L’ASCESA DI

J LORD

di Federico Ledda

Edit Simona Ladisa

make up by Ylenia DeGennaro

style by Mohamed Elhadi Hammami

from an idea of Federico Ledda

pictures by Alessandro Levati

L’ASCESA DI

J LORD

di Federico Ledda

edit Simona Ladisa

make up by Ylenia DeGennaro

style by Mohamed Elhadi Hammami

from an idea of Federico Ledda

pictures by Alessandro Levati

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È sicuramente curioso parlare del disco di debutto di J Lord per vari motivi. L’artista, che si è fatto notare grazie a importanti collaborazioni con personaggi come Ghali, Liberato e Massimo Pericolo, è contraddistinto dal flow così riconoscibile e maturo e non aveva ancora mai pubblicato un vero e proprio progetto. Viene da chiedersi, quindi, quanto sia effettivamente importante, ad oggi, il debutto con un primo album, se la sua carriera è già avviata grazie ad importanti collaborazioni ma, soprattutto, in virtù di un estremo talento. Nato nel 2003, l’artista napoletano di origini ghanesi è un concentrato di internazionale originalità e “NO MONEY MORE LOVE”, il suo primo disco, ne è la prova. È stato affascinante lavorare con lui e conoscerlo: Lord è un ragazzo con le idee estremamente chiare e, nonostante i diciannove anni ancora da compiere, è un vero e proprio imprenditore. Come tale ha deciso di investire tutto nella sua carriera e non potrebbe essere altrimenti se nasci con un dono così grande.

Che cosa significa per te pubblicare il tuo primo disco?

È il completamento di me stesso, finalmente ci siamo. Con l’uscita di questo progetto si concludono due anni di lavoro e fatica e si apre un nuovo capitolo rivolto al futuro. Sono davvero contento e fiero di me.

Come lo descriveresti?

Volubile, strano, ma soprattutto pieno di emozioni. C’è tutto dentro: dall’amore alla gioia passando per le mie paure. Non so che cosa si aspettasse la gente, forse un disco più cupo, invece è molto colorato e ricco di sfumature.

Come hai vissuto l’attesa della pubblicazione?

Non vedevo l’ora che uscisse, gli ultimi giorni sono stati difficili.

Quale traccia ti rappresenta di più in questo momento?

“Ekip skit”. Scrivere la parte della strofa è stato un vero e proprio sfogo e mi lascio andare, è un flusso continuo per tutta la traccia. Mi ha divertito lavorarci e devo ammettere che, tutt’ora, mi gasa ascoltarla. (ride, ndr.)

Com’è stato registrarla?

Stupendo! Il brano nasce da Dat Boi Dee e Umberto Mazzei. Entrambe sono due persone allegre, specialmente Umberto che è bravissimo a metterti di buon umore. Quando mi ha girato la prima bozza della base e ho sentito il beat sono impazzito. Talmente mi sono fomentato, che ho scritto immediatamente strofa e ritornello che sono poi rimasti così, senza mai essere modificati.

Continuiamo a parlare di questo lavoro, specialmente della canzone “She don’t like it” che contiene un contributo divertente e particolare. Ti va di raccontarmi come nasce quel messaggio audio?

Penso che la cosa bella di questo disco così solido e così maturo, sia che ti dà la possibilità di vedere oltre il rapper e di capire la persona che c’è dietro. Sono un ragazzo di diciotto anni e come tale vivo la mia vita. Forse lo dimentichi ascoltando l’album, quindi così è come se te lo ricordassi. Il pezzo poi mi piace molto, lo trovo stiloso.

Lei sa di essere presente nel brano?

Certo, ed è anche contenta! Pensa che è venuta a Napoli e le ho fatto sentire la canzone in macchina mentre ci facevamo un giro. Era sicuramente molto divertita. Ad essere onesto non me lo sarei mai aspettato, io non avrei mai reagito così! (ride, ndr.) Sai durante la lavorazione dell’album mi sono sbizzarrito nell’aggiungere alcuni dettagli impensabili ed elementi inaspettati che cogli solo se lo ascolti tutto.

Hai passato il primo periodo della tua carriera a collaborare con molteplici artisti e adesso sei tu a scegliere i featuring, cosa si prova?

Bello, è stato come chiudere un cerchio. Sono tutti molto amici e mi hanno sempre dimostrato lealtà. Ho passato momenti speciali con loro, mi sembrava giusto e doveroso coinvolgerli nel mio primo progetto.

Il tuo suono è sorprendentemente internazionale, così come l’immaginario che piano piano stai costruendo. Continuando a parlare di collaborazioni, a livello internazionale con chi ti piacerebbe interfacciarti?

Ti dico solo un nome: Kendrick Lamar. È un sogno così grande che non potrei dirti nessun altro. Se un giorno mai dovesse capitare, questa intervista sarà la prova che lo è da sempre.

Sei stato a New York per scattare tutte le foto promozionali del disco, che senso ha avuto per te recarti negli Stati Uniti non per vacanza, ma per un lavoro effettivo?

Per tutta la vita mi hanno sempre detto: “tu vuoi portare l’America a Napoli?”. Sinceramente per me è stato estremamente naturale andarci, mi sono sentito capito. Adesso sì che l’ho portata l’America a Napoli.

Ascoltandolo vieni catturato da un particolare insolito: dopo metà album estremamente Hip Hop, arriva “Tiffany” che tanto ricorda “Billie Jean” di Michael Jackson. È un omaggio?

Assolutamente sì, ce l’ho pure tatuato! Il clap è lo stesso, bravo che l’hai riconosciuto. Il ritornello di questa canzone lo scrissi molto tempo fa, pian piano poi sono state scritte le strofe. È un brano che mi permettere di andare oltre, uscire dalla mia comfort zone per fare vedere all’ascoltatore che riesco a fare tutto. Ho scritto una traccia per ogni mood, puoi davvero selezionarle in base al tuo stato d’animo.

Ti piacerebbe cimentarti con cose più soul e R&B?

Sì e lo farò. Questo disco non è né un punto né una conferma. Può essere solo un inizio.

Hai diciotto anni e al di là della tua carriera in ascesa, sei un ragazzo. Come concili le due facce della medaglia?

Vivono bene entrambe. Cerco di essere sempre me stesso e credo che una influisca sull’altra inevitabilmente. Ho molto in chiaro ciò che voglio diventare, quindi cerco di comportarmi sempre in maniera sensata e meno spensierata rispetto a qualche tempo fa. La cosa importante però è che rimango sempre me stesso.



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