INFINITY SONG
di Federico Ledda
edit Simona Ladisa
art Tommaso Tronconi
fashion Mohamed Hammami
pictures by Johnny Dalla Libera
INFINITY SONG
di Federico Ledda
pictures by Johnny Dalla Libera
fashion Mohamed Hammami
art Tommaso Tronconi
edit Simona Ladisa
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Dal cuore di New York alle platee internazionali, gli Infinity Song hanno trasformato la loro musica in un viaggio incredibile. Nati come emblema del basking nella Grande Mela, erano il motivo per cui i turisti facevano tappa obbligata alla Bethesda Fountain di Central Park, sperando di incrociare le loro voci armonizzate e il loro carisma. Il 2016 è stato l’anno della svolta con la firma di un contratto con Roc Nation e Jay Z, ma è nel 2023 che la band ha raggiunto nuove vette con Hater’s Anthem. Questo inno ironico e potente, dedicato al self-love, ha conquistato fan tra Stati Uniti ed Europa, spianando la strada al loro progetto più ambizioso: Metamorphosis Complete.Con questo album, gli Infinity Song hanno costruito il loro immaginario perfetto, presentandosi come una band capace di fondere il rock folk degli anni ’70 con il soul moderno, in uno stile che sembra far incontrare i Fleetwood Mac e Prince. Il tour mondiale che ne è seguito li ha portati anche a Milano, dove li abbiamo incontrati prima di uno show magico. Dopo aver scattato alcune foto, ci siamo ritrovati a fine tour europeo per fare un bilancio di questa avventura.
Di ritorno dall’Australia per le ultime date de tour date, la band ha continuato a lavorare pubblicando a sorpresa il loro EP natalizio, Infinite Christmas, che rivisita con eleganza e un tocco personale i grandi classici delle feste. La loro musica è ipnotica, raffinata e autentica, una celebrazione di armonie familiari e della capacità di evolversi restando fedeli alle proprie radici.
Come state?
Abraham: Sto bene. Abbiamo appena concluso il tour europeo e tra pochi giorni partiremo per l’Australia. Qui negli Stati Uniti, domani è il giorno del Ringraziamento, quindi siamo in quella fase tranquilla tra la fine di una fase e l’inizio di un’altra.
State ancora lottando con il jet lag?
Abraham: Non so dirti gli altri, io lo sto sicuramente ancora affrontando (ride, ndr.).
Tornando alla vostra infanzia, crescendo, come vi siete avvicinati alla musica?
Abraham: La musica era parte integrante della nostra vita familiare, quasi parte del nostro DNA. Era ovunque, il filtro attraverso cui guardavamo il mondo. Nostro padre dirigeva cori a Detroit, la città della Motown, un posto con una ricca eredità musicale che spazia dal jazz al gospel, dall’R&B al soul, fino alla techno. Questo è stato il contesto musicale in cui siamo cresciuti.
Quando avete capito che volevate formare una band?
Abraham: Abbiamo formato la band circa 15 anni fa, quando ci siamo trasferiti a New York. Oltre a studiare musica, ci esibivamo come musicisti di strada, specialmente alla Bethesda Fountain di Central Park, una tradizione che abbiamo condiviso con nostro padre. In quegli anni sono nati gli Infinity Song.
Come avete scelto il nome della band?
Angel: Ci abbiamo messo un po’. Alla fine, io ho proposto “Infinity” e nostro padre “Song”. Il nome rappresenta la nostra fede in Dio come musicisti, creatori e narratori.
Cosa vi ispira di più nella scrittura?
Angel: Dipende da ciascuno di noi, ma personalmente mi ispira ciò che sto vivendo in quel preciso momento e lo trasformo poi in musica.
Ci sono album o artisti che vi hanno influenzato?
Abraham: In famiglia ascoltavamo gospel, jazz e musica classica, i pilastri della nostra educazione musicale. Nostro padre ci faceva ascoltare Pat Metheny, Ella Fitzgerald, Marvin Gaye, i Winans e tanta musica classica, da Bach a Mozart e crescendo abbiamo aggiunto pop, hip-hop e R&B. Ognuno di noi ha poi i propri artisti preferiti, ma oggi, ad esempio, la mia canzone preferita è Baltimore di Nina Simone.
Israel: Io invece ho alcuni artisti che mi hanno particolarmente influenzato, impossibili citarli tutti ma tra i principali ci sono sicuramente Michael Jackson, Kanye West e Coldplay.
Qual è il vostro traguardo più importante finora?
Abraham: Più che i riconoscimenti esterni, sono orgoglioso della nostra perseveranza e del fatto che siamo ancora qui a fare musica insieme. È stata una lunga strada e il vero successo per quanto mi riguarda, è quello di essere arrivati dove siamo, tutti insieme.
Devo ammettere che mi capita spesso di ascoltare la vostra musica. Il mio brano preferito è Sinking Boat, me ne parlate?
Abraham: L’ho scritta e prodotta io. Non ho mai spiegato il processo o l’ispirazione perché voglio che chi ascolta la interpreti liberamente. È un mix tra apocalittico e festaiolo: il mondo può essere un posto difficile, specialmente al giorno d’oggi e a volte tutto ciò che puoi fare è distaccarti e ballare.
Avete un posto preferito tra quelli visitati in tour?
Momo:Amiamo esibirci a Parigi: l’energia lì è unica, elettrica. È una città iconica, con un pubblico appassionato e devo dire che suonarci è sempre molto gratificante. Anche Londra ci dà grandi emozioni e Milano è stata divertentissima, Parigi però resta speciale, quasi al livello di New York, che è la nostra città.
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CAPOPLAZA – IL GIOVANE
FUORICLASSE DEL RAP ITALIANO
GIAIME –
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