NICE TO MEET YOU

MELI

di Michela Luciani

NICE TO MEET YOU

MELI

di Michela Luciani

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Meli, classe ’98 è la voce delle turbe e degli sbattimenti della nuova generazione, quella stessa generazione che è ancora ampiamente in grado di parlare di sentimenti e di emozioni.
Ci siamo confrontati con lui a riguardo ed abbiamo chiesto di raccontarci del suo nuovo disco Please Wait, un disco giovane, romantico e malinconico proprio come lui.
Lo abbiamo salutato pronto a salire sul palco degli Spaghetti Unplugged per una delle sue prime esibizioni Milanesi…

Ciao Meli sei carico per questa sera?

Abbastanza, direi che sono abbastanza carico anche perché è una delle prime esibizioni a Milano e c’è anche il team di Futura a guardare, quindi sono molto contento.

Vieni da una serata precedente che è andata molto bene…

Si, ieri c’è stato il concerto di Mameli che è un mio grande amico, ci siamo esibiti a Catania dove il calore della gente è stato davvero incredibile, ho ricevuto sensazioni davvero positive.

Sei giovanissimo e per questo spesso vieni definito come il portavoce dei turbamenti della tua generazione. Cosa ne pensi a riguardo?

Credo innanzitutto che sia un grande complimento, secondariamente nella musica è tutto soggettivo, quindi ognuno interpreta la musica come vuole interpretarla. Se però qualcuno riesce a rivedersi nei miei testi mi fa molto piacere, alla fine sono un ragazzo di ventun anni e credo di vivere le stesse situazioni di tutti i miei coetanei, dall’amore a qualsiasi altra sfumatura esistenziale, quindi in qualche modo sì dai.

Ascoltando le tue canzoni risuona un certo leitmotiv di sfiga d’amore, ti hanno spezzato molte volte il cuore?

Guarda, in realtà non ho mai avuto una relazione lunga e romantica, diciamo che le poche volte che ho provato sentimenti non erano mai corrisposti, era una cosa che provavo solo io, quindi ecco, diciamo che sono stato innamorato ma non ho vissuto l’amore. Tutto quello che scrivo si basa su questo fondamentalmente.

Che rapporto hai con la tua città? In Bye Bye parli di un bisogno di allontanarti…

Io amo la mia città, i miei amici… purtroppo però, oggettivamente parlando, c’è una piccola carenza culturale quando si parla di arte in generale, quindi ciò di cui parlo è più un bisogno di esprimere sé stessi in un posto che te lo consenta. Sono sempre partito dal presupposto che c’erano persone come me, con le mie stesse capacità e la stessa voglia di esprimersi, che erano facilitate da un contesto magari più favorevole, questo mi ha sempre spronato.

Il 10 gennaio è uscito Please Wait, il tuo disco d’esordio, come mai questo titolo?

Per favore aspetta, diciamo che si ricollega molto all’argomento centrale che è l’amore, può essere il fraintendersi con una persona e dire “no aspetta non andare, possiamo ancora parlarne” ma vale anche per la musica, che da sempre è la mia più grande passione e a volte mi sembra come se ci fosse un treno che se ne sta per andare e quindi “per favore aspettatemi, voglio salire anche io.” È un po’ questo il significato del disco.

Pensi che la tua musica sia influenzata dalla tua età?

Moltissimo, spero che con gli anni riesca a raggiungere delle consapevolezze diverse. Questo disco raccoglie brani sfusi distribuiti negli anni, il primo l’ho scritto a quindici anni fino poi all’ultimo che è stato scritto un anno fa.

Se non sbaglio in effetti dovevi far uscire il tuo disco un po’ di tempo fa, cos’è successo?

Si! Come fai ad avere queste informazioni? (ride, ndr.) please wait! Il progetto è partito totalmente da indipendente, caricavo i brani sulle varie piattaforme, fino a che un brano in particolare che si chiama capofitto, è divenuto in qualche modo virale. Mi sono reso conto però che se non si hanno intorno persone che credono in te e lavoro per te è difficile raggiungere degli obiettivi, tant’è che ho deciso con un po’ di difficoltà, di mettere da parte tutto il progetto ed aspettare di fare qualcosa di più serio. Era un lavoro un po’ più acerbo, mi sembrava un po’ come di bruciare i brani a cui tengo molto e che rappresentano la mia vita.

La tua musica è un connubio tra cantautorato e hip-hop, che sono i due generi che ricoprono maggiormente la scena attuale, è una decisione ragionata o istintiva?

In particolare ad esempio Bye Bye, che è uno dei miei ultimi brani, ha questa sfumatura hip hop, è stato un buon esperimento. Ho sempre avuto determinati gusti e diciamo che tra Niccolò Fabi che ascolto e tra Fabri Fibra che ascoltavo, spiccava sempre Niccolò, quindi mi sono indirizzato verso quel percorso, senza però dimenticarmi delle altre sfumature. Non è una scelta troppo ragionata, è molto più istintiva.

Mi parli di musei?

Ero a letto, su facebook leggo una frase: “sei la musica che ascolti, sei le foto che scatti ai musei”.
È una frase molto interpretativa, io credo molto in questa cosa.

Come mai hai deciso di far uscire proprio musei come primo singolo?

Non era in programma, anzi all’inizio questo brano non volevo proprio che facesse parte del disco, proprio l’opposto, sono molto lunatico. Mi sono svegliato una mattina e ho detto: “basta, mi piace, deve uscire questo” è andata cosi.



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