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IL FESTIVAL DEI TUOI SOGNI

di Federico Ledda

IL FESTIVAL

DEI TUOI SOGNI

di Federico Ledda

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Il No Borders Music Festival, ai laghi di Fusine, non somiglia a niente di già visto, è come se fosse un piccolo miracolo incastonato tra i monti, una sorta di tregua dalla frenesia che ti permette di concentrarti solo sulla musica e le bellezze che ci ha donato madre natura. Un evento giunto alla sua 30esima edizione che ormai più che un evento, è un vero e proprio rito. Cinquemila persone, non una di più, scelte quasi dal caso, fortunate per diritto poetico, si danno appuntamento qui, ogni anno, per condividere un privilegio raro: ascoltare artisti straordinari in un luogo che non ha nulla di straordinario, se non il fatto di essere rimasto intatto.

Ai Laghi di Fusine lo sguardo si perde continuamente: sulle cime che ti sovrastano, sui riflessi dell’acqua color smeraldo, sui volti delle persone che vengono da ogni dove e che parlano lingue diverse ma con la stessa attitudine gentile, come se ciascuno sapesse di essere ospite e volesse andarsene senza lasciare traccia. Non c’è ressa, non c’è frenesia, non c’è neanche quella tipica foga da “prima fila”: ognuno trova il proprio posto, fisico e mentale, e si siede in ascolto. Così quando Ben Harper sale sul palco — un palco quasi parte dell’ambiente — non serve che dica nulla. La sua musica, morbida, sussurrata, piena di luce diventa immediatamente parte del paesaggio, non c’è bisogno di rumore quando tutto intorno è già armonia.

Poi arriva Mika, e cambia l’atmosfera. Lui non si adatta al luogo: lo abita, lo reinventa, lo governa. Con l’energia di sempre e quella sua classica teatralità, trasforma le montagne in quinte sceniche, il lago in un fosso orchestrale, il pubblico in un ensemble da dirigere. Gioca, canta, racconta, fa ridere e come direbbe qualcuno, anche riflettere.

Quando esclama — con la felicità sincera di chi torna in un posto che sente casa — “non possiamo annullare tutti gli altri concerti, festival, rassegne e suonare solamente qui per sempre?”, non sembra una battuta: sembra un’intenzione. Perché davvero, qui, tutto sembra più giusto, più semplice, più vero. Non c’è marketing, non ci sono effetti, non ci sono ansie da performance. Solo un artista, un pubblico, e la natura che osserva in silenzio.

Il No Borders è una forma di resistenza. Alla velocità, alla superficialità, all’inquinamento visivo ed emotivo. Un luogo così non solo esiste, ma continua a esistere proprio perché chi lo vive sceglie di rispettarlo e di andarsene, ogni volta, come se non ci fosse mai stato.