendo le barriere linguistiche. Così come con “Dolcenera” di De André nel disco precedente, ho deciso di omaggiare Carella e la sua “Parigi”.

Come scegli i tributi che poi esegui?

Quando decido di rendere omaggio a un pezzo è perché sento che mi rappresenta talmente tanto che reinterpretarla non è più una mancanza di rispetto. So quanto sono morto con De André nei momenti di depressione quindi non mi sento a disagio a rendergli omaggio, l’importante è che venga fatto con rispetto.

Perché non ti piace fare le foto?

Mi viene l’ansia. Io sono vero, non mi va di fare un sorriso finto per una foto se poi sono incazzato nero e ho voglia di spaccare tutto. Ho fatto quel pezzo ma in realtà di foto ne faccio sempre con tutti. Non è il problema della foto in sé ma il perché. Io voglio avere il diritto di poter dire no se non me la sento in quel momento o se in base all’energia che ricevo sento che quell’altra persona ha più bisogno di un abbraccio che di una foto. Siamo nel 2020, smettiamo di dirci che l’energia non esiste. Al di là di questo, ho fatto anni e anni alla “babbo natale” dove tutti si sedevano sulle mie gambe e facevano una foto, va bene tutto. Basta avere il rispetto e scegliere il momento giusto.

Ci sono sempre più rapper che emergono dalla Liguria, artisti sempre interessanti che portano qualcosa di nuovo sul mercato. Con Tedua sei forse uno dei pilastri del movimento e hai due giovani scoperte nel tuo album. Ti fa piacere?

Certo. La particolarità è l’ideale molto forte che contraddistingue tutti i componenti sia di Wild Bandana che di Drillliguria.

Qual è l’ideale?

Le liriche. Cerchiamo di rendere, a modo nostro, omaggio agli storici cantautori genovesi. Quindi trap, sì, ma non fine a sé stessa. In realtà ci sono molti più personaggi in Liguria, che spero vengano fuori col tempo. Se una volta non c’era una grande storia, adesso si può dire che c’è. Non solo per noi, anche da prima. Ho sempre detto che non sarei mai esistito se non avessi ascoltato chi c’era a Genova prima di me: Dj Kamo, Dala, Albe OK e ovviamente Nader, mio padre artistico. Quando vedo i Migos e Gucci Mane penso che per noi era la stessa cosa. Io e Tedua eravamo un po’ i cavallini di Nader.

Adesso come stai?

Senz’altro potrebbe andare meglio per via dei problemi che abbiamo un po’ tutti in questo periodo e che purtroppo non ci vogliono lasciare. Trovo incivile però che molte persone non possano lavorare. Non parlo solo del mio ambiente che comunque è davvero messo male ma purtroppo la situazione è analoga più o meno ovunque. Mi sento svilito, se non sta bene il mondo intorno a me non sto bene. Sento di essere interconnesso con l’universo e in questo momento il mondo ha una bella cicatrice profonda, quindi no, non sto bene. Però ci sono, sono qui.



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