A TU PER TU CON

ENRICO TIJANI

di Federico Ledda

A TU PER TU CON

ENRICO TIJANI

di Federico Ledda

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Nato a Napoli da padre ghanese e madre nigeriana, Enrico Tijani incarna un’identità multiculturale che si riflette nel suo percorso artistico. Dopo un primo approccio al teatro, si è affermato come modello prima di tornare alla recitazione con Mare Fuori, dove interpreta Diego “Dobermann”. Introdotto nella terza stagione, il suo personaggio porta con sé un passato drammatico e una forte capacità espressiva, evolvendo da ragazzo carismatico a figura tormentata. Una sfida attoriale che ha permesso a Tijani di dimostrare talento e versatilità. Oltre al cinema, coltiva una grande passione per la musica, dal blues all’hip-hop, confermando la sua natura poliedrica.

Innanzitutto, prima di arrivare alla serie mi piacerebbe conoscerti meglio. Chi sei?

Allora, innanzitutto io sono Enrico Salahudin Imrana Tijani, nato a Napoli, figlio di un padre ghanese e una madre nigeriana. Io mi sento però Napoletano, quindi mi definisco una persona con più culture.

Come ti sei trovato a Napoli?

Perché i miei genitori si sono trasferiti lì e hanno entrambi trovato lavoro. Poi sono nato io e in modo abbastanza naturale sono cresciuto là. Sono stato anche in Africa per quattro anni, dai sette agli undici, poi sono rientrato a Napoli. Al mio ritorno ho avuto il primo approccio con il mondo dell’arte attraverso il teatro e ho fatto il mio primo spettacolo amatoriale. Poi, andando avanti, volevo fare tantissime cose: suonare, ballare, cantare… insomma, mille interessi. Variavo sempre, alla fine sono arrivato alla moda, e ormai sono circa cinque anni che lavoro in quel settore.

In qualità di modello?

Esatto. Successivamente mi è stato ripresentato il mondo della recitazione con il provino per il mio personaggio in Mare Fuori. All’inizio l’ho rifiutato perché pensavo: “Ok, faccio il modello, è da tanto che non recito… mi sentirei un po’ fuori luogo.” Devo ringraziare però i miei amici che mi hanno spinto a provarci: “Non c’è nulla di male a tentare.” Così ho fatto il provino, è andato bene, e ho iniziato. Sono partito un po’ da zero, ma ho scoperto un mondo bellissimo fatto di tante maestranze. Sono stato fortunato perché ho capito veramente cosa mi piace e cosa voglio fare nella vita, ora sto studiando per diventare un attore.

Scusami, tu sei già un attore.

Diciamo che sono in erba, secondo me si diventa attori in un’età adulta, sui 35, 40 anni, perché è l’esperienza di vita che ti dà qualcosa da raccontare. Diciamo che ora siamo un work in progress.

Il tuo è un ruolo che, stagione dopo stagione, diventa sempre più importante. È un personaggio lontano dalla tua personalità? Com’è interpretare un “cattivo”?

All’inizio il mio personaggio sembrava cattivo, ma io non lo definirei così. Dobermann è sensibile, emotivo e coraggioso. È proprio il suo coraggio a renderlo “cattivo”, perché decide di seguire i suoi fratelli nel loro stile di vita, scegliendo la strada della malavita per farsi accettare. Però una volta dentro l’IPM, incontra l’amore. Questo lo allontana dai fratelli perché viene travolto da Kubra. Quest’anno sarà difficile, affronta l’abbandono di questa ragazza, e lo vediamo sofferente, quasi perso, deluso… abbastanza passivo. È molto diverso da come l’abbiamo conosciuto: prima era vivace, sempre pronto a interagire con gli altri. Questo switch è stato molto interessante e ringrazio sempre gli sceneggiatori per lo spazio che mi hanno concesso.

Volevo appunto parlarti di questa crescita. Senza fare spoiler, raccontami un po’ come si evolve il tuo personaggio. Come è stato avere più scene e un ruolo sempre più centrale?

Questo cambiamento è stato tosto per me perché Dobermann prima era coraggioso, furbo, sempre sorridente e un po’ spaccone, ma era più apparenza. Ora affronta la solitudine diventa quasi “vuoto”, come mi piace definirlo. Il vuoto è pericoloso perché non ti permette di provare emozioni come gioia, tristezza o paura, e quando non hai paura, diventi pericoloso.

Parliamo un po’ di te: mi dicevi che hai vissuto in Africa. Quali sono le più grandi differenze che noti tra Napoli e dove vivevi?

A essere onesto, non ne vedo così tante come uno si immagina. I napoletani sono di cuore, aperti. Anzi, per me Napoli potrebbe essere tranquillamente una città ghanese: c’è molta affinità. Gli africani e i napoletani hanno lo stesso calore, la stessa solarità, gli stessi valori. Non ho mai avuto problemi di integrazione e anzi, tutto questo ha arricchito la mia cultura.

Dove ti senti a casa?

Io mi sento figlio di Napoli, ma a casa anche in Ghana e in Nigeria… ovunque!

Mi dicevano che sei un grande appassionato di musica. È una carriera che ti piacerebbe intraprendere?

Non so, sicuramente mi piacerebbe esprimere sempre la mia arte. I generi che preferisco sono il blues, il jazz e il soul anni ’70, quindi musica americana. Però mi piace anche il rap, la trap e l’R&B. Non ho un genere preferito, mi piace spaziare.

Una canzone con cui sei in fissa in questo momento?

Never Gonna Let You Go di Faith Evans.