IN TOUR CON
CARLOS KAMIZELE E RICKY BENETAZZO
di Federico Ledda
IN TOUR CON
CARLOS E RICKY
di Federico Ledda

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Marracash ha portato la sua visione live in una nuova dimensione con il tour “MarraStadi 2025”, uno show monumentale che ha unito narrazione, musica e performance in una chiave profondamente cinematografica. Al centro, come sempre, non solo l’artista, ma anche le persone che danno corpo e anima a quella visione. Tra queste ci sono Carlos Kamizele e Ricky Benetazzo, coreografi e performer che hanno firmato – dopo l’esperienza esplosiva del Marrageddon – anche la regia coreografica di questo nuovo viaggio. Insieme a loro abbiamo parlato di ispirazioni, metodo, intuizioni, sogni futuri e del ruolo sempre più cruciale che la danza può avere nel racconto di un concerto.
Cosa si prova a portare uno spettacolo negli stadi?
Carlos: È una grande responsabilità. Sai che non stai solo ballando: stai contribuendo a qualcosa di enorme. Per me quella pressione si trasforma in carica, in adrenalina. Artisticamente, è uno dei traguardi più alti che si possano raggiungere: ti senti parte di qualcosa di davvero importante..
Che cosa vi ha ispirato per questo lavoro?
C: Tutto nasce dal messaggio che Marra voleva trasmettere. Ci siamo trovati subito allineati: quello che raccontava ci apparteneva già, anche nella visione creativa, questo ha reso il processo molto naturale e stimolante.

Avete un momento preferito dello show?
C: Difficile sceglierne solo uno, ma “È finita la pace” per me è speciale: unisce danza e acting, e rappresenta bene lo spirito dello spettacolo.
R: Per me i momenti forti sono tanti: “Sport” e “Cliffhanger” ci hanno permesso di spingere sull’energia e sull’identità hip hop, mentre brani più introspettivi come “Bastavano le briciole” arrivano dritti al cuore, diciamo che è stato bello poter raccontare emozioni diverse con linguaggi differenti.
Avevate lavorato con Marracash per il Marrageddon, vi aspettavate di essere richiamati?
C: C’era una speranza. Con Marrageddon si era creato un team forte, una sintonia rara, in più Paola (Zukar, ndr.) conosce bene il nostro lavoro, ci lascia spazio. Però in questo mestiere non si dà mai nulla per scontato.
R: Esatto. Non hai certezze, ma è anche quello che ti spinge a dare sempre di più. Questo tour aveva una natura diversa, più cinematografica, e ci ha stimolati a superare ciò che avevamo fatto prima.

Quanto lavoro c’è dietro uno show del genere?
C: Si parte sempre da un ascolto profondo dell’artista. Poi si passa alla selezione dei ballerini – quest’anno abbiamo fatto un casting: 400 candidature, 8 scelti. Da lì, scrittura dei quadri, ricerca stilistica, e otto giorni intensi di prove, più l’allestimento con l’artista sul palco.
R: In più dietro c’è anche tanta progettazione mentale, io e Carlos lavoriamo molto in confronto continuo e funziona perché riusciamo a trovare una sintesi tra visioni diverse. Studiamo anche come si muove naturalmente l’artista: ci serve per integrarlo meglio nella narrazione. In questo show, il corpo di ballo ha un ruolo attivo, racconta, è parte della storia.
Con chi vi piacerebbe collaborare in futuro?
C: Ce ne sono tanti. Ghali lo sento vicino, così come Tiziano Ferro e Salmo. Anche Fibra, anche se non so quanto abbia bisogno di ballerini… Spesso mi immagino già i live di certi artisti, visualizzo lo show nella testa.
R: Più che nomi, ci interessa che sempre più artisti capiscano il valore dei ballerini. Non sono solo un’aggiunta, ma una parte essenziale dello spettacolo, basta vedere Beyoncé o Chris Brown. Anche senza che l’artista balli, la danza costruisce un racconto, dà forza e ritmo al live. In Italia si può fare, e siamo pronti.




















