PAOLA ZUKAR –

HIP HOP FOR THE MASSES

Pictures by Johnny Dalla Libera

di Federico Ledda

PAOLA ZUKAR –

HIP HOP FOR THE MASSES

di Federico Ledda

Pictures by Johnny Dalla Libera



” È più uno stato mentale se ci pensi. Oggi, qualsiasi cosa che nasce underground dopo 48 ore può diventare mainstream. “

Nullam consectetur mauris in nisl porta mattis. Proin id malesuada metus, eu venenatis nunc. Sed a lectus sem. Vestibulum eu lacinia erat. Quisque ac porta ligula, et consectetur libero. Nullam auctor, arcu eu tincidunt tincidunt, metus nulla faucibus ligula, eget condimentum mauris nibh eget ante. Praesent tincidunt velit velit, vitae tincidunt enim congue id. Duis varius mollis ipsum, eget mattis elit consequat id. Vivamus congue faucibus condimentum. Maecenas arcu mauris, sollicitudin ut tortor nec, ultricies lacinia erat. Phasellus finibus lectus ut lectus euismod pellentesque. Morbi lorem nibh, pulvinar viverra diam sed, rhoncus accumsan urna. Aenean vestibulum lectus placerat nisi fermentum euismod.

Negli Stati Uniti, secondo i dati raccolti da Nielsen Music, l’Hip Hop ha superato il Rock diventando il genere più ascoltato in tutto il paese. Hip Hop for the masses quindi. Oltre che in America, pure senza dati alla mano, anche in Italia è tangibile quanto l’hip hop e la trap stiano colonizzando, finalmente, il mercato. Sembra passato un secolo da quando il primo disco di Fabri Fibra sotto una major ha, a modo suo, cambiato le sorti della musica italiana. Il disco era ”Tradimento”, l’anno era il 2006 e dietro a questo progetto c’era Paola Zukar. Appassionata di hip hop da tutta una vita, manager di Fabri Fibra, Marracash, Clementino e Tommy Kuti, è uno dei volti principali dell’industria e mio idolo personale.
Presente sulla scena dagli anni 90, la passione e l’intraprendenza la portano a scrivere per la fanzine Aelle (Alleanza Latina) e a intervistare leggende come Tupac, Jay Z e Aaliyah.
Dopo la chiusura della rivista nel 2001 e dopo una serie di collaborazioni con Universal e altre etichette, nel 2005 fonda la Big Picture Management, dove gestisce gli artisti del suo roster e altri progetti, come la TRX Radio, la prima radio-app italiana completamente hip hop.
Che carriera fantastica, ci potrebbe scrivere un libro! Tranquilli, ha fatto pure quello e lo trovate in libreria dal 2017.
Carico di curiosità e agitazione stile ragazzina davanti al proprio idolo, sono andato a conoscerla negli uffici della Big Picture, trovando dall’altra parte del tavolo, tra pavimenti e muri mandorlati, una delle persone più piacevoli e interessanti della terra. Signore e signori: Paola Zukar.

Avendo letto il tuo libro e, conoscendo bene il tuo percorso mi piacerebbe partire dall’inizio: come è iniziato tutto?

Io ho iniziato fondamentalmente quando non c’era niente. Erano dei focolai di enorme talento che non si preoccupavano di fare musica per piacere a un pubblico ma per la necessità di farla. Non avevano bisogno di un’immagine forte, era la musica a parlare. C’era tanta voglia di fare. Ci credevamo tutti, noi in Aelle, i Sangue Misto, Sottotono e molti altri artisti rilevanti. C’era passione in quello che si faceva.

Come secondo te l’Hip Hop è cambiato in Italia rispetto agli anni ‘90?

L’Hip Hop è cambiato tantissimo, perché sono passati veramente tanti anni. In un’ottica temporale non è così tanto tempo, ma lo è per un genere misicale che ogni anno si rinnova. Più che cambiato, si è evoluto naturalmente. La generazione che ascolta rap adesso è un’altra rispetto alla precedente e, un’altra ancora rispetto alla mia. Siamo tre generazioni completamente diverse, è normale che le cose cambino, nel bene e nel male.

Una cosa che mi ha colpito leggendo il tuo libro, è la quantità di artisti che avete intervistato con Aelle. 2Pac, Aaliyah… Paragonati agli artisti contemporanei di quella grandezza, è impossibile riuscire a incontrarli per un’intervista. Come funzionava all’epoca? Come sono cambiate le cose?

C’era uno spirito diverso rispetto ad oggi che è tutto più segmentato. Le volte che andavamo in America con la rivista, all’inizio specialmente, quando era a tutti gli effetti una fanzine, la gente era comunque predisposta. Mi ricordo ad esempio quella volta che siamo andati a incontrare Jay Z alla Roc-A-Fella Records presentandogli in mano un numero che era un vero e proprio collage. Partendo dal presupposto che all’ora non era scontato che il rap americano funzionasse all’estero, erano quindi curiosi di conoscerne le dinamiche. Si domandavano come mai in questo paese, per loro credo, quasi mitologico, ci fosse gente che ascoltasse la loro roba. Noi ci stavamo abbastanza dentro, le domande erano abbastanza interessanti… Poi una volta stampata la rivista gliene mandavamo una copia. Diciamo che mentre prima se volevi diffondere il tuo messaggio sfruttavi ogni singola risorsa, adesso con i social e con tutti questi nuovi mezzi, l’artista può veicolare da solo il messaggio senza passare attraverso altre realtà, ecco perché secondo me si è un po’ chiusa questa porta.

Trovi che abbia senso come metodo?

Guarda, parlandoti da manager ti dico di sì. Nel senso che a volte passare dalla stampa è pesante. Alcuni vogliono per forza trascinarti nel loro punto di vista, hanno già il titolo pronto, le risposte, tutto. Ma dall’altra parte, confrontarsi con una persona esterna sul proprio lavoro è importante. Diciamo che quando diventi importante puoi decidere tu con chi parlare e con chi no. Non capisco quelli che si lamentano e dicono “parla con lui e non con me”, ma perché chi ha detto che è obbligato a parlare con te?

Proseguendo con la tua storia, come hai fatto a fare capire a un’etichetta che Fabri Fibra faceva a caso loro? Come hai fatto a fargli capire che anche in Italia era l’ora dell’hip hop?

Sostanzialmente perché costava poco come progetto. L’etichetta proprio di interesse non ne aveva, fortunatamente è arrivato poi Pascal Negre, presidente di Universal Francia e grande appassionato di rap, che ha capito il progetto e ha voluto investirci. C’è da dire che se avessimo presentato un progetto estremamente costoso, come quelli di oggi, la risposta sarebbe stata negativa, ma semplicemente perché non c’era il mercato che c’è oggi. L’abbiamo fatto accettando le loro regole economiche.

Il fatto che oggi l’Hip Hop sia diventato così popolare, ne ha fatto perdere un po’ la credibilità secondo te?

Io penso che la credibilità persa, sia una circostanza comune a tutto. Non c’è più niente di autorevole e quindi tutto è autorevole e credibile. Ci sono personaggi sul web che raggiungono milioni di follower e non sono per niente credibili. Il rap è un genere che fonda le sue radici sull’autorevolezza. Marracash dice: “per me i due principi dell’Hip Hop sono represent e keep it real”. Quindi devi rappresentare un gruppo, che ti puoi scegliere te, può essere in qualsiasi campo eh, moda, musica, tutto. Però keep it real, cioè fai la tua roba e racconta quello che tu sei. Tenere questi due principi in un mondo in cui tutto è più volatile e basato sull’immagine, è più difficile. A causa della liquidità di questo periodo, non esiste più nemmeno l’underground.

Cos’è oggi l’undergorund?

È più uno stato mentale se ci pensi. Oggi, qualsiasi cosa che nasce underground dopo 48 ore può diventare mainstream. Tipo, il rapper che può essere Dref Gold, fa le sue cose, viene preso dall’etichetta di Sfera che già è grossa ed esplode. Quindi che undergound è? Però invece c’è ancora chi utilizza questo termine perché si rifà a quei canoni artistici o a quello stato mentale.

Arriviamo alla fine di questa intervista e arriviamo a parlare del tuo ultimo progetto, la TRX Radio. Sei stata un po’ ispirata da Beats 1, vero?

Molto. Poiché le radio mainstream hanno sempre passato poco rap le ho abbandonate molto presto. Ci sono ovviamente radio tipo 105 e Deejay che hanno incominciato sin da subito l’avvicinamento con il rap, però comunque rimanevano radio commerciali dove l’Hip Hop non è che avesse molto spazio. Infatti per tanti anni non ho più ascoltato radio.
Poi è arrivata Apple Music con questo progetto pazzesco che per me è Beats1 e ho ripreso ad ascoltarla. Da lì mi è venuta l’ispirazione di “provare a vedere”. Da sola non sarei arrivata a questo tipo di risultato. Parlandone con gli artisti del mio management, e con esterni con la quale non lavoro, hanno tutti sposato l’idea di essere curatori/programmatori. Calcola che i sei artisti che ad oggi sono selezionatori, sono prima di tutto dei grandi divoratori di musica. Dirai: “è scontato, sono rapper, fanno quello di lavoro”. In realtà sono proprio ferrati sulla storia del rap e sono capaci di cogliere sfumature che non tutti colgono. Infatti avere loro come autori di questa cosa, dà a TRX una profondità diversa, che solo un artista ti può dare. Il fatto di ascoltare che ne so, la playlist di Salmo, ti incuriosisce molto di più che ascoltare la playlist di uno speaker qualunque. Ci tengo a sottolinare che TRX radio è la radio di tutti gli artisti. Questi sei sono quelli con cui ho creato una base solida e credibile del progetto, ma chiaramente la radio è aperta a tutti. Abbiamo già ospitato la playlist di Capo Plaza, ci sarà quella di Noyz, di Gemitaiz… TRX Radio è la radio rap della scena italiana.

Come pensi che l’Hip Hop si evolverà nei prossimi anni in Italia e anche in America?

Impossibile definirlo. È un genere molto camaleontico, dove si appoggia ne assorbe il colore. Ricordo qualche tempo fa che andava l’EDM, e quindi c’erano featuring tipo David Guetta e Snoop Dogg. Poi è tornato a essere un po’ più cupo, influenzato da Atlanta e i suoni della south Georgia… È diventata trap all’inizio con Gucci Mane e poi ha avuto tutta questa deriva di giovanissimi e così via. Penso che per capire che strada prenderà bisognerà aspettare la generazione nuova e capire che ideali avranno e che influenze quindi prenderà.

Concludo chiedendoti i migliori tre album e concerti, che hai sentito di recente.

Unisco un album e un concerto e dico Kendrick Lamar con DAMN e il DAMN Tour. Il disco è pazzesco, semplice, scorrevole, sincero e figlio del suo tempo. Se ascolti quel disco, capisci mille cose. Mi è piaciuto tanto. Chiaramente poi metto Fenomeno di Fibra perché fare l’ennesimo album sotto major e sotto pressione, non è facile. Devo dire che è anche una figata come ha risposto il pubblico. Trovo che sia proprio un album ben fatto, con diverse sfacettature. Per i concerti, sono curiosa di vedere finalmente Eminem dal vivo, se non fosse venuto a Milano quest’anno, sarei sicuramente andata altrove a sentirlo. Ho visto Lil Wayne e Mac Miller, e c’era anche Birdman. Bravissimi. Come ultimo album ti dico Asap Ferg. Trovo che Always Strive and Prosper e Still Striving, siamo davvero fighi. Mi piace tantissimo il collettivo A$APMob, sono pazzeschi.



MORE ARTICLES