NICE TO MEET YOU

eli.

di Federico Ledda

NICE TO MEET YOU

eli.

di Federico Ledda

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Cresciuto nel West Virginia, eli. si sta facendo conoscere attraverso Spotify e YouTube grazie alla sua musica, sempre più presente nelle playlist di tutto il mondo. Dopo aver totalizzato oltre venti milioni di play con pezzi come “i’m sad” e “attached”, l’artista americano ha appena rilasciato il suo attesissimo nuovo lavoro “undefined.”. Dai testi intimi, malinconici e spesso veri e propri inni alla solitudine, eli. va a nozze con il social distancing e mi ha spiegato perché, secondo lui, non è poi così male…

Hai rilasciato il pezzo “everything will be okay” che sembra sposarsi perfettamente con la situazione attuale. In che modo pensi la musica possa aiutarci in questo periodo?

Basandomi dai commenti che ho ricevuto, mi sembra che durante questa quarantena, la musica stia avendo un ruolo fondamentale. Influenza la vita di tutti, io ne so qualcosa. Ad esempio, ci sono dei brani che ascoltavo durante periodi difficili della mia vita e che a risentirli portano alla mia mente ricordi molto dolorosi. La cosa più bella della musica è che ha un messaggio con cui entriamo quasi in simbiosi. Quando qualcuno canta come ti senti, pensi subito di non essere poi così solo e ti senti ancora meno abbandonato perché sicuramente altre persone hanno sentito la stessa cosa ascoltando questo pezzo.

Da poco è uscito anche “make it”, il tuo nuovo singolo. Cosa puoi dirmi a riguardo?

Sono davvero contento di questa canzone. Credo probabilmente che sia la traccia migliore dell’album. Non è la mia preferita, ma è sicuramente quella che suona meglio. Parla di una delle mie relazioni passate, rapporto di cui ho già parlato in altri pezzi tra l’altro. Questa è la prima volta però in cui sono riuscito a essere meno emotivo e a vederla da una prospettiva più “esterna”.

Quando hai iniziato a fare musica?

Il canto è sempre stata una parte importante della mia vita, ma è a nove anni, quando papà mi ha regalato una chitarra che ho pensato di poter scrivere i miei pezzi. Mio padre aveva un piccolo 4-track recorder e così ho incominciato a registrarci sopra le mie cose e a caricare video su YouTube e Myspace. E’ incredibile che sia passata oltre una decade!

Il brano “im sad” ha di recente superato i 17 milioni di play su Spotify. Ti aspettavi una cosa simile?

Assolutamente no. A essere onesto penso che nessuno si possa mai aspettare una del genere. Specialmente non con quel brano. Tra tutte le canzoni che ho all’attivo, mi sembra ancora assurdo sia quella la più ascoltata. Per me è un brano banale e noioso, non capisco. Però penso che sia per il testo, estremamente onesto e leggero… Anche se ancora non ne sono convinto. Sai, a volte mi sento un impostore. Penso che prima o poi la gente si renderà conto che non faccio nulla di speciale e così finirà la mia carriera. Diciamo che la percezione della realtà è iniziata a essere molto astratta da quando tutto questo ha preso forma.

E’ appena uscito il tuo nuovo album “undefined”. Mi parli del processo creativo?

E’ stato differente per ogni brano. In pezzi come “Make It” è venuto tutto in maniera naturale, compresa anche la produzione. Ho lavorato tanto su questo disco. A volte quando mi rendo conto di lavorare troppo, cerco di fermarmi. Altrimenti quello che esce non è altro che roba svogliata e banale. Penso che i migliori lavori vengano fuori in maniera naturale, senza starci troppo sopra. I brani più pop sono invece nati da melodie catchy da cui poi ho costruito il resto. Per le mental songs invece arriva prima la produzione completa della base. Una volta finita, proseguo con il testo, ma ci lavoro sopra con dei riff da abbinare poi alle batterie e al resto. A volte lavoro molto bene sulle basi ma mi trovo senza testi adatti per molto tempo. Ci sono dei brani che sono rimasti fermi per anni.

Qual è il significato del titolo dell’album?

Ho deciso di chiamarlo “undefined.” perché trovo che sia l’unica parola che descrive perfettamente la mia musica. Questo disco contiene come minimo dieci generi diversi, di cui molteplici negli stessi brani. Ogni volta che le persone mi chiedono che tipo di musica faccio non so mai rispondere, dico sempre “alternativa” e basta. Non ho mai visto nessuno fare quello che faccio io, quindi non so come definirlo e in generale poi non mi sono mai piaciute le etichette.

Tre brani che hanno ispirato il tuo sound?

È impossibile per me scegliere tre brani. Il mio sound si è evoluto molto nel corso degli anni e sicuramente è stato merito di molti artisti che mi hanno influenzato. Dividendoli per genere, sicuramente emo/punk dei primi anni 2000, come Mayday Parade, Panic! at the disco, e i My Chemical Romance, sono stati estremamente importanti per la mia formazione. C’è anche molto metalcore uscito tra il 2008 e il 2013, come Bring Me The Horizon, Asking Alexandria e Of Mice & Men. Blues tradizionale, rock e R&B come John Mayer o Caesar, ma anche The Weeknd, che ha avuto grosso impatto su di me. Per chiudere, l’artista che più mi ha spinto a unire il pop e hip-hop e che mi ha fatto appassionare al genere, è sicuramente stato Blackbear. Da quando ho scoperto “Slide Thru” nel 2015, ha influenzato moltissimo la mia musica.

Qualche consiglio per rimanere attivi artisticamente durante la quarantena?

Non ne ho idea. Mi sento in quarantena da quando sono uscito dal college e ormai sono passati due anni. Spesso mi sento un’eremita che nemmeno contribuisce alla società. Ho sempre fatto la mia musica da solo nella mia camera, capirai quindi che adesso non sento così tanta differenza. Di solito, lockdown a parte, mi impongo di uscire almeno una volta ogni due settimane per fare qualcosa tipo andare al cinema, giusto per rimanere attivo e in mezzo ad altri esseri umani. Tutto ciò di produttivo e creativo che faccio, lo faccio stando seduto, da solo, pensando. Penso che stia involontariamente svelando quanto sia triste la mia vita. Ormai devo ammetterlo: sono noioso!



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