ENSI

THE MIDDLE CHILD

di Carlo Di Piazza

ENSI

THE MIDDLE CHILD

di Carlo Di Piazza

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Dopo un anno, Ensi ritorna con l’EP ​OGGI​, un racconto essenziale del suo presente e di come ha vissuto il 2020, caratterizzato dalla pandemia e dal lockdown. Questo progetto è in linea con il momento storico in cui viviamo, dove la soglia dell’attenzione è sempre più bassa e si fatica a dare il giusto tempo alla musica affinché possa effettivamente toccare l’ascoltatore.
Il pezzo che introduce l’EP, ​090320​, data di inizio del lockdown, è uno ​stream of consciousness ​dove Ensi presenta alcune delle riflessioni e dei cambiamenti che hanno toccato la sua vita, che vengono poi ampliati nel corso del progetto. Tra le novità, forse la più dirompente, è il ritorno del rapper a lavorare con un’etichetta indipendente, Believe, lasciando dopo 7 anni la Warner.
Abbiamo avuto il piacere di fare due chiacchiere con il rapper torinese, per sapere cosa c’è dietro a questo progetto e farci raccontare da lui come sta OGGI.

Parliamo subito di musica. Spesso ti autodefinisci ​Mid-School​…

Più che​ Mid-School​, parlo di​ Middle Child,​ che è il fratello di mezzo. Non sono cresciuto negli anni 90, arrivo dalle ceneri di quella scuola. Non ne sono un protagonista. Ho iniziato alla fine dei ‘90 ad ascoltare, nei primi 2000 a capirci qualcosa, da metà dei 2000 a cominciare il mio percorso vero. Quindi è una definizione che mi calza a pennello. Credo che si rispecchi nel sound e in quello che faccio. Collaboro con tutte le generazioni, godo del rispetto sia dei pionieri sia dei nuovi esponenti del rap italiano. A consacrazione di quello che sto dicendo, ti basti pensare che l’anno scorso ho messo su una traccia Danno dei Colle Der Fomento e Lazza assieme, e non è una mossa che si possono permettere in molti!

Mi hai tolto le parole di bocca, perché questa definizione mi ha fatto venire in mente la canzone di J Cole ​Middle Child​…

Ma che tra l’altro nella canzone parla più o meno delle stesse cose. Lui è dell’85 come me, ci separano un po’ di zeri sul conto in banca (ride, ndr). Non è il mio modello di riferimento, però è un artista che ricopre un ruolo che mi piacerebbe un domani ricoprire. La vedo proprio come una scelta artistica: il non stare troppo nè da una parte nè dall’altra, proponendo un’alternativa a livello di argomenti rispetto a ciò che ascoltiamo ultimamente.

Da due anni fai parte di TRX Radio come speaker e direttore artistico. Cosa ti attira di questo mezzo di comunicazione?

Il progetto TRX radio l’ho abbracciato appieno. La dice lunga se noi stessi del settore ci siamo dovuti creare una radio che H24, 365, passasse Hip-Hop italiano e non. Qua c’è un’esplosione del genere. Mi sembra che a livello mainstream stiano sfruttando molto la potenza del rap e del movimento culturale che genera. Mentre mi sembra che gli sbocchi siano sempre pochi. Il progetto TRX è una figata, lunga vita al progetto TRX! Che poi è il mio angolo peloso in questo mondo calvo, è un po’ il mio salottino dove parlo coi miei colleghi ma anche con personalità e artisti che si occupano di altro, che comunque possiamo ​linkare​. La radio è sempre stata una cosa che mi piace fare, soprattutto quando parlo di quello in cui sono competente, che ovviamente è il rap. Ma non è una cosa su cui sto basando la mia professione, ma si aggiunge alle cose che voglio fare. Voglio concentrarmi sull’essere un artista e sul fare musica. La radio come mezzo di divulgazione e come mezzo di approfondimento mi sembra una cosa figa.

Qual è il tuo obiettivo quando intervisti qualcuno?

Tutte le persone che ho intervistato ho cercato di contestualizzarle all’interno del nostro range di azione che è quello di parlare di musica e di rap nello specifico. Per esempio, con Salvatore Esposito ci tenevo ad approfondire un mio pensiero secondo cui l’immaginario di Gomorra avesse sdoganato in maniera importante una buona fascia di rap italiano, principalmente quello campano. Poi, cerco sempre di far sentire gli artisti o le persone che intervisto a loro agio, cercando di far capire che lo sto facendo per un interesse personale. Mi è capitato anche di farlo con colleghi. Mi metto ad elogiare, a parlare bene di un disco, nonostante anche io sia un artista. E’ un po’ strano, però riesco a sganciarmi da quel velo di ego e mettermi dall’altra parte della barricata. Però i miei colleghi sono molto contenti di farsi una ​chiacchera c​ on me, perchè magari con me possono parlare liberamente su un network importante di cose che quando vanno in giro non gli vengono assolutamente chieste.

Se l’arte è lo specchio di quello che l’artista sente, cosa riflette questo EP?

Secondo me è un buon termometro, o barometro, mettiamola così di quello che sono adesso. Ieri (mercoledì 21 ottobre ndr) ho pubblicato una foto dove dico che sono più fresco oggi di quando avevo 20 anni. E’ una cosa che sento davvero nel mio modo di fare rap, nella mia attitudine. A differenza da quello che succede nello sport, dove l’età è meschina, nella musica e l’arte alcuni raggiungono la maturità artistica giorno dopo giorno. Quindi secondo me questo EP rispecchia in solo 6 tracce questo tipo di attitudine. Dall’altra anche il mio non voler piegarmi a certe dinamiche. Lo dimostrano le scelte discografiche che ho preso e le scelte artistiche che ho fatto. Infine, facendo un blackout della mia pagina Instagram, volevo far percepire che questa è una nuova vita, un periodo di rivoluzione musicale e personale molto importante di cui non parlo apertamente, ma che si legge tra le righe di quello che scrivo.

Quando hai detto: ”​Mi sento più fresco oggi di quando avevo 20 anni​” mi ha colpito. A questo proposito, Mi diresti tre cose che diresti all’Ensi di 10 anni fa.

La prima è ​“oh Ensi, porca puttana, non dare tutto a tutti.” (​ ride, ndr). Credo che in generale il mio modo di essere è sempre stato dettato dall’entusiasmo, e mi ha portato spesso a sprecare le energie. A 20 anni ho sprecato davvero tante energie dietro a progetti, a persone, a cose che comunque mi hanno forgiato. Quindi ecco, la prima cosa che gli direi è non concedere proprio tutto a tutti. Oltre a ciò, non ho grossi rimpianti, perchè tutte le scelte che ho preso in quel momento mi sembravano la cosa giusta da fare, anche se poi non era la migliore. Faccio tesoro dei momenti più no.

Dalle tue parole e dall’EP traspare la volontà di intraprendere una rivoluzione, in un qualche modo quindi ribellarsi allo status quo. In che modo questo progetto è una ribellione?

Io non credo di averlo definito come un lavoro di rottura o ribellione, forse è stato ingannevole che io abbia resettato Instagram. E’ una mossa forte cancellare i 10 anni più importanti a livello di concretizzazione del mio percorso. Quindi magari può essere stato fuorviante, come a dire “​cazzo ora dobbiamo immaginare e pensare un Ensi 3.0 dove cambia completamente quello che ha fatto fino ad adesso​”. No. Anzi, credo di aver spinto sull’acceleratore su quelle che sono le mie cose migliori, quelle che so fare meglio a livello tecnico, a livello stilistico, ma di aver mantenuto il mio status. La mia ribellione è quella, se vogliamo, di non piegarmi a determinate dinamiche. Il dimostrare un’alternativa possibile che non sia solo quella di inseguire la tendenza. Non parlo a livello di sound ma a livello di attitudine. Critico determinati comportamenti, non solo della scena ma anche della società: Il materialismo, l’individualismo, la questione dei soldi, dei numeri sui social, quindi l’ego.

In Non Sei di Qua, parli delle tue origini e tra le quali rientra anche il freestyle. Una qualità fondamentale per spaccare nel freestyle è l’abilità di creare associazioni tra parole e idee. Questa abilità viene allenata anche dagli stand-up comedians. Conosci il mondo della comedy?

Io sono un grande fan del mondo della comedy! Un grande grande fan. Anzi, mi posso prendere il vanto di aver fatto conoscere tutta la ​wave ​degli stand-up comedians italiani a tutto il rap italiano. Tutti gli amici con cui parlavo non conoscevano questo settore. Quindi sono stato un pioniere nella promozione di questo tipo di umorismo. Seguo gli italiani e mi piace molto.

Tipo? Chi ti piace? Qualcuno che ti colpisce particolarmente? Qualcuno da cui magari puoi rubare qualcosa nello stile e nella scrittura.

Stai sfondando una porta aperta e ti vorrei dire in anteprima che ho scritto dei piccoli monologhi! Non lontano nel tempo, mi piacerebbe esporre e buttarmi in questa cosa. Li abbiamo conosciuti praticamente tutti, poi loro hanno capito la vicinanza col nostro ambiente. Ho visto Ghemon portarsi gli stand-up comedians sul palco ad aprire le date, c’è stato un bellissimo ​camp d​i scrittura di stand-up che ha fatto con noi Filippo Giardina, Nerone si è già esibito una volta con un monologo esilarante, Lazza è un super fan della stand up comedy. Trai miei preferiti ci sono Giorgio Magri, perché un punchliner come me, Velia Lalli, De Carlo, Sparacino. Li ho beccati tutti, e quelli che non ho beccato gli ho scritto. Tra quelli che mi piacciono di più c’è un ragazzo romano che si chiama Sandro Canori, lui veramente un figlio di puttana, fortissimo. E tra l’altro fa anche il rapper. Come rapper non mi ha entusiasmato quello che ho sentito, ma come comedian è veramente fortissimo. Gli italiani bravi mi piacciono tutti. Luca Ravenna mi fa scassare! Ce ne sono tanti che mi piacciono molto, anche più underground. Pantano per esempio, non so se lo conosci. Lui è siciliano, è veramente bravo.

Giu Le Stelle, è una preghiera carica di determinazione e consapevolezza. Credi in un Dio e che ruolo ha avuto la religione nel tuo percorso?

Io ho avuto un imprinting di religione cattolica, come tutti in Italia. Ma per farti capire, a mio figlio non l’ho battezzato. Purtroppo vedo il ruolo della chiesa completamente diverso. Proprio come luogo e come posto, aveva un perché nella nostra vita di italiani fino alla generazione subito dopo la mia. Questa cosa si è un po’ persa, e me la dice lunga sulla forza della chiesa stessa. Ci sono tante cose che non mi piacciono del sistema della religione intesa come dogma, come struttura. Ammiro molto chi ha fede in Dio invece, in parte lo invidio. Perchè deve essere qualcosa che ti carica di una gran forza e magari riesci a trovare un senso a tante cose che magari non ce l’hanno se non hai fede. Io purtroppo non ho questo tipo di cosa, magari saranno state le mie esperienze, ma non ce l’ho.

Giù Le Stelle è anche un’invocazione per un futuro migliore o comunque che riconosca i tuoi meriti…

Mi piace che tu abbia detto questa cosa della preghiera perché è una cosa che sento molto e i parallelismi con le preghiere ci sono. Ci sono tratti del Padre Nostro e di altre preghiere o comunque frasi iconiche della chiesa, modificate. La chiesa cattolica ci ha sempre insegnato a chiedere, a sperare, a pregare, perché le cose succedano. Quando invece la realtà si scontra con la brutalità, io non ho abbastanza fede per vedere che c’è del buono anche nelle cose brutte. E quindi la mia è una preghiera quasi dannata, della quale non chiediamo più ma dico che ci venga dato quello che ci spetta.
Quando ho scritto questo pezzo mi sono immedesimato nelle tante persone vicino a me, oltre che in parte alla mia storia, dove il sacrificio è quotidiano, e il ritorno da questo sacrificio è poco. E veramente lo dico per altre persone che sono vicine a me, che sono state di ispirazione per scrivere queste liriche. Io mi ritengo un privilegiato, ma là fuori però davvero tante ingiustizie e ho voluto trasformare in una cosa del genere, quasi in una preghiera rabbiosa.
Quella è in assoluto la mia traccia preferita dell’EP.

Quale album hai ascoltato e hai pensato: “​Cazzo questo lo avrei voluto fare io

Secondo me ogni capitolo dei dei Run The Jewels è un disco potente. Clash ci assomiglia come ideologia. Dischi potenti, di impatto, dove il sound si mischia nelle carte che mi piacciono di più.

Per chiudere, dicci una cosa buona da ricordare e una cattiva da dimenticare, per poter tirare avanti in questo periodo.

Una cosa buona da ricordare, per quanto sia brutta, è la sofferenza. Non ce la dobbiamo dimenticare che sennò la sprechiamo. Ricordiamoci di come siamo stati per non stare più così. Dandoci da fare a livello collettivo, ma anche dandoci una sveglia a livello collettivo. Chi sta prendendo le decisioni per noi e chi dovrebbe prenderle…non ci siamo per un cazzo. E questa è una cosa globale, non italiana.
Per la cosa cattiva da dimenticare ci sono cose macro, gigantesche, come l’indifferenza anche di questo periodo. Al di là del “​ce la faremo”​ sui balconi, c’è ancora tanta tanta tanta indifferenza nei confronti degli altri, ed è drammatico.