NEL MONDO DI
LUCIO CORSI
di Federico Ledda
foto di Tommaso Ottomano
NEL MONDO DI
LUCIO CORSI
di Federico Ledda
foto di Tommaso Ottomano
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Tra i pochi artisti che riescono perfettamente a creare un “mondo” intorno a loro, spicca la figura di Lucio Corsi che, non solo è riuscito a imporsi, ma è stato anche capace di ampliare questo mondo lavoro dopo lavoro. Si parla, infatti, di un vero e proprio universo sconosciuto, dove probabilmente ci vivono dei marziani, immaginari oscuri e affascinanti che più che mai sono diventati realtà grazie a “La Gente che Sogna”, il nuovo album del cantautore toscano.
Di una sensibilità unica, Corsi, fa fluire musica e parole in maniera speciale, io lo definisco un po’ un predicatore bloccato dentro Pulp Fiction e un po’ un poeta dannato di fine anni ‘60.
Il pianeta di Lucio Corsi è a solo un play di distanza e sicuramente non vorrete più farne a meno.
Complimenti per il nuovo lavoro, è davvero ben fatto! Sei un po’ un racconta storie, quindi raccontami com’è nato questo disco.
Ho cominciato a lavorarci durante il primo lockdown nel 2020 e questo lavoro parla di tutti gli obiettivi che ho provato a raggiungere e che, però, non ho raggiunto. Ho provato a liberarmi della mia ombra e non ci sono riuscito, a trovare degli occhi che potessero cambiarmi o vedermi in un altro modo e non li ho trovati. Ho tentato di sintonizzarmi sulla stazione radiofonica extraterrestre, su una stazione radio, non ce l’ho fatta. Finché ho provato ad imparare dal mio pianoforte a starmene zitto e ho scritto questo disco: quindi questo è ciò di cui parla l’album.
In questi anni sei scomparso dai radar, cos’hai fatto nel frattempo?
Prima di tutto, la “sparizione” penso sia una cosa sacrosanta, bella e giusta in ogni ambito. Il voler sempre parlare, farsi sentire e farsi vedere, lo trovo noioso. Sai, credo che gli uomini abbiano bisogno di cimentarsi nello stare zitti e pensare per fare qualsiasi cosa, credo, sia assolutamente necessario. Ho, quindi, deciso di passare il mio tempo in Maremma, dove ho scritto tutto il disco.
Quanto contribuisce alla tua musica, secondo te, vivere nella Maremma?
Ci sono tremendamente affezionato, la trovo magica in un certo senso, è una sorta di far west italiano. Poi, sì, sono anche abituato troppo bene, sono nato e cresciuto lì, per me è normale non avere tanta gente intorno e soffro con il contrario, infatti, quando sono in città, sono infastidito da troppa gente. Ah, poi c’è la cosa migliore di tutte: posso suonare di notte e nessuno mi rompe le palle!
Come definiresti “La gente che sogna”?
Non è un concept album, anche se ci sono degli argomenti e degli attori ricorrenti in tanti pezzi. C’è la notte e c’è il sonno, che è una sorta di mezzo di trasporto fatto di materassi e cuscini che ci portano verso mondi differenti. C’è anche la luna piena che trasforma chi la guarda in qualche modo. Diciamo che il fulcro cerca di sfruttare l’oscurità come foglio bianco, invece che come cosa negativa.
Volevo dirti che mi sono focalizzato tanto su “Magia Nera”, mi ha ricordato i Blues Brothers, un po’ come se fossi un predicatore…
Certo, è stato uno dei riferimenti, come anche il Rocky Horror Picture Show, E.T. e tutto il glam rock di fine anni ’70. Ci siamo immaginati un incidente tra i Blues Brothers che guidano la loro iconica macchina e il Rocky Horror, è proprio un incrocio di quello. Ovviamente c’è anche tantissimo Renato Zero e Ivan Cattaneo, è proprio un trip.
E durante la creazione del disco, cosa ascoltavi?
Beh, oltre quelli che ti ho già citato, ci sono sicuramente anche gli Sparks e Ivan Graziani.
Quando ascolti musica, che mezzo utilizzi?
I cd, amo ascoltarli in macchina. Ho il sedile del passeggero completamente ricoperto di cd misti e, ovviamente, non trovo mai quello che cerco.
Tipo, qual è quello che proprio ti piace ascoltare in macchina e che cerchi sempre?
Forse Paul Simon, l’ho ascoltato un sacco in questo periodo.
Come sei arrivato a scoprire determinata musica? Non trovi che più le generazioni vanno avanti, più ci siano meno persone che si appassionano al “passato”?
Allora, intanto penso che comunque ci sia una parte di ragazzi più giovani che piano piano si stanno facendo una cultura su quello che è successo nel presente, alla fine, perché io penso che quella musica che ho citato prima non sia del passato, la terra ha troppi anni. E poi, se pensi, non si tratta di musica etrusca, è comunque relativamente giovane ed è in qualche modo contemporanea. Io l’ho scoperta grazie a mio padre, quando ero piccolo, mi ha fatto sentire poche cose ma giuste, secondo me. Lo ringrazio per Dylan, Ivan Graziani, Neil Young, i Beatles e i Blues Brothers, che ho scoperto mentre andavo all’asilo e che mi hanno completamente segnato.
Davvero?
Sì, è così che mi è entrata nel cervello l’idea di cantare, mi si è aperto un mondo.