NEL BACKSTAGE CON

RÓISÍN MURPHY

di Federico Ledda

foto di Bojan Hohnjec Studio

NEL BACKSTAGE CON

RÓISÍN MURPHY

di Federico Ledda

foto di Bojan Hohnjec Studio

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Piove a dirotto al Primavera Sound di Barcellona, ma sul palco c’è PJ Harvey che, come se nulla fosse, regala ai presenti una performance memorabile. Purtroppo per me, ho altri impegni e non posso godermi lo spettacolo. Mi dirigo dietro le quinte e mi ritrovo nel backstage: camerini coperti, bar, e artisti che chiacchierano tra loro fanno da sfondo a quello che sta per succedere. Vengo accompagnato al camerino di Róisín Murphy, pronta per la nostra intervista.
La dressing room di Róisín è praticamente un museo: tutti i numerosi cambi che sfoggerà poco dopo sul palco sono appesi in fila, mentre il tavolo è pieno di accessori: cappelli, occhiali da sole e gioielli. È come se la persona davanti a me fosse una qualunque, che diventa Róisín proprio quando inizia a indossare determinati indumenti, come un supereroe con il suo costume.
L’icona della musica elettronica, che ha iniziato la sua carriera come parte del duo Moloko, ha sicuramente contribuito alla rivoluzione della house music, forgiandola con hit grandiose come “Sing It Back” e “The Time Is Now”. Ha fatto lo stesso anche con la sua carriera da solista, dove disco dopo disco (l’ultimo è “Hit Parade”, uscito un anno fa) ha rivoluzionato il mercato sperimentando e rimanendo contemporaneamente fedele a se stessa. Questo, insieme ai suoi show estremamente coinvolgenti, ha fatto sì che la sua aura diventasse sempre più grande, ricevendo il rispetto di tutta la scena musicale mondiale.

L’anno scorso è uscito il tuo ultimo album, Hit Parade. Personalmente, è il mio preferito. Penso che sia molto profondo.

Grazie. Sì, ne sono molto orgogliosa. Sono molto orgogliosa di tutti i miei dischi, onestamente. Sono tutti come dei figli per me.

Com’è stato il processo di realizzazione?

Mi ha contattato Dj Koze per scrivere qualcosa per il suo album Knock Knock, un progetto interessante che ha incluso diversi artisti. Questo è successo circa sei, sette anni fa, e sono stata l’ultima a contribuire all’album. Una volta terminato il suo lavoro, si trovava con tantissime potenziali tracce che ha deciso di donarmi!

Davvero?

Sì, ha iniziato a mandarmi brani. Forse perché ero l’ultima e il rapporto era più vivo, non lo so… In più, devo dire che gli piace giocare con la mia voce, penso che in realtà lo si possa sentire nel disco. Tutto questo però è sempre avvenuto a distanza, non abbiamo quasi mai passato del tempo insieme. Quindi sono passata da un estremo all’altro: il mio album precedente, Róisín Machine, è stato fatto con Mark Brydon, che conosco da quando avevo 19 anni e che era nei Moloko con me, il mio migliore amico. Da un lato abbiamo qualcuno che mi conosce da tanti anni in maniera estremamente onesta e intima. Dall’altro, invece, c’è questa persona sotto forma di computer che si fa viva ogni tot da Amburgo mentre io sono a Londra. È stato un processo molto diverso.

È stato strano all’inizio?

No, non è mai stato strano. Le prime due tracce che abbiamo fatto erano per il suo disco: mi ha mandato le basi e poi io ho registrato la voce e gliel’ho mandata. Uno dei due pezzi è rimasto identico al primo draft, è stato chiuso e mai riaperto. La parte musicale e quello che ho scritto sono rimasti nelle stesse posizioni di come gliel’ho consegnata. Nell’altra, invece, è cambiato tutto: la tonalità e anche la musica. Ho quindi sperimentato un po’ di tutto ciò che poteva accadere e questa cosa mi ha aperto la mente. Sono molto paziente in realtà con persone come Stefan, perché mi stanno dando tanto, quindi rendendomene conto, posso essere molto tranquilla. Poi ha subito messo le mani avanti, dicendomi che non voleva avere alcuna pressione con le tempistiche, voleva che il progetto fosse fatto bene e a modo suo.

Diciamo quindi che è lui che guida.

Sì, lui guida e tu ti devi fidare. Sono produttori unici e che lavorano a modo loro. Non puoi nemmeno capire dall’inizio che cosa potrà essere, devi solo lavorare e poi lo scopri. Se interferisci con questo, allora non ottieni quello che volevi all’inizio.

Qual era il tuo obiettivo?

Volevo che il progetto fiorisse con autonomia, che prendesse una piega naturale. Devo dire che l’unico merito che mi si può dare è quello di averlo fermato dal buttare via molte cose. Ho interrotto la frustrazione del “non è abbastanza buono, non possiamo usarlo” e spesso riuscivo a convincerlo.

L’anno scorso sono stato al tuo concerto al Castello Sforzesco di Milano. È stato magico. Sono sempre stato affascinato dal modo in cui fai lo spettacolo, credi davvero in quello che fai, ti diverti e si vede. Che cosa ti emoziona quando fai i concerti, nonostante gli anni di esperienza?

Essere sul palco è prezioso per me. È molto strano che mi sia trovata lì, perché non avrei mai pensato che sarei diventata una cantante. Tutto è successo molto accidentalmente per me, ma quando mi sono trovata sul palco la prima volta, mi è subito sembrato posto per me, era il destino che mi ci ha portata. Ho scoperto che amo esibirmi, sono a mio agio. Ogni volta che ho lavorato a un album, ho poco dopo sviluppato uno spettacolo per ognuno di quei dischi. Questo mi dà longevità, mi entusiasma creare sempre qualcosa di nuovo. Certo, nessuno guadagna più dai dischi e fare concerti è ormai necessario, ma penso che se il mondo fosse fermo a trent’anni fa, renderei i concerti comunque parte integrante della mia carriera.

Qual è stato lo spettacolo più sbalorditivo che hai mai visto da spettatrice?

Uno dei più influenti è stato Grace Jones a Firenze. Alcuni anni fa, anzi, molti anni fa ormai (ride, ndr.), sono andata con un’amica in Toscana per il fine settimana. Lei suonava lì, così siamo andate. Non era uno dei suoi grandi spettacoli, penso che ci fossero solo uno o due altri musicisti. Era semplice e pulito: c’erano delle scale nere e quattro luci, una macchina del vento e lei. E ovviamente il tassello più importante: musica incredibile. Le sue canzoni sono fantastiche, monumentali, e il suo catalogo è semplicemente sbalorditivo. Il fatto che non ci fossero esplosioni, duemila schermi, e quindi non una produzione imponente, l’ha reso ancor più carismatico. Mi ha insegnato che anche se ormai siamo bombardati dai concerti, puoi comunque lasciare il segno, anche solo con una scalinata e del vento.

Poco fa ho realizzato che il tuo EP, Mi Senti, ha compiuto 10 anni circa qualche settimana fa. Che cosa ti ha spinto a realizzarlo? Come hai scelto le canzoni?

Beh, il mio partner è italiano ed è anche un produttore musicale, l’ho incontrato facendo musica. Poco dopo che ci siamo innamorati, mi ha inviato a mostrare un sacco di cose italiane incredibili su YouTube: spettacoli televisivi straordinari di Mina e Patty Pravo e mi ha anche fatto ascoltare molto Lucio Battisti. Mi ha dato una comprensione molto ampia della musica degli anni ’60, ’70, ’80.

La nostra golden era!

Esatto, è quello che mi dice anche lui! Inoltre, sono rimasta davvero colpita dagli spettacoli televisivi. Immense produzioni, vestiti sfarzosi e l’orchestra! Per non parlare della regia: era come se Fellini stesse dirigendo Top of the Pops, capisci cosa intendo? Essendo estremamente colpita, un giorno mi ha mostrato un video di Mina che canta “Non credere”, dicendomi che quella canzone l’aveva scritta suo zio. Mi ha colpito tantissimo il video: inquadratura strettissima sul suo viso che si allarga e si stringe, unico piano sequenza, veramente intenso. Ho studiato il labiale e ho imparato la fonetica scrivendomela. Così l’ho imparata per fare una sorpresa al mio compagno.

Qual è stato il processo? Come hai scelto le canzoni?

Lui mi mostrava di tutto e mi consigliava cosa dovessi sentire. Ci tengo a dire che un po’ mi pento di averne scelte alcune tipo “Ancora, Ancora, Ancora”. Quando cerco di cantarla e di salire penso: “Cavolo, ma come fa!”.

Hai mai sentito “Brava”?

Sì, quella è stupefacente. Amo tutto di Mina. Amo il modo in cui riesce a gestire tutto, sai. Può essere circondata da incredibili set, l’orchestra, il pubblico, l’outfit di Paco Rabanne, le telecamere che arrivano da lontano e puntano su di lei, e tutto il resto, ma non è mai sopraffatta da niente di tutto ciò. Puoi avere un mitra in mano, non si stupirebbe comunque. È sempre lei la cosa più potente al centro dello schermo. La trovo anche estremamente espressiva, anche quando non capisco di cosa sta cantando, capisco di cosa sta cantando.



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