LAILA AL HABASH:

TEMPO PER ME

di Federico Ledda

LAILA AL HABASH:

TEMPO PER ME

di Federico Ledda

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Ci sono momenti in cui fermarsi diventa necessario, anche per chi di mestiere dà ritmo alle parole. Laila Al Habash lo ha fatto con Tempo, un disco che mette ordine tra gli incastri della vita e la consapevolezza di crescere. Dopo essersi fatta conoscere per la sua scrittura diretta, la cantautrice romana di origini palestinesi guarda dentro di sé e fuori dal rumore, affrontando il tempo come fosse uno specchio tangibile di ciò che cambia e di ciò che resta. Con lei abbiamo parlato di identità, fragilità e dell’arte di perdersi e ritrovarsi dentro i propri giorni.

Come stai?

Oggi è proprio una bella domanda. Ultimamente sono un po’ frustrata per tutto quello che sta succedendo, nel dover conciliare le varie parti della mia vita, lavoro, questioni personali, in un momento in cui ogni giorno accade qualcosa di importante, e spesso anche di negativo. In generale sto bene, non mi sta succedendo niente di grave, ma la testa è molto pesante.

Tu che hai origini palestinesi, senti ancora di più tutto questo?

Sì, lo sento di più anche perché parte della mia famiglia è ancora lì. La Palestina è sempre stata parte della mia storia, delle cose che ho respirato in casa e in cui credo. Adesso questa questione tocca tantissimi fronti della mia vita, anche personali. All’inizio del 2023, ad esempio, ho dovuto riflettere su aspetti della mia identità che non mi ero mai chiesta prima. Se proprio devo trovare un lato positivo in qualcosa di così doloroso, direi la solidarietà che sento nel mondo e il fatto che mi ha costretta a fare dei ragionamenti profondi su me stessa.

Cosa può fare, nel suo piccolo, una persona per contribuire alla causa?

Manifestare e donare alle organizzazioni che si occupano di fornire aiuti umanitari e sostenere le famiglie che vivono lì. Sui social se ne trovano tante, anche raccolte fondi dirette: lì internet e i pagamenti elettronici funzionano, ma la vita costa tantissimo.
E poi, soprattutto, evitare di votare chi appoggia uno stato che sta commettendo un genocidio, è importante fare attenzione a chi votiamo se vogliamo una Palestina libera.

Parliamo del tuo nuovo progetto, Tempo. È sempre affascinante come concetto. Come gestisci il tuo tempo? Riesci a trovarti degli spazi per te o sei più una persona da full work mode?

Questo disco si chiama così proprio perché mi sono resa conto che c’era qualcosa, nella mia gestione e concezione del tempo, che non era allineato. Faccio un esempio: da tutta la vita mi viene detto che sembro più grande quando parlo, ma esteticamente, fino a poco tempo fa, dimostravo sedici anni. Ricordo la sensazione di non essere presa sul serio per questo, come se servisse sempre “qualcos’altro” con me. È come se dentro fossi avanti, ma fuori non mi si desse la giusta credibilità. Nella gestione quotidiana del tempo invece oscillo tra due estremi: riesco ad arrivare in ritardo anche quando ho sei ore libere, ma allo stesso tempo posso diventare un robot di organizzazione millimetrica. Con questo disco ho capito che il tempo dipende tantissimo dalla velocità con cui lo vivi e dalla sua qualità, mi sto impegnando a fare un check costante su me stessa per non andare né troppo lenta né troppo veloce.

 

 

Sta funzionando? Stai trovando un equilibrio?

Ci sono giorni migliori e giorni peggiori. A volte vorrei rispettare tutte le promesse che mi faccio, come fare sport ogni giorno; altre volte semplicemente faccio quello che serve. Ma ho imparato che la flessibilità è importante e nella maggior parte dei casi riesco comunque a portare a casa il risultato.

Come sei arrivata a questo concetto?

È arrivato prima il titolo, poi tutto il resto. Mi succede spesso anche con le canzoni: scrivo qualcosa e anni dopo capisco davvero di cosa parlavo. In questo caso ho sognato di dire “il mio prossimo disco si chiama Tempo, perché è una cosa che abbiamo tutti gratis ma nessuno sa davvero come spenderla bene”. Quel sogno l’ho fatto mentre stava uscendo il mio primo disco. Non mi sono imposta di scrivere canzoni su questo tema, ma mentre i lavori precedenti erano molto incentrati sulla sfera emotiva e sulle storie d’amore, stavolta non avevo più voglia di stare lì. Non mi rappresentava più. Alla fine mi sono resa conto che le cose di cui volevo parlare avevano tutte a che fare con il tempo e quindi si è chiuso un cerchio.

Quali sono tre cose per cui perdi volentieri tempo?

Mia nipote e i bambini in generale. Da quando è nata lei non mi arrabbio più se un bambino urla in treno o in aereo: ho imparato ad avere rispetto per chi ha figli, cosa che prima non avevo. Poi le telefonate: mi piace quando qualcuno mi chiama solo per raccontarmi qualcosa. Anche se ho da fare, mi organizzo e ascolto, perché adoro i rapporti intensi. E infine… il meteo. So che sembra banale, ma è una delle ragioni per cui amo le isole. Quando ho tempo libero prendo un volo e ci vado. Lì il vento e il clima decidono tutto: se parti, se resti, cosa fai. È bello lasciare che sia la natura a dettare i tempi, non mi arrabbio mai se piove.

L’isola più bella dove sei stata?

Ne ho viste tante. Ho fatto immersioni in un’isola dell’Oceano Indiano che si chiama Maayafushi: un’esperienza incredibile che mi ha fatto nuotare con gli squali, amo il mare e i pesci. Ma sono molto affezionata anche a Ponza e a Ventotene.

Se una persona non ti conosce e non ha tempo, quale brano del disco Tempo dovrebbe ascoltare per capirti?

Ci ho pensato, e ho creato la tracklist proprio per questo: la prima traccia, Ritento. È quella che consiglierei, perché secondo me è lo statement del disco. Nel resto dell’album approfondisco meglio quello che lì dico in modo più diretto.

 

 


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