SZIGET FOCUS ON: WILLIE PEYOTE

ALLA CONQUISTA DELL’UNGHERIA

di Federico Ledda

SZIGET FOCUS ON: WILLIE

PEYOTE ALLA CONQUISTA

DELL’UNGHERIA

di Federico Ledda



” Non voglio che la gente la pensi come me, voglio che la gente si faccia delle domande in più, che non viva per imposizione o per inerzia. “

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Selezionato tra i fortunati artisti italiani che hanno la possibilità di calcare lo “Europe Stage” allo Sziget Festival di Budapest, abbiamo fatto due chiacchiere con Willie poco prima di salire sul palco, cercando di capire quanto sia importante tenere alta la bandiera della musica italiana nel mondo.

Cosa si prova a suonare in un palco del genere?

È strano, è stato strano quando mi han detto che avrei suonato allo Sziget e ancora più strano quando mi hanno informato che avrei suonato la stessa serata di Kendrick Lamar…

Eh infatti, com’è?

Eh cavolo, com’è, è stranissimo! Quando mi danno un palco importante, devo dimostrare che non sono lì per caso, devo fare vedere che me lo sono meritato! È tutto bello poi, un posto come questo ti trasmette delle belle vibrazioni, sono tutti presi bene, mille lingue diverse. C’è la sensazione che non succederà niente di brutto, è questo che mi piace, sono tutti venuti per divertirsi, quindi divertiamoci!

È stato un anno molto importante per te, con un grande successo di pubblico. Sarà banale ma, quanto ti aspettavi di tutto ciò e quanto lavoro c’è stato dietro?

Il lavoro è tanto e più che decennale. Sai, ovviamente non vengono da sole le cose, se è successo è perché ci ho lavorato tanto. Ho sempre cercato di rimanere molto coerente con quello che faccio da quando ho 15 anni, tipo. Ho fatto quello che veniva, cercando di pormi il problema di quello che sentissero quelli sotto al palco, senza però sentirmi mai schiavo dei loro gusti. Crescendo, cambia la tua vita e anche quello che senti, quindi cambiano le sfumature del tuo sound. Io faccio quello che sento e basta, se poi piacciono, è semplicemente successo.

Che pubblico pensi che sia quello che ascolta il Peyote?

Io non ho preclusioni, sarebbe supponente decidere il proprio pubblico. Tu fai un pezzo, lo rendi pubblico, dopodiché ognuno ci fa quello che vuole, ed è giusto così. Per me può venire anche Salvini a un mio concerto, se se l’accolla, mi va benissimo, ci parlo pure post live. Io non parto prevenuto nei confronti di nessuno, tolti quelli di casa pound e forza nuova. Io parlo con tutti. Adesso sono finito nel calderone Indie e la gente viene ai miei concerti perché ascolta la playlist “Indie” su Spotify, non tutti sanno cosa aspettarsi dai miei live. Penso di avere un pubblico molto eterogeneo fortunatamente. In base a chi ho davanti, cerco sempre di calibrare lo show perché è importante che gli arrivi il messaggio.

Qual è il tuo obiettivo e il messaggio che vorresti dare?

Il mio messaggio è quello di incentivare un pensiero critico. Non voglio che la gente la pensi come me, voglio che la gente si faccia delle domande in più, che non viva per imposizione o per inerzia. Io vorrei solo che prendano in considerazione il mio punto di vista. In Italia penso che ora manchi l’empatia. Nel senso, se stai male tu non mi interessa, l’importante è che non stia male io. Questo pensiero lo vorrei scardinare perché non ha senso. Musicalmente parlando invece, fortunatamente non c’è un limite, non credo di essere un’artista che farà gli stadi, io cerco di migliorare e di alzare l’asticella. Oggi suono allo Sziget, fare meglio sarà difficile ma bisogna provarci, se poi capiteranno gli stadi ben venga!