
LA FORZA DI
GINEVRA
di Federico Ledda, foto Alessandro Levati
LA FORZA DI
GINEVRA
di Federico Ledda, foto Alessandro Levati
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Con Femina, Ginevra lascia da parte l’etereo e l’elettronico dei lavori precedenti per abbracciare una forma più cruda, suonata, carnale. Un disco che parla di identità, di desiderio, di trent’anni vissuti senza più paura di sbagliare tono. Un lavoro profondo e viscerale, che attraversa la femminilità senza mai definirla, ma moltiplicandone le sfumature. L’abbiamo incontrata per farci raccontare com’è nato.
Partiamo dal titolo: cosa rappresenta Femina?
Non volevo restare incasellata in un solo genere, avevo bisogno di un cambio di pelle. Volevo che le canzoni fossero più dirette, più crude. Femina è nato così, da una ricerca libera, identitaria. Solo dopo aver scritto tutti i brani ho capito che lì dentro c’era un racconto preciso, legato alla mia femminilità e a tutto ciò che comporta: la bambina, la ribelle, l’adulta, l’amica, la donna.
Hai parlato di femminilità: c’è un brano che la rappresenta più di altri?
Per me, sono tutti femminili. 30 anni, ad esempio, è scritto al femminile e lo dedico anche a mia nonna. Non volevo essere neutra: volevo che si percepisse chiaramente chi ero. Poi c’è Ragazza di fiume, una figura libera, scalza, fuori dalle regole: mi ci ritrovo tanto, ovviamente c’è anche Femina che è un manifesto. Spero che arrivi soprattutto alle donne come messaggio di libertà e riconoscimento.

La produzione è molto suonata, quasi da band. Una scelta consapevole?
Assolutamente. Con i fratelli Fugazza che amo, e Domenico Finizio, che poi fa parte della band Tropea, volevamo un sound più organico, suonato, diretto. Poca elettronica, molte corde e strumenti veri. È un disco che ha il sapore del folk e del rock, con un approccio quasi analogico. Ho riscoperto le mie radici, anche musicali.
Come nasce Spacco Tutto, il feat con Meg?
All’inizio era più elettronico, poi l’abbiamo trasformato per farlo rientrare nel mondo sonoro dell’album. È un brano forte, con una base suonata drum and bass, e un testo rabbioso ma liberatorio. Non sono una che spacca cose, ma qui volevo raccontare anche la fisicità della rabbia. Meg per me è stata una scelta naturale: una sorella maggiore artistica, una figura di rottura. E c’è anche la penna di Alda, rapper che stimo molto.

Un brano che avresti voluto scrivere tu per questo disco?
Più che un brano, ci sono diverse artiste che mi hanno ispirata: Ethel Cain, Feist, Fiona Apple, Mitski, Carmen Consoli… donne che seguono il loro percorso senza farsi incasellare. Da loro ho imparato che si può — e si deve — essere sé stessi.
Parlando sempre di ispirazioni, qual è un film che ti ha influenzata durante la scrittura?
Direi Povere creature. Mi ha colpita la rappresentazione di una femminilità esplosiva, fuori da ogni schema. Mi ha ispirata più visivamente che musicalmente, ma è stato un riferimento forte.