RIECCOCI,

GALEFFI!

di Michela Luciani

RIECCOCI,

GALEFFI!

di Michela Luciani

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Abbiamo fatto una chiacchierata con Marco, di quelle che in questi giorni si fanno frequentemente con gli amici, io da un capo della cornetta, lui dall’altro. Ci siamo tenuti compagnia scambiandoci consigli (ottimi) sui vinili da ascoltare in questi giorni di clausura forzata, qualche film da guardare e, naturalmente, abbiamo parlato del suo secondo disco Settebello che siamo sicuri terrà molta compagnia anche a voi.
È un disco di cui Galeffi va molto fiero e direi che ha tutte le ragioni per esserlo.

Ci siamo lasciati un mesetto fa con il tuo disco che doveva essere ancora ultimato, venerdì finalmente uscirà su tutte le piattaforme. Hai tirato un bel respiro?

Oddio un sospiro di sollievo è un parolone vista la situazione (ride, ndr) però sicuramente sono contento che esca, perché dal tempo della scrittura a quando escono poi effettivamente i dischi passa quasi sempre circa un anno, quindi ad un certo punto non ce la fai più e per disperazione non vedi l’ora che esca.

Come mai hai deciso di chiamare l’album Settebello?

Mi piaceva come titolo prima di tutto perché c’è anche una canzone con lo stesso titolo, una canzone che secondo me porterò dietro per tanto tempo e volevo un po’ dedicarle l’album e poi perché sono un giocatore accanito di carte e mi piaceva essere associato ad una delle passioni che ho. Se vai a vedere a livello filosofico il settebello è la carta più preziosa del mazzo e quindi mi piaceva dare anche quest’idea di perla, di rarità, in un mazzo di carte discografiche questo disco mi auguro si possa porre come un disco prezioso, non un disco qualunque.

Parliamo di Monolocale, quando è stata scritta? Suona ironicamente premonitrice

In effetti è assurda questa cosa (ride, ndr) è stata la seconda canzone che ho scritto in ordine cronologico dell’album, la prima è stata Grattacielo, di quelle che poi sono rientrate nel disco ovviamente, quando uno scrive ne scrive il doppio e poi fa una scelta.
Effettivamente l’incipit oggi fa un po’ rabbrividire, prendiamola sul ridere dai.

Pensa che noia se la vita fosse una carezza, sei uno di quelli a cui piace struggersi?

L’hai capito eh? (ride, ndr) si un po’, diciamo che l’inquietudine forse è il mio più grande pregio e difetto, sono uno molto inquieto fin dalla nascita, ma è un po’ il motore e meno male! Se no sarei stato un morto che camminava (ride, ndr). Ben vengano le paranoie esistenziali e i pensieri, l’importante che siano tutti pensieri di qualità.

Il tuo graffio viene accompagnato da un suono di classe ed elegante, in antitesi quasi. Come sei arrivato a far coesistere le due cose?

Eh bella domanda, non lo so! (ride, ndr) sinceramente mi è venuto abbastanza naturale, secondo me è figo…spero, credo tu che dici?
Non è stata una scelta a tavolino, cantando le canzoni sono uscite così e in alcuni brani viene ancora più fuori questa particolarità in effetti, è semplicemente il frutto dello studio fatto in sala registrazione.

Ascoltando il lavoro per intero mi sembra si possa parlare di un concept album, ti trovi d’accordo?

Me lo state dicendo in tanti quindi io vi do ragione, lo sapete meglio voi che fate questo mestiere rispetto a me che standoci dentro e avendolo scritto non riesco ad avere una visione complessiva. Non l’ho scritto pensando di fare un concept album però effettivamente se vogliamo è un album che anche se ha tante sfumature differenti, perché spazia dal rock, al jazz, al pop e al soul, quindi tanti colori, ha comunque una grande matrice identitaria sua ed un fil rouge che li lega tutti quanti assieme e lo fa risultare molto coerente e identitario, di carattere diciamo. In questo senso concept album ci sta.

Mi spieghi la scelta di mettere un intermezzo e di chiamarlo Quasi Quasi?

In Scudetto il mio album d’esordio c’è una strumentale che sia chiama Quasi, non ero partito con l’idea di fare un Quasi Quasi, nella scrittura di un pezzo avevo questa frase criptica in cui non riuscivo a mettere al posto delle note delle frasi importanti o che comunque esaltassero la bellezza delle note e dato che non mi andava di rovinarla ho deciso di lasciarla semplicemente così, a quel punto ci ho fatto un lavoro di composizione quasi di musica classica se vuoi… lì ho pensato che sarebbe stato divertente fare un Quasi 2.0 e chiamarlo Quasi Quasi, come se fosse l’evoluzione. Ma anche lì è stata una scelta presa strada facendo, io spesso parto dalla scrittura delle canzoni con il pianoforte, mi faccio guidare dalle note e cerco l’incastro della melodia con l’armonia, quindi molte delle canzoni che scrivo nascono come operette di musica classica e poi ci metto dentro le parole. Nel caso di Quasi Quasi non sono riuscito a mettere le parole giuste e belle e quindi l’ho lasciata così com’era, ho sfruttato l’occasione per fare un sequel.
Non hai studiato, rimandata a settembre (ride, ndr)

Hai detto che è un disco pregno di nostalgia da una parte e di speranza dall’altra. Speranza verso cosa?

Speranza verso la speranza, uno spera a prescindere in tutti i campi. Soprattutto adesso ti direi la speranza verso questa situazione drammatica che possa andare nella maniera migliore e che possa cessare il prima possibile. Ad oggi la prima cosa che mi viene in mente è questo, che questa situazione rientri, però in realtà la speranza è un valore molto forte in tutti i campi della vita e bisogna sempre averne.

Ho letto che la scrittura di questo album è stata stimolata dall’ascolto del tuo repertorio di vinili.
Ci dici i tuoi 5 vinili indispensabili da ascoltare in questi giorni di quarantena?

Allora, vado proprio davanti ai vinili cosi non mi sbaglio.
Ti direi sicuramente:
Kind of blue – Miles Davis
Pet Sounds – The Beach Boys
Rimmel – De Gregori
Revolver – The Beatles
E l’ultimo vediamo… chiuderei con Com’è profondo il mare- Lucio Dalla.
Se vuoi ti dico anche qualche film, ieri per esempio ho guardato Il Profeta prova con quello!

C’è una canzone che avresti sempre sognato di scrivere?

Beh, Sicuramente Imagine di John Lennon!



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