VIVI INSIEME AI CANOVA
di Michela Luciani
VIVI INSIEME
AI CANOVA
di Michela Luciani
” Non è un genere come il reggae, il pop ha tante sfumature, quindi consente di rimanere pop anche se il prossimo disco sarà completamente diverso, rimarrà comunque pop. “
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Mangiarsi la notte e vivere la città è l’attitudine dei Canova, che sono tornati con il loro nuovo album Vivi Per Sempre con il quale non hanno perso nemmeno un briciolo della loro verve.
Vivono di emozioni e racchiudono tutte le loro esperienze all’interno degli album, per questo, come doveroso, ci siamo fatti raccontare qualche aneddoto.
Ora non vi resta che ascoltare il loro disco e rimanere vivi per sempre insieme a loro.
Il 1 marzo e’ uscito il vostro nuovo album vivi per sempre, cosa dobbiamo aspettarci di diverso da avete ragione tutti?
Siamo stati molto liberi nella scrittura, il primo disco lo avevamo fatto per noi non pensavamo neanche sarebbe andato da qualche parte, abbiamo scelto per questo disco delle tonalità più classiche rispetto ai suoni del primo che erano un po’ più sintetici. Abbiamo voluto sperimentare moltissimo con le chitarre, perché è uno strumento che ha fatto la storia ed è stato un pochino maltrattato negli ultimi tempi, invece noi come band siamo molto legati a questo strumento ed abbiamo voluto dargli l’importanza che si merita, sempre stando attenti a non fotocopiare sound troppo datati. C’è stata una cura sicuramente maggiore sia nei suoni che negli arrangiamenti, il primo disco lo abbiamo registrato in sei giorni, non avevamo neanche il tempo di studiare quello che sarebbe poi stato il risultato. Chissà cosa saranno i Canova al terzo, la nostra mente folle sta già pensando a più avanti.
Groupie è il tratto di unione tra i vostri due album e nasce da un racconto autobiografico, quali altre storie sono vere?
Le nostre canzoni sono tutte autobiografiche nel bene o nel male (ridono, ndr) le canzoni sono più un’esigenza che un modo per poi fare dei dischi, i nostri album racchiudono un anno di vita per esempio, e in questo anno di vita ci sono delle canzoni. Scrivere brani non è così divertente è come guardarsi allo specchio, ti giudica anche una canzone, magari ci sono cose che vuoi dire ma riesci a farlo solo tramite la musica, oppure scopri parti di te che non avresti mai pensato.
Quindi la scrittura di canzoni non è il massimo della felicità, però poi che diventino condivisione… ecco, questo è un aspetto molto bello. Noi suoniamo da tantissimi anni ed abbiamo scritto tantissimi brani, molti buttati perché ci servivano ad arrivare allo step dopo del nostro percorso, quei brani però sono serviti per migliorarsi e migliorarci come band.
A questo punto ditemi qualcosa di più sull’autobriografismo di groupie…
Il groupismo è un argomento un po’ vasto, groupismo nuovo neologismo (ridono, ndr)
Tieni conto che negli ultimi due anni di vita abbiamo girato in lungo e in largo (ridono di nuovo, ndr) e abbiamo scoperto tutto un mondo che pensavamo fosse solo nella storia, invece esiste ancora. Io però ho cercato nella canzone, forse non è stata capita, di inserire il romanticismo che c’è tra il cantante e una groupie, in qualche modo è una canzone in difesa di una ragazza che si innamora della canzone e di chi si sta esponendo, è sensibile, infatti dice… non mi ricordo più (legge il testo, ndr) “ogni voce che senti ha sempre lo stesso sapore” perché lei che senta la mia voce o quella di un altro si innamora lo stesso. Però a me piaceva molto raccontare la storia di quello che sarebbe potuto diventare al di fuori dei nostri ruoli, la vita ci avrebbe fatti incontrare lo stesso? È molto romantica in realtà, poi alla base c’è questo rapporto che esiste tra la passione per la musica ed i musicisti.
Va bene, non chiederò niente su threesome.
Ridono.
Goodbyegoodbye nasce dalla delusione che avete provato per la londra di oggi che ha infranto le vostre aspettative, un po’ la stessa sensazione che si prova in una relazione finita male, è questa l’analogia?
La canzone GoodbyeGoodbye nasce da un viaggio che ci siamo fatti tutti e quattro a Londra prima di registrare il disco. Londra per noi rappresenta quello che abbiamo sempre ascoltato, quindi pensavamo di andare là e prenderci una boccata di ossigeno prima di chiuderci in studio, invece io, a loro è piaciuta molto, sono rimasto molto deluso perché non ho trovato nessuna radice culturale Inglese, quella che un po’ ti immagini per stereotipo. Era tutto molto globalizzato, potevamo essere anche in America che non si sarebbe capito, la sera stessa è uscito il brano, quindi anche dalle esperienze negative, così appunto come può succedere in un rapporto sentimentale, è successo anche con un rapporto sentimentale verso una città, perché sì, alla fine il sentimento è lo stesso.
Come mi avete detto avete scritto tantissimo ed avete scartato molti pezzi, anche per questo album è stato così, come avviene la selezione?
La selezione è un po’ dittatoriale, io scrivo le canzoni, le guardo da lontano e dopo che le ho guardate da lontano dico ok, questa mi piace, in un secondo momento poi passa alla band.
All’interno dell’album non ci sono moltissimi brani e lui pensa siano i migliori (il loro manager, ndr) a parte gli scherzi, noi non vogliamo ripeterci, quindi volevamo avere un disco dove ogni canzone avesse il suo mondo, per questo non c’è un brano chiave del disco, queste canzoni creano un racconto, un anno di vita ecc… quindi il bello è proprio questo, che c’è una scelta anche dietro la scelta dei brani, alcuni li abbiamo recuperati, Ho capito che non eravamo e Quattordici sigarette esistevano già. Quattordici sigarette doveva entrare nel primo disco ma non ho avuto il coraggio e Ho capito non eravamo se la giocava nella riedizione duluxe, ovviamente sono tutti salti nel vuoto, non sai mai se stai facendo la scelta giusta però vai a naso.
Come per le canzoni pensante che ci sia un momento giusto anche per i gruppi? quanto è stata importante per voi la rivoluzione musicale degli ultimi anni?
I gruppi in Italia sono un po’ magri, perché comunque non è semplice in un mondo individualista come questo, fare squadra è molto complicato. Noi per fortuna siamo nati nell’era pre-internet, che detto così sembra cento anni fa, invece è sette o otto anni fa e non c’era ancora questo tipo di frenesia. Stare assieme aiuta benissimo a vivere ad affrontare le cose, noi abbiamo fatto tanti anni ad affrontare anche cose molto brutte, nel senso che non succedeva un cazzo e stare assieme dava un sacco di forza, abbiamo talmente spinto che è uscito un primo disco in un contesto e in un mercato che in quei due anni lì aspettava esattamente questo tipo di cose, quindi il disco è uscito proprio nel momento perfetto. È come se ci fosse stato per noi ma anche per altri gruppi un momento in cui la proposta coincideva con la ricettività, siamo stati fortunati a trovarci lì ma dico anche bravi ad essere stati pronti, è un’unione delle due cose, sono stati anni fondamentali per questo ricambio, che poi non è un ricambio, è giusto che convivano tanti tipi di musica, non è che deve esserci una dittatura indie o una dittatura tenori… che poi sono solo tre (ridono, ndr) è giusto che ci sia questa finestra nata dalla strada.
Più volte avete sottolineato di essere dei cantanti pop a differenza di molti altri vostri colleghi…
Si, più che altro perché è la verità, pop è una parola bellissima che ti offre la possibilità, soprattutto in musica, di avere tante forme. Non è un genere come il reggae, il pop ha tante sfumature, quindi consente di rimanere pop anche se il prossimo disco sarà completamente diverso, rimarrà comunque pop. Poi sai, la cosa dell’indie boh, forse è una cosa più di attitudine che di genere, più di “arriviamo dal contesto di locali minuscoli” e magari ancora per tanti fa paura definirsi popolari, c’è un po’ di vergogna perché per diversi anni è stato usato con accezione negativa, sinonimo di bassa qualità e di roba usa e getta. È proprio una questione di linguaggio, in Italia una chitarra elettrica fa subito una band rock, personalmente per me il rock è quando qualcosa spacca le regole non segue un modello è una follia, mentre in Inghilterra o in America il pop è il mainstream quindi anche gli Oasis, mentre in Italia se chiedi a nove persone su dieci ti dice che è una rock band, quindi vergognarsi di essere pop con dei riferimenti del genere è fuori luogo.
Alla fine sono le canzoni che danno il tuo linguaggio, noi potremmo anche dire di essere un gruppo metal (ride, ndr) ma le canzoni poi hanno il loro linguaggio.
Nei vostri album non ci sono mai collaborazioni, che rapporto avete con gli altri gruppi o cantanti della scena?
Li conosciamo praticamente tutti perché ci siamo incontrati per le cose che succedono, palchi, premi, cose…serate. C’è unione ma un ognuno si fa un po’ i cazzi suoi, c’è stima.
A noi non è ancora successo di collaborare perché queste cose succedono naturalmente, credo. Il fatto di essere in tanti a parlare allo stesso pubblico alza il livello, ti sprona e ti fa capire dove ognuno sta andando con la sua carriera. Non ci sono dissing… c’è un bel rapporto, convivialità.
Oltre ai testi ed ai suoni avete un’estetica che vi rende davvero subito riconoscibili, quanto è importante per voi questa componente?
In realtà credo sia abbastanza casuale, noi al di là di questo abbiamo le nostre vite e ci siamo trovati evidentemente simili anche nell’attitudine e nel look, ti ringrazio che sia una cosa positiva ma è totalmente casuale (ride, ndr)
Per noi l’estetica è anche linguaggio tante volte, siamo così amalgamati perché alla base c’è una matrice comunicativa che è la stessa, le canzoni che scrive Teo (Matteo Mobrici il front-man, ndr) sono rappresentative del nostro modo di comunicare, guardare una cosa, vivere e ci fa piacere se questa cosa si vede, però non è la nostra priorità, la nostra prima via comunicativa rimane la canzone ed il suono che rispecchiano la nostra attitudine ed il nostro pensiero.
Tra meno di un mese riparte il vostro tour…
Il nostro precedente tour è finito a gennaio, è passato un anno e in realtà mi ero ripromesso che finito il tour non avrei toccato gli strumenti per mesi e invece, nelle seguenti tre settimane, avevo già scritto tutte le canzoni comprese quelle bocciate. Dopo il disco ovviamente, si progettano le date, l’esperienza tour a noi piace, soprattutto ora che è un tour molto comodo, per esempio ora che non guida più lui (il batterista Gabriele Prina, ndr) o che non dobbiamo andare a smontarci il palco finito il concerto. Però vedi, questi tour che abbiamo fatto su un furgone…furgone, lo chiamavamo noi così ma era solo una macchina grande (ridono, ndr), dicevo questo tipo di tour ci ha permesso di essere un pochino più preparati dopo, qualsiasi band dovrebbe fare quest’esperienza. Bello e utile, per noi è bello scrivere pezzi e stare in studio ma anche fare concerti, per noi queste due componenti vivono insieme.
Per molti rappresentate il manifesto del romanticismo metropolitano, vi rispecchiate in questa definizione?
Il romanticismo se intendiamo sentimentalismo sì, vivere una vita di sentimenti è bello, sentimenti di qualsiasi tipo, l’essere romantici però ha un po’ degli sfigati no? (ride, ndr)
No, dipende da come si intende romantico, nel senso letterario è figo, e poi c’è metropolitani che bilancia un po’, comunque sì, c’è sempre del romanticismo. Poi sai, per noi è un po’ strano parlare di noi stessi, quindi qualsiasi cosa possiate dire sono tutte cose che noi diciamo ok, allora questa è un’opinione valida. Quindi grazie, è una cosa bella no?