LOWLOW

AND HIS DOGMA

di Federico Ledda

LOWLOW

AND HIS DOGMA

di Federico Ledda

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E’ da poco uscito Dogma 93, il nuovo album di Lowlow. Un vero e proprio manifesto attraverso il quale l’artista trova una propria direzione discostandosi da tutte le altre correnti artistiche grazie anche a delle regole ferree come: parole e scrittura vengono prima di tutto.
Il rapper romano pubblica un album che amplia la sua maturità artistica offrendo una visione inedita del suo punto di vista e non solo. È possibile parlare di se stessi attraverso le storie degli altri, il rap è tecnica ma per raccontare una storia essa deve essere messa al servizio del significato come veicolo espressivo delle proprie emozioni.

Di cosa parla Dogma 93?

Dogma 93 parla di me, sia direttamente, sia utilizzando le storie degli altri. Spesso utilizzo personaggi più o meno noti con cui sento di avere un legame “platonico”, quasi un filo invisibile. C’è un tema importante che lega comunque tutte le storie, anche se essere potrebbero sembrare eterogenee: è la scelta tra il bene e il male.

Qual è il messaggio che ci tieni a diffondere con il tuo album?

l mio disco si chiama “Dogma 93” e si ispira al manifesto di Lars Von Trier e Thomas Vinterberg. Così come loro, anch’io ho voluto distaccarmi da qualsiasi corrente artistica di tendenza e utilizzare il rap come veicolo espressivo. Questo è un disco che afferma la forza dell’individuo nella sua unicità, ma allo stesso modo è un inno a tutti i “rifiutati”, che è l’unica categoria di persone in cui mi ritrovo.

E’ cambiato molto rispetto a “Il Bambino Soldato”, tuo disco precedente. È cambiata anche la tua etichetta discografica. Quanto questo ha influito sulla creazione dell’ultimo album?

Ho avuto la possibilità, forse per la prima volta, di lavorare in un ambiente che mettesse a fuoco la particolarità del mio lavoro, senza scendere troppo a compromessi di mercato. Proprio per questo mi sento di dire che Dogma 93 è il mio lavoro più sincero.

Parlami dei featuring presenti nel disco. Come sono nati?

I featuring sono nati nella maniera più spontanea e naturale. Ci siamo incrociati per un’esigenza artistica, perché grazie al loro contributo nei ritornelli che sono riuscito a dare forma alle canzoni per come le avevo in mente. Fa eccezione il brano con Erika Lei, in cui invece sono partito a scrivere proprio dal suo ritornello.

Qual è l pezzo di cui vai più fiero presente nel disco?

Si tratta di una scelta difficile, ma tra questi forse citerei “Jones Town”. Mi piacciono i pezzi cupi, con testi crudi e che creano nell’ascoltatore delle immagini vivide. Questa ha tutte le caratteristiche e nasconde in più un messaggio sociale.

Cosa fai durante la quarantena? Come stai vivendo l’uscita del disco in questo periodo particolare?

Vivo la quarantena a stretto contatto con i miei fan e con gli addetti ai lavori. I feedback che mi stanno arrivando mi confermano che la scelta coraggiosa di non fermare l’uscita si è rivelata efficace. Credo che ci sia bisogno sempre, ma soprattutto in questo momento, di storie che riempiano il nostro quotidiano. La mia musica è piena di quelle.



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