AL MUSEO CON

I PHOENIX

di Federico Ledda

AL MUSEO CON I

PHOENIX

di Federico Ledda

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Sono tra i gruppi francesi più importanti del mondo e con il loro camaleontismo hanno influenzato molteplici generi musicali. Tra gli headliner dell’ultima edizione del Primavera Sound di Barcellona, luogo dove hanno debuttato con il loro nuovo brano “Alpha Zulu”, abbiamo avuto l’immenso onore di scambiare quattro chiacchiere post soundcheck con Christian Mazzalai e Deck D’Arcy dei Phoenix che, in preparazione allo show di quella sera, hanno condiviso con noi pensieri e curiosità.
Sembra passato poco tempo da quell’ormai lontano 2000 in cui quattro ragazzi originari di Le Chesnay pubblicarono “If I Ever Feel Better” caratterizzando non solo l’estate di quell’anno ma il mondo della musica elettronica, diventando uno dei pezzi più importanti di sempre. A quello sono poi seguiti altri capolavori come “1901” e “Lisztomania”, oltre al brillante album-omaggio al bel paese “Ti amo”.
I Phoenix sono tornati e lo hanno fatto con “Alpha Zulu”, trascinante singolo che anticipa il nuovo album ancora in fase di lavorazione. Lavoro che poi li porterà in tour in tutto il mondo, Italia compresa, con una data all’Alcatraz di Milano il 18 novembre prossimo. Madame et monsieur ecco a voi i Phoenix.

Come state?

Christian: Davvero bene, è stupendo essere qui al sole.

Cosa significa per voi tornare sul palco dopo la pandemia?

Deck: Devo ammettere che è un po’ surreale. È accaduto tutto mentre stavamo abbozzando il nuovo album che stiamo ultimando ora. Quindi, non ne abbiamo sentito troppo il peso anche se la situazione ha influenzato noi e la lavorazione del progetto

È da poco uscito il vostro singolo “Alpha Zulu”, di cosa parla?

C: È uno dei primi brani che abbiamo composto. Mi piace molto perché nonostante la scrittura veloce che ha avuto, fa emergere il subconscio di noi quattro. Non è stata una cosa voluta, è uscito da solo e noi lo abbiamo accettato come fosse un dono.

Qual è stata l’ispirazione?

C: Eravamo tutti in una stanza, abbiamo schiacciato “rec” e Thomas è partito a cantare il ritornello. Da lì è arrivato tutto di getto: abbiamo imparato che, quando stai creando, non devi porti domande ma semplicemente seguire la corrente. È quando inizi a fartele che ti perdi. Il titolo, invece, viene da un aereo che ha preso Thomas e che ha avuto importanti turbolenze. Quando è atterrato, a mente fredda, si è reso conto che il pilota ripeteva “Alpha Zulu” che Thomas credeva fosse una sorta di codice rosso: ha scoperto poi che era il nome del velivolo.

Il vostro scorso album si chiamava “Ti Amo” ed era un’ode al nostro paese. Innanzi tutto, grazie. Vi ha ispirato la musica italiana?

C: La musica italiana non potrebbe esistere in altri paesi, c’è qualcosa di unico e magico che accade da voi che per me è indescrivibile. Cinque anni fa io e Deck ci siamo messi ad analizzare la musica di Lucio Battisti, cercando di capire il segreto dietro il magnetismo dei suoi brani.

Lo avete trovato?

C: No ma abbiamo capito un trucco: giocare con l’inaspettato. Battisti seguiva uno schema che in un momento o in un altro cambiava il brano rendendolo completamente diverso, il tutto mantenendo una romantica malinconia che nessun’altro sa ricreare. Comunque, la cosa che ci piace di artisti come Battisti o Lucio Dalla, è che erano mainstream ma non hanno mai rinunciato al loro essere: erano liberi di creare ciò che volevano e il pubblico li ascoltava proprio per questo ed è tremendamente affascinante.

Qual è la vostra canzone preferita di Lucio Battisti?

C: Ce ne sono tante, forse “Emozioni”.

Spostandoci nel panorama musicale francese, invece, che cosa ne pensate?

D: Ci piace molto. Tu chi reputi interessante?

Damso, Juliette Armanet, Clara Luciani…

C: Lavoriamo con lo stesso sound engineer, hai visto com’è piccolo il mondo? Dovevamo condividere il palco a un festival a Parigi qualche giorno fa, ma purtroppo c’è stata un’alluvione e tutti i concerti di quella giornata sono stati annullati.

Quest’inverno tornerete in tour e passerete anche a Milano

D: L’ultimo show che abbiamo fatto in Italia, proprio a Milano, è stato uno dei miei preferiti di tutta la nostra carriera. Il pubblico era fantastico.
C: Eravamo là con Giorgio Poi, noi lo adoriamo; infatti, sempre lo stesso anno gli abbiamo fatto aprire tutti i nostri concerti-residency a Los Angeles e a New York. Volevamo mostrare agli Stati Uniti qualcosa di diverso e che anche il centro dell’Europa è vivo e produce grandi talenti.

Immagino che per un artista italiano avere avuto un’occasione simile per mostrare a tutti il suo materiale sia stata una grande opportunità.

D: Sicuramente sì, ma se l’è meritata tutta. Lui e la sua band sono davvero grandiosi, siamo stati davvero felici di aver preso questa scelta.

Avrete qualcuno anche per questa data?
C: Certo, ma non sappiamo ancora chi. Sappiamo che in America ci accompagnerà Porchis. L’idea è comunque quella di scegliere sempre artisti che ci piacciono ad aprire i nostri concerti che probabilmente è una scelta da egoisti…
D: Fa parte dello show, è molto importante, aiuta a stabilire il vibe della serata.

Tra un po’ uscirà il vostro nuovo album, immagino sia ancora tutto top secret. Potete dirmi qualcosa in più?

C: Non è ancora finito, quindi non possiamo dirti troppo. Abbiamo avuto uno studio di registrazione inedito però, il Louvre.

Ah, un museo a caso…

C: Esatto! (ride, ndr.) Siamo stati ospiti del museo e ci siamo fatti ispirare da tutta la bellezza che ci circondava.

Come vi siete sentiti ad aver avuto un’opportunità del genere? Immagino non sia stato facile…

D: Ci sembra ancora impossibile avere ottenuto uno spazio simile. Per avere i permessi ci sono voluti mesi e, ovviamente, potevamo lavorare solamente durante gli orari di chiusura del luogo e, forse, è stato ancora più suggestivo così. Siamo stati tremendamente ispirati dalle opere… Diciamo la verità, erano anni che Christian provava a far sì che succedesse, era un suo sogno da moltissimo tempo, un sogno che sembrava impossibile e invece…



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