IL FILM DI

LELE BLADE

di Federico Ledda, foto Alessandro Levati

IL FILM DI

LELE BLADE

di Federico Ledda, foto Alessandro Levti

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Con l’uscita di CON I MIEI OCCHI, Lele Blade, una delle voci più distintive dell’urban partenopeo, torna con un progetto che incarna appieno la sua evoluzione artistica. Dopo aver navigato con successo tra banger esplosivi e pezzi più introspettivi, il rapper classe ‘89, ci offre un album che attraversa sonorità trap, drill e accenni R&B, senza mai perdere la sua identità. Ogni traccia racconta il suo percorso di vita, fatto di sperimentazione e contaminazione, consolidando ancora una volta il suo ruolo nella scena musicale italiana. Con questo nuovo lavoro, Lele Blade dimostra di non avere paura di esplorare nuove direzioni sonore, rimanendo fedele a se stesso.

Il disco esprime appieno il tuo percorso musicale. Raccontaci un po’ come è nato.

Il disco nasce dall’esigenza contrattuale di fare un altro lavoro, ma soprattutto dalla mia necessità di esprimere i periodi che vivo. Il rap per me è uno stile di vita, la musica fa parte di tutto quello che faccio, ogni giorno. C’è sempre un momento in cui sento il bisogno di mettere su dei pezzi per raccontare me stesso, è una cosa viscerale.

Il titolo è molto esplicativo. Cosa hai visto con i tuoi occhi in questi anni?

Ho visto cambiare tante cose, soprattutto ho visto crescere nuove generazioni di ragazzi e artisti interessanti. Le persone al mio fianco sono maturate, e io stesso ho vissuto nuove esperienze, sentimentali e lavorative. Ho fatto passi avanti in termini di musica e stile di vita, questo album è come una biografia aggiornata.

Quali sono, secondo te, i passi avanti che hai fatto a livello musicale?

I passi avanti sono inevitabilmente collegati alla mia crescita personale e anagrafica. Quando maturi, senti il bisogno di portare questa crescita anche nella musica. Ora lavoriamo in studi diversi, con attrezzature più professionali, la crescita è naturale.

Hai cambiato ambienti e vissuto esperienze diverse rispetto al passato. Qual è il segreto per rimanere autentico e non cadere nella trappola della fama?

Non credo esista un trucco. Rimanere vero diventa l’unica strada possibile, perché indossare una maschera a lungo andare ti stanca. Certo, anch’io ho creato una sorta di alter ego che mi aiuta a esprimere nelle canzoni cose che magari penso ma che non ho mai fatto. Diventa una valvola di sfogo, ma senza snaturare me stesso.

Se dovessi definire il tuo sound con un termine, quale sceglieresti?

Coraggioso. Sperimento molto e continuo a farlo senza avere paura di non essere capito o di come il pubblico potrebbe reagire. Alla fine, il segreto è fregarsene un po’. Se ti fai troppe paranoie diventa più difficile chiudere un disco.

Da dove trai ispirazione?

Ascolto molta musica, anche quella più “terra-terra” americana, che parla di gang, etc. Quando si tratta di trovare ispirazione, guardo anche oltre i grandi nomi come Kendrick Lamar. Artisti come Freddie Gibbs, che amo tantissimo, mi ispirano. Mi piace la musica fatta bene, che riesce a darmi qualcosa che posso assorbire.

Parlando di collaborazioni, raccontaci quelle nel disco.

Sono felicissimo dei brani fatti con i ragazzi con cui lavoro ogni giorno in studio. Il pezzo con MV Killa è fantastico: volevamo richiamare la golden age con un beat dal groove hip hop, un rap serrato e veloce. Poi c’è il brano con Vale Lambo che mi fa impazzire.

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere con questo album?

Mi piacerebbe che la gente non guardasse i numeri o le classifiche, ma ascoltasse la musica per quello che rappresenta. La musica deve emozionare, farti affezionare.

Da quando sei diventato famoso, qual è stata la cosa più folle che hai visto con i tuoi occhi?

Sicuramente vedere l’evoluzione che abbiamo avuto io e il mio gruppo. È stata una storia da film: vedere le persone con cui sei cresciuto riuscire a farcela è pazzesco. Penso a MV Killa: lavoravamo insieme nei ristoranti e io lo svegliavo la mattina perché non sentiva la sveglia. Abbiamo vissuto tempi bui, ma non ce ne rendevamo conto perché eravamo insieme. Poi c’è Emanuele (Geolier, ndr.). L’ho conosciuto a 17 anni a un mio instore, e ora lo vedo ricevere costantemente importanti riconoscimenti. Non è solo una questione materiale, è un piccolo traguardo che per noi significa tantissimo. Fra, è davvero un film.

 

 

 

 


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