LA RINASCITA DI

MIKE LENNON

di Carlo Di Piazza

LA RINASCITA DI

MIKE LENNON

di Carlo Di Piazza

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Abbiamo avuto modo di fare due chiacchiere con Mike Lennon, l’esponente principale dell’Asian Rap. Questa è la corrente del rap che grazie all’ironia affronta e smantella gli stereotipi razziali legati a chi viene additato come Cinese da chi non si fa troppe domande su ciò che lo circonda. Lennon si è voluto porre come una specie di eroe per chi ha avuto un vissuto simile al suo. E’ riuscito a prendere ciò che da piccolo lo feriva per farne la sua arma vincente, andando contro chi non credeva in lui.
Mike esordisce nel 2018 con Konichiwa, dando il via a un percorso lungo due anni. In questo arco di tempo costruisce un mondo e un immaginario a cui rimane fedele con pazienza e dedizione, che gli consente di crearsi un pubblico sempre più vasto e affezionato. Shumai e Aligatò segnano la sua ascesa, culminata con l’EP Asian.
Ora, il 24enne di Parma si ritiene pronto a passare alla fase successiva del progetto Mike Lennon, mostrandosi a 360°, includendo anche l’uso della R.

Ciao Mike piacere conoscerti, in primo luogo volevo chiederti come stai?

Sto bene, sono molto carico: ho lavorato come un pazzo e inizio a vedere che tutto inizia a concretizzarsi, quindi sono pronto a iniziare questo nuovo percorso.

Come hai usato questi mesi di quarantena?

Ho fatto tante cose, dalla musica, a mettere giù le idee che sto realizzando ora, come ad esempio il documentario che è appena uscito. Ho avuto modo di riflettere tanto: saremmo dovuti partire prima ma chiaramente l’emergenza sanitaria ci ha rallentato. Ma alla fine è sempre così: nel peggio bisogna sempre vedere qualcosa di buono.

Un altro artista che è nato come producer è Kanye West, quanto ti ci rivedi in lui?

Il paragone con Kanye mi piace molto, perché mi sento molto vicino a lui, soprattutto come mentalità e nell’approccio alle cose, di vedere l’arte e il prodotto a 360°. Io sono partito facendo i beat, poi ho iniziato il progetto in inglese anche se in Italia era difficile che attecchisse per la barriera linguistica… Quindi ho deciso di passare all’italiano e iniziare questo progetto con Lussorio (suo manager ndr.). L’idea era quella di prendere gli epiteti che da piccolo mi ferivano e renderli i miei punti forti.

Guardando il tuo percorso, emerge una grandissima pazienza, qualità rara al giorno d’oggi dove tutti vogliono tutto subito…

Ho visto questo percorso dell’asiatico come un’opportunità per mettermi in gioco e per fare qualcosa che nessuno ha mai fatto nel panorama attuale. A me piace dare forma a un’idea e penso che ci siamo riusciti con sta cosa del Cinese. Ho tanti progetti in mente, adesso penso al disco. Sono tre anni che ci lavoriamo e voglio che sia la massima espressione di me adesso.

Come hai imparato l’inglese così bene?

L’inglese lo so perché sono sempre stato appassionato della cultura Black, non solo Hip – Hop. Ho guardato tantissimo Youtube, e in più ho dei parenti in America a Washington che ho visitato per un paio di estati. Lì si giocava molto a basket e giocavo con gente di qualsiasi etnia, tra cui ragazzi neri che parlavano molto in slang. Però la cosa più importante è che a me piace molto approfondire. Ogni cosa che faccio la voglio approfondire al massimo, con l’inglese, per esempio, mi interessava studiare la fonetica di come suonano le parole e di come possano stare bene in musica.

La tua vicinanza a questa cultura, pensi che ti possa dare una marcia in più?

Non so, forse è arrogante dirlo. Però penso di conoscere la cultura a pieno. Per dirti, la tesina delle medie era sul rap. Sono cresciuto ascoltando il boom bap: gente come i Cypress Hill etc. Sono cosciente di quello che sto facendo. Io ho cercato di approfondire tutto ciò che riguarda la musica: dal mix al mastering alla scrittura. Mi piace sapere il più possibile e non penso di saperne mai abbastanza.

Tra gli artisti di oggi, chi ti piace e chi ti ispira maggiormente?

Ultimamente ne parlo spesso. Faccio fatica a trovare gente che mi piglia. A me piace l’artista a 360°. Tra quelli che preferisco ci sono Post Malone, Tyler, The Creator e Pharrell. Della nuova scuola mi piacciono le canzoni ma faccio fatica a legarmi al progetto artistico. Tutto diventa virale e non ci si affeziona ai progetti, ma ai singoli. Io cerco un immaginario che duri nel tempo. Non il singolo o la parolina del momento.

Secondo alcuni, la prossima wave sarà l’afrobeat. Cosa ne pensi?

L’afrobeat spacca, ma in Italia forse farebbe fatica perché abbiamo una cultura musicale diversa, ma già nel disco di Ghali abbiamo sentito cose fighe. Personalmente non sto a pensare ai generi, a me piacciono un po’ tutti e li ho ascoltati un po’ tutti. a me piace quando la musica è bella, quando è autentica e riesco a vedere un messaggio. è questo il mio modo di ragionare. Se nel prossimo album voglio fare una cosa distorta, la faccio. Voglio sentirmi libero.

Cosa vorresti che l’ascoltatore colga del tuo prossimo disco?

Voglio lasciare libertà all’ascoltatore. Ne parlavo ieri: Picasso non ha mai dovuto spiegare il Guernica, lo guardi e sono cazzi tuoi (ride ndr.) Quindi quello che vorrei è che chi ascolta il disco riconosca un sound, una firma unica legata a me. Vorrei che si capisse l’autenticità di quello che stiamo facendo. Poi che sia innovativo o no, non sarò io a deciderlo. Rispetto al Cinese è un altro mondo.

Per cosa sei grato a Mike Lennon di questi ultimi due anni?

Sono grato della sua pazienza, ha avuta una pazienza che in pochi hanno avuto (ride ndr.). Ha avuto una grande perseveranza e dedizione, e gli sono grato perché mi ha fatto fare cose divertentissime che non avrei mai pensato di fare, dalla radio ai festival. Inoltre, vorrei ringraziare tutto il mio team che cerca di sostenere le mie idee pazze.