A CUORE APERTO
CON GALEFFI
di Federico Ledda
A CUORE APERTO
CON GALEFFI
di Federico Ledda
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L’estrema fragilità e una grande onestà sono ciò che contraddistingue “Belvedere”, il nuovo disco del cantautore Galeffi e più in generale tutto il suo lavoro. Nato a cavallo tra la fine della pandemia e la fine di una storia d’amore, il nuovo lavoro dell’artista si presenta come una gentile carezza malinconica che a volte ha però il sapore di uno schiaffo. È come se il cantante si fosse fatto dell’autoanalisi e avesse lottato con i suoi mostri testimoniando tutto nei brani di questo album. Alcuni come “un sogno” che suona quasi come un rimpianto e altri come “Dolcevita” che invece raccontano l’amore con i sintetizzatori anni ’80. Il disco è imperdibile e va assolutamente ascoltato, compreso e interpretato. Per questo ci abbiamo pensato anche noi, ponendo a Galeffi qualche domanda.
Di che cosa parla “Belvedere”? C’entra la vodka?
Parla di tantissime cose: della vita principalmente, dell’amore, della solitudine, della paura, del sentirsi fragili. È un disco che ha più letture, più livelli. Non c’entra nulla con la vodka, non sono un grande bevitore di super alcolici, sono più il tipo che si beve del buon vino o della grappa. Pensa che me l’hanno detto dopo che esisteva una vodka con il nome Belvedere, nemmeno lo sapevo.
Il disco è molto onesto e intimo. Come è stato scriverlo?
Scriverlo è stato duro. Purtroppo questa storia del Covid è durata circa due anni. Si può dire che l’album nasca dalle ceneri della pandemia, da tutto quello che mi ha portato via, a me come a tutti. Personalmente sono stato molto male perché, avrei dovuto fare nel 2020, il tour di “Settebello” che era il secondo disco e tutti sanno l’importanza che ha un secondo disco per un artista. Ero molto preoccupato, depresso, triste, spento. Ho avuto una grande reazione probabilmente dovuta al fatto che il lockdown è coinciso anche con la fine di una lunga storia d’amore e di conseguenza mi sono ritrovato senza potermi esibire, senza una persona importante al mio fianco e senza poter uscire di casa. La musica mi ha salvato.
Ascoltando il progetto, mi ha colpito molto “Malinconia Mon Amour”. Quanto è importante per te la malinconia? Cosa ti ha ispirato durante la stesura dell’album?
Sono contento ti sia piaciuta malinconia, che ti abbia in qualche maniera colpito questa canzone. Non saprei dire quanto io sia malinconico. Credo di sentire molto le cose in generale come le emozioni, i sentimenti. Sono una persona estremamente sensibile e quindi non riesco a definirmi uno malinconico. Magari sono più nostalgico, introspettivo, timido, non riesco a darmi una vera e propria definizione. Resta il fatto che, sicuramente, il brano “Malinconia mon amour” non a caso chiuda il disco e credo che lo chiuda in bellezza. Se l’ho messa lì c’è un motivo: io sono uno di quei cantanti che dà molta importanza alla tracklist e per me la prima e l’ultima canzone hanno molto valore.
Come stai?
Adesso sto bene, sono pronto a provare con la band, sono pronto a ricominciare piano piano a suonare: insomma qualche cosa questa estate si farà. Il grosso arriverà dopo. Non vedo l’ora di suonare perché, come dicevo prima, purtroppo non suono da quattro anni.
“Due Girasoli” parla di amore al passato, presente e futuro. Quando l’hai scritta? Di chi parla?
L’ho scritta più o meno a settembre di un anno e mezzo fa. Era sera, mi ero rivisto con la mia ex e sono tornato a casa, non potevo fare rumore, mi sono messo al piano perché ero abbastanza provato dall’incontro e per non disturbare i vicini ho messo la sordina al pianoforte per attutire un po’ i suoni ed è uscita questa atmosfera fin dall’inizio un po’ casuale in cui passato, presente e futuro, in quel momento, mi sembravano la stessa cosa. Volevo dargli una forma: non so se ci sono riuscito ma sicuramente sono riuscito a scrivere questa canzone.
Un brano (non tuo) che ha seriamente contribuito alla tua formazione artistica?
Molto complicato per me parlare di un solo brano che mi abbia formato a livello artistico. Di certo, un mio chiaro punto di riferimento è John Lennon: anche quello solista e se proprio devo scegliere una sua canzone dico “Love”. Un capolavoro.