LA MALINCONIA
DI ANA MENA
di Federico Ledda
LA MALINCONIA
DI ANA MENA
di Federico Ledda
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In un periodo di grande fermento artistico e personale, Ana Mena si racconta tra un concerto e l’altro, svelando i retroscena di un tour internazionale che la vede impegnata tra Spagna, Italia e America Latina. Con la fine del “Bellodrama Tour” alle porte e nuovi progetti musicali in cantiere, l’artista condivide con noi le emozioni di questo viaggio, l’importanza delle collaborazioni artistiche e la sua visione musicale sempre in evoluzione. Tra nuove sfide e vecchie ispirazioni, scopriamo insieme il percorso di un personaggio fresco e che sa reinventarsi, rimanendo sempre fedele a se stessa.
Che periodo è? Raccontami un po’. Cosa stai facendo di bello tra Spagna e Italia?
Molte cose. Siamo in tour in Spagna con il tour dell’album che abbiamo fatto uscire l’anno scorso, il Bellodrama Tour. Diciamo che questo è il secondo anno di tour; finiremo a Madrid in una location importante, il Wizink Center, il 22 dicembre. Nel frattempo, stiamo viaggiando molto in America Latina, portando il tour anche lì. A dicembre ci esibiremo a Buenos Aires, in Argentina. Sto scrivendo il terzo album per la Spagna, e anche per l’autunno e l’inverno italiani. Sono occupata ma molto contenta.
Invece, mi racconti di questa data a Madrid, una location che hai già scoperto poco tempo fa con un’altra data importante. Com’è andata? Ti auguri di rivivere le stesse emozioni o speri di fare anche meglio?
Spero di sentirmi uguale perché è stato bellissimo. Siccome è l’ultimo concerto, la fine di un tour che è durato due anni, stiamo lavorando per fare un concerto speciale. Ci saranno cambiamenti, sorprese e nuove idee che stiamo preparando. Sarà unico e speciale proprio perché è l’ultimo evento di questa era.
E poi arriviamo a “Cinema Spento”, con la collaborazione di Dargen D’Amico. Come è ricaduta la scelta sull’artista?
A me piace moltissimo la scrittura di Dargen. Lo abbiamo contattato, gli abbiamo mandato questo pezzo e la sorpresa è stata che lui ha risposto subito dicendo che gli piaceva molto la canzone e ci credeva moltissimo. In Spagna sono conosciuta per questo tipo di musica, ma in Italia no, è stata una sfida. Mi è piaciuto Dargen perché è molto rapido e quando decide di fare qualcosa, la fa davvero in fretta. Avevamo una settimana per fare tutto, dalla registrazione della sua parte al video. Ci siamo riusciti ed è anche merito suo, quindi lo ringrazio.
Dicevi appunto che è una wave con cui il pubblico italiano ancora non ti conosce, meno tormentone estivo canonico, più una cosa matura, classica, no? Un sound diverso. Cosa ti aspetti da questo brano per l’Italia?
È un passo importante, ma necessario. Alla fine, l’unica cosa che faccio è essere sincera con la mia musica. Non sono molto fan di incasellare le cose, ma rifletto nella mia musica ciò che mi ispira e ascolto quotidianamente. Quando lavoro a brani del genere, mi sento davvero un’artista. Mi ispiro a artisti come Bad Bunny o Rosalía, che un giorno pubblicano una ballata, poi un brano reggaeton con un altro linguaggio, e successivamente una canzone tradizionale. Nessuno dice niente, capito?
Sì, sono versatili.
Esatto! È quello che cerco. C’è sempre un brano che ti accompagna in base a quello che stai vivendo, che corrisponde a ciò che provava l’artista quando l’ha scritto. Voglio che la mia musica sia versatile.
Infatti mi dicevi che è un po’ anche la musica che ascolti. Mi fai qualche nome?
Mentre lavoravamo a questo pezzo, ci ha ispirato “Sunrise” dei Simply Red, ma ascolto di tutto. Da piccola ascoltavo il flamenco, ereditato da mia madre, e la musica italiana, da mio padre. Amo anche il rock, il soul, la musica nera e quella alternativa. Ovviamente ascolto anche la musica latina, con cui sono cresciuta. Tutto questo mi ispira a creare sound diversi e ad ampliare le sfaccettature di me come artista.
Certo, uno che ha fatto di questo la sua virtù è sicuramente C. Tangana.Vedi? Ci sono un sacco di esempi. Il pubblico giovane non ha tanti pregiudizi ormai. È più una cosa delle persone più adulte.
Di cosa parla “Cinema Spento”?
Descrive una relazione che sta per finire. Ha un tono malinconico, un sentimento che mi affascina sempre molto. Infatti, tutto l’album “Bellodrama” nasce da questo sentimento, proprio perché mi ci rispecchio. È un po’ come se fosse l’ultima ballata che ascolti prima di tornare a casa o durante un viaggio in macchina.
Se invece dovessi scegliere tre film che rispecchiano questa estetica e che, magari, ti hanno formata?
“I ragazzi del coro”, “Benjamin Button” e un classico: “Via col vento”. “I ragazzi del coro” ha avuto una grandissima influenza su di me. Lo vidi a 12 anni e mi segnò particolarmente; se lo vedo oggi, ancora piango.
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