I MAGICI

VERDENA

di Federico Ledda

I MAGICI

VERDENA

di Federico Ledda

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Iconici, puri, onesti e di una profondità estrema, sono tornati con “Volevo Magia”, i Verdena, a mani basse uno dei gruppi piu significativi della musica italiana. Era il 2015 quando usciva “Enkadenz” volume 1 e volume 2: da allora, il tempo sembra essersi fermato. D’altronde, quando un lavoro rimane così importante anche dopo molto, significa che la qualità è talmente alta che soltanto dopo ne si apprezza e ne si comprende davvero il valore.
È forse proprio questo quello che ha pensato la band di Albino, formatasi ormai ventisette anni fa. Complice la pandemia, il lockdown e tutto ciò che ne ha comportato, la band si è dedicata a pieno alla lavorazione del disco. Molte cose sono cambiate e il lavoro che abbiamo oggi tra le mani è sicuramente diverso da ciò che sarebbe nato se il covid non avesse bussato alla porta.
“Volevo Magia” ti colpisce come una violenta poesia che poi, ascoltata fino in fondo, tanto violenta non è. Alla fine questo è il classico stile “Verdena”, stile che è incredibilmente vivo e puro come fosse ancora il periodo di “Valvonauta”. O forse lo è e ascoltando “volevo magia” sembra così.

Come state?

Alberto Ferrari: Bene, abbastanza bene.

Cosa avete fatto questa estate?

Luca Ferrari: Un po’ di giardinaggio, suonato e una breve vacanza, ma giusto un paio di giorni.

Sette anni di pausa. Come mai avete deciso di tornare proprio ora?

AF: A logica dovevamo uscire nel 2018. Sono susseguiti poi impegni improrogabili come diversi figli e ovviamente va messo in mezzo anche il covid, i locali fermi. Insomma, si è tutto prolungato a dismisura. Nel frattempo il disco ha preso una piega diversa: abbiamo sì mantenuto alcune cose, modernizzandole, però è proprio un lavoro totalmente differente.

Come lo descrivereste?

AF: Come un desiderio di rivalsa. C’è molta perdita e anche tanta voglia di ricostruire.

In che modo crediate sia cambiato il vostro pubblico nel corso degli anni? C’è stato un cambio generazionale?

LF: Tanti sono cresciuti con noi, ma sono sicuramente arrivate anche persone nuove. È cambiato il mondo, la gente e anche la musica, è stata però una cosa graduale, quasi impercettibile se non ci presti attenzione.

Qual è il vostro brano preferito del disco?

AF: Impossibile sceglierne uno, cambia spesso. Prima ero su “Paladini”, ora invece “Dialobik”.
LF: Io “Dialobik” tutta la vita! Rende molto bene dal vivo e mi è piaciuto lavorarci.

Vedo sul tavolo un walkmen, non ne vedevo uno da una vita…

LF: È mio! L’ho trovato un paio di mesi fa in un negozietto di paese che stava facendo una svendita perché chiudeva. Sono entrato ed era pieno di cose che non vendeva da oltre vent’anni (ride, ndr.). Mi ha venduto questo walkman nuovo di zecca ancora inscatolato, pazzesco.

Cosa ci ascolti?

LF: Ho sempre avuto tantissime cassette e se le trovo le compro ancora. Ho giusto comprato a due euro in mercatino un paio di giorni fa, un live del ’66 dei 13th Floor Elevator. Epico!

Qual è il vostro disco preferito di sempre?

AF: Troppo difficile questa domanda: sicuramente uno dei Beatles. Prima ti avrei detto “the white album”, ora invece ti dico “Let It Be”, è un disco semplice e perfetto. Tutto a parte il singolo “Let It Be”, che secondo me non c’entrava nulla. Pensa che, non so come, la versione che ho io non ha “Let It Be”, quindi è un disco della madonna! 
LF: È difficile per me perché ce ne sono tanti che meriterebbero questo posto, ma tra tutti forse “The Piper at the Gates of Dawn” dei Pink Floyd è il disco perfetto, una gemma.

Vi aspettano un po’ di concerti. Tra l’altro, il clamore che ha portato questo annuncio è stato parecchio alto. Come sarà tornare dal vivo?

AF: Speriamo che sarà bello! Suonare live è indubbiamente elettrizzante, cazzo. Però ci si caga addosso, specie quando sono date così importanti.

Vi capita di emozionarvi così anche dopo tanta esperienza?

LF: Siamo tanti anni fermi, i locali sono pieni zeppi e la gente deve essere soddisfatta. Vogliamo scendere dal palco felici e desideriamo che anche le persone tornino a casa con il nostro stesso sorriso. Speriamo non finisca come Woodstock ’99, ecco. (Se non sapete di cosa si parla, c’è un documentario molto interessante su Netflix che lo spiega, ndr.).



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