IL RITORNO DI

MOBRICI

di Federico Ledda

foto di Alessandro Levati

IL RITORNO DI

MOBRICI

di Federico Ledda

foto di Alessandro Levati

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Matteo Mobrici è sicuramente una delle penne più interessanti in Italia.
Già leader dei Canova, gruppo che si è fatto strada nel mercato indie italiano grazie alla loro freschezza, Matteo ha deciso di ricominciare da capo e di mettersi in gioco come solista. Nasce così la sua opera prima Anche le scimmie cadono dagli alberi, preceduto dal singolo Povero Cuore con la partecipazione di Brunori Sas.
L’album si presenta come un instant classic della musica italiana ed è l’ulteriore conferma che l’artista è qui per restare.
Ma la chiave vincente che sintetizza questo progetto è il focus su quello che, da sempre, è il punto forte dell’artista: parlare d’amore con eleganza ed estrema originalità. Altrettanto interessante è il videoclip del nuovo singolo Tassisti della Notte, dove Mobrici si aggira per le strade di Torino a bordo di una Fiat 132 nel ruolo di un tassista notturno.
Il fatto che Matteo questo lavoro lo sapesse fare già lo si evinceva quando, durante i concerti con i Canova, dominava il palco per due ore senza fermarsi. Da dove nasce però l’esigenza di proseguire il suo percorso da solo? Glielo abbiamo chiesto in occasione del release party del suo album di debutto, disponibile ora.

Sei tornato dopo una pausa e sei da solo. Come mai?

Purtroppo i percorsi di band sono molto simili ai percorsi sentimentali e quindi, purtroppo, è inevitabile che avvenga una rottura. Poi, se si sono sciolti i Beatles, si potevano scegliere pure i Canova, no? (Ride, ndr.) Io ho continuato a fare quello che ho sempre fatto, cioè scrivere canzoni. Solo che adesso sono firmate a mio nome.

È cambiato il modo in cui scrivi?

No. Ho iniziato a scrivere a 16 anni e poi c’è stata ovviamente una crescita. Le prime erano veramente molto brutte in realtà, però è un percorso: non esiste l’università della canzone, più scrivi e meglio trovi la tua cifra, più diventi sicuro di te e capisci anche i tuoi limiti.

Qual è invece la differenza più grande che hai notato nel lavorare da solo?

La mancanza di una band. Noi non eravamo colleghi, ma amici che facevano musica insieme. A livello professionale, invece, ne sentirò sicuramente la mancanza durante i concerti. Ci sarà comunque, ma sarà ovviamente un’altra situazione.

Nel tuo nuovo singolo con Brunori dite: “eri meglio prima” ma chi era meglio prima, tu?

Io, ma anche tu, tutti. Quello che mi piace è che molti hanno pensato che quel tipo di ritornello fosse riferito alla mia vecchia band. Non è assolutamente stato scritto con quell’intento, “eri meglio prima” inteso come una situazione umana. Che poi, come eri prima, ma prima di che? Non lo dico, ma può essere inteso come dieci anni fa, due anni fa, prima, non ora. È il confronto che faccio con me stesso e il mio cuore.

Ed eri meglio prima?

Secondo me no. Credo che tutti noi siamo sempre in miglioramento. Sai, capita quando magari ci guardiamo indietro o nelle fotografie e secondo me siamo sempre migliori nel presente perché siamo persone che amano il miglioramento e che credono nel futuro. Siamo tutti migliori di ieri.

Parlando del disco fisico, nella parte posteriore ad accompagnare la tracklist ci sono dei fiori. Che cosa rappresentano?

Ogni fiore rappresenta un brano. Con i ragazzi di Mine Studio, che hanno curato tutta la parte grafica del progetto, abbiamo fatto uno studio dettagliato. Sai, in realtà l’hanno fatto loro perché essendo troppo dentro i brani non riuscivo ad avere un parere oggettivo. Ogni storia, colore e stagione rappresentano un sentimento diverso, quindi hanno abbinato ad ogni sentimento il fiore più rappresentativo. La cosa che un po’ mi è dispiaciuta è che, quando mi hanno mandato la lista, c’erano solo brutti sentimenti legati a questi fiori (ride, ndr.)

Ma alla fine, come lo definiresti il disco?

Sicuramente è una parte della mia vita. Sono canzoni degli ultimi due anni e in ogni traccia ci sento un nome e cognome, un profumo o vedo un posto. Mi rattrista, ma credo che per i prossimi mesi o addirittura anni, sarò costretto a cantarle e in un certo senso a confrontarmi con loro e con il mio passato. Cosa che però trovo molto interessante.

Qual è il brano che più ti rende fiero?

Vado a giorni perché dipende dai periodi. Mi piace molto “Tassisti Della Notte” perché è un brano che non è replicabile avendo uno un testo così specifico. È praticamente impossibile che io decida di fare un altro brano che parla di un tassista! In realtà mi piacciono tantissimo tutte, non saprei sceglierne davvero una, anche perché sennò non le avrei pubblicate. Sono frutto di un’importante scrematura.

Parlando di brani, qual è quello che avresti voluto scrivere tu?

Secondo me, la traccia più bella di sempre è “Jealous Guy” di John Lennon perché mette in mostra le debolezze umane e credo che le canzoni servano proprio a dire le cose senza parlare. Non sono necessariamente un esterofilo, però. Ci sono progetti in casa nostra che sono grandi tanto quanto quelli internazionali, “Quale Allegria” di Lucio Dalla, per esempio, è incredibile.

Parlando di oro, qual è l’accessorio d’oro alla quale sei più affezionato?

Io sono in fissa con tutti i miei anelli. Sono davvero parte del mio cuore, ma l’oggetto più oro che ho è la mia chitarra.