GHEMON –

THE KID ALWAYS DELIVERS

Photographer Alessandro Levati

Photographer’s assistant Dino Gulino

Make up Emanuela Caricato

Styled by Federico Ledda

Location Wooding Bar, Milano

Interview Federico Ledda

Art Tommaso Tronconi

GHEMON –

THE KID ALWAYS DELIVERS

Photographer Alessandro Levati

Photographer’s assistant Dino Gulino

Make up Emanuela Caricato

Styled by Federico Ledda

Location Wooding Bar, Milano

Interview Federico Ledda

Art Tommaso Tronconi



“Mi ricordo uno sketch bellissimo di Nanni Moretti che diceva: ”Ma come parli?! Le parole sono importanti!” Sono fondamentali le parole, sono la mia vita.”

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Che anno che è stato per The Eyes Fashion.
L’ultima copertina dell’anno e, la seconda del The Eyes 2.0 non poteva che non essere dedicata a un’altra persona per cui questo è stato un grande anno: Ghemon!
Grande anno, grazie a un grande disco intitolato ”Mezzanotte” che, rilasciato a metà anno ha segnato il ritorno di uno degli artisti, a mio parere, con il flow più interessante della scena italiana. Rapper? Cantante? Non servono etichette, mi piace pensare che lui riesca a catturare il magnetismo di entrambe le cose per farle diventare un unico elemento speciale, che più che con un genere lo si può definire solo col suo nome o al limite, con quello del signor Frank Ocean.
L’amore che ha Ghemon per la musica glielo si legge negli occhi, quando ci confrontiamo sugli artisti che entrambi abbiamo sentito live, quando parla della lavorazione del disco o, del tour che lo sta portando in giro per tutta Italia registrando molti Sold Out.
Ah, perché il titolo del numero di The Eyes Fashion è “the kid always delivers”? Leggetelo e lo scoprirete….

Quanto sono importanti per te le parole?

(ride, ndr.) Mi ricordo uno sketch bellissimo di Nanni Moretti che diceva: ”Ma come parli?! Le parole sono importanti!” Sono fondamentali le parole, sono la mia vita.

Quanto sono importanti nella tua musica?

Sono tutto. Sono il punto di partenza. Per quanto riguarda questo disco, è arrivato come se fosse un laboratorio. I testi sono stati l’inizio per idalogare con i miei musicisti. Per la mia musica in particolare sono sempre state fondamentali. Mi hanno aiutato a trovare persone con la mia stessa visione o, comunque mi sono servite per fare capire la mia.

Tra l’altro il disco sta avento un exploit gigantesco. Te lo aspettavi un ritorno con così tanti consensi?

E’ facile confondere l’ambizione con la mancanza di modestia. So che ho messo tanto in questo disco. Ti faccio un parallelo con lo sport: se tu ti alleni duramente per un anno, non è per forza detto che vinci la medaglia d’oro. Dico questo per dire che non ambisco per forza al disco di platino, però dall’altro lato sono sicuro che nel disco ci sono delle cose interessanti e nuove. Ci vuole del tempo per assorbirle. Quindi l’exploit è ottimo ma secondo me è un disco che si apprezza con il tempo. Credo che debba fare ancora molti danni.

Dicevi che il disco di platino non è che lo meriti perché ti sei impegnato. Anche perché c’è gente che si impegna ma fa merda detto proprio fuori dai denti. Mentre questo disco è molto figo, si sente che ci hai messo tanto di tuo. Qual è la traccia che più è stata una liberazione scrivere?

Difficile! Sicuramente ”Un Temporale”. Se ci pensi è un pezzo che sta avendo un bel riscontro. E’ il pezzo che le radio stanno supportando di più di tutta la mia carriera. Il brano poi è stato scritto e composto da me, nel soggiorno di casa mia. Avere quindi un pezzo, che in realtà è uno sfogo così intimo, mi rende fiero. E’ una traccia che si porta dietro un sacco di cose speciali quindi ci sono molto legato, mi ha dimostrato che potevo anche comporre.

Come ti definisci tu? Alcuni dicono rapper, alcuni cantante…

Io mi giro in entrambi i modi. Come quando mi chiamano Gianluca o Ghemon. Diciamo che se mi dicono cantante e si dimenticano di dire rapper un po’ mi incazzo.

E se dicono il contrario?

Se dicono solo rapper aggiungo sempre che in realtà, io, canto anche. Concettualmente parlando sembra una forzatura, ma non vedo perché non is possa fare entrambe. All’estero lo fanno tutti, vedi Childish Gambino, Drake o Bryson Tiller… L’importante è avere un messaggio da veicolare.

E il tuo qual è?

Ce ne sono diversi.

Uno potrebbe essere che (leggendo il tatuaggio che ha sul braccio, ndr.) il ragazzo consegna sempre?

Ovvio! Il ragazzo consegna sempre! (ride, ndr.)

Ma cosa significa?

E’ un gioco che è nato un sacco di tempo fa con Macro, di Macrobeats. Scherzosamente all’inizio era perché eravamo andati a una serata rap e avevamo portato un po’ di dischi da vendere. La serata fu un po’ sfortunata e vendemmo solamente un disco. Quindi ci siamo detti che quello era lo standard minimo da cui partire. Da uno in poi il banchetto sarà sempre andato bene. La storia è poi andata avanti con i miei live. Dopo i concerti chiedevo com’èra andato il banchetto con i dischi e, magari una volta andava bene e ne vendevamo trenta, una volta cinque. Era sempre meglio di quell’uno però! Da allora mi sono inventato che il ragazzo consegna sempre, porta a compiento sempre la sua missione diciamo. E da là è diventata una cosa più grande, perché portava la consgna di un messaggio, non più di un disco. Ad esempio: ”Com’è andata quell’intervista? E’ andata bene, sono stati molto contenti, il ragazzo consegna sempre”. Il punto è proprio quello. Non essere il miglior rapper di tutti i tempi o quello che vende di più ma, consgnare un messaggio. The kid always delivers.

Cosa stai ascoltando in questo periodo?

Apriamo il mio Spotify! Mi stavo ascoltando l’ultimo disco di Kehlani che mi è piaciuto tantissimo. Kelela, SZA… l’ultimo album di Miguel. Ultimamente sto ascoltando tantissime artiste femminili perché stanno veramente spaccando.



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