GIACOMO GIORGIO
OLD FASHIONED WAY
di Federico Ledda
with a special thanks to Valentina Palumbo
location Palazzo Ripetta, Roma
edit Simona Ladisa
hair by Valentina Coglitore @ ALFAPARF MILANO PROFESSIONAL
make up by Francesca Messali, Melissa Zumbo @MAC Cosmetics
pictures by Alessandro Levati
GIACOMO GIORGIO
di Federico Ledda
pictures by Alessandro Levati
Hair by Valentina Coglitore @ ALFAPARF MILANO
grooming by Francesca Messali, Melissa Zumbo @MAC
edit by Simona Ladisa
location Palazzo Ripetta, Roma
special thanks to Valentina Palumbo
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Old Fashioned, così come Giacomo Giorgio: un attore di altri tempi.
Quando ci siamo incontrati per l’intervista, mi aspettavo di trovare un ragazzo di 25 anni che si diverte e che sfrutta l’onda della popolarità acquisita. Affatto.
Davanti a me ho trovato una persona che prende molto seriamente quello che fa, che si ispira ai grandi maestri e che sa di cosa parla.
Dimenticatevi “Ciro” di Mare Fuori, Giacomo Giorgio è molto più di questo: una cultura disarmante e che spazia dalla fisica quantistica ai film di ogni genere.
Così nasce il suo amore smisurato per il cinema e per ciò che è significato nella cultura italiana: parlerebbe per ore di Mastroianni e Magnani e non risulterebbe mai noioso grazie al suo grande entusiasmo per la materia. Questo, l’ha portato a interpretare ogni ruolo con grande determinazione. Questa sua risolutezza, infatti, lo sta facendo crescere ruolo dopo ruolo. Da “Per Elisa – Il caso Claps”, a “Diabolik” e ora su Rai 2 e Prime Video con “Noi siamo Leggenda”, siamo sicuri che sentiremo tanto parlare di Giacomo Giorgio, motivo per cui non poteva che essere lui il protagonista del nostro 70esimo numero. L’intervista, che potrebbe benissimo essere un podcast o un talk show in tv, merita una seconda parte.
Come hai capito di voler fare l’attore?
Di solito rivelo sempre un motivo, ma a te dico il secondo che non ho mai detto pubblicamente.
Che onore, vai
L’ho capito con il primo film che vidi sul grande schermo. Ero al cinema Arena di Formia, un posto all’aperto e che apre solo d’estate, di quelli col muro bianco, un po’ crepato e ingiallito ma con tanto fascino… Ecco, lì vidi Papillon con Steve McQueen e Dustin Hoffman, ne rimasi completamente folgorato.
Pensi che per essere un buon attore bisogna anche avere passione per il cinema, conoscerlo?
Senza dubbio, non ci può essere altrimenti. Penso che un buon interprete debba avere degli importanti punti di riferimento cinematografici, sia attori ma anche registi e film. Devi essere capace di prendere qualcosa di ognuno. Per farlo al meglio devi vedere quintali di film e conoscere anche quelli che non ti piacciono.
E dopo Papillon qual è stata la cosa che poi ti ha fatto iniziare a fare questo mestiere?
Beh, poi c’è stato il teatro, di quando ero piccolino, a Napoli; c’è stato il Metodo Stanislavskij che ho scoperto a Milano, e poi ho continuato, quando ho continuato tutt’ora, ora ho appena finito con Ivana Chubbuck, che è un’insegnante famosissima.
Quando è arrivato il primo ruolo?
Il primo casting che ho superato per il cinema è stato per The Happy Prince, il film su Oscar Wilde di Rupert Everett e con Colin Firth. Da lì si sono incastrate una serie di cose, piccoli progetti, fino all’occasione più importante che è sicuramente stata quella di Mare Fuori.
Parlando sempre di ruoli, quanto è importante secondo te, per un attore, riuscire fare conoscere storie che magari le nuove generazioni ignorano? Penso per esempio a quella di Elisa Claps. Cos’ha significato per te interpretare il fratello e quanto ti è rimasto addosso di quella vicenda?
Penso che il cinema debba avere due funzioni: una, diciamo, prettamente immaginifica, penso al cinema di Fellini, per esempio, che racconta qualcosa di magnifico, quasi un sogno e che non esiste. Poi c’è un altro tipo di cinema, che invece è denuncia sociale e politica e che racconta verità. Ci sono stati Francesco Rosi, Gillo Pontecorvo…Attori come Elio Petri o Gianmaria Volonté, che hanno vissuto la loro vita con quell’intento e riuscivano a fare arte e informazione allo stesso tempo. Ti faccio questo discorso perché penso che il cinema possa in qualche modo portarti a conoscere cose che non sapevi, a viverle in prima persona e perciò tirarti fuori dei sentimenti. Cosa che è successa, per dirti, con la produzione di “Per Elisa”: ha informato, appassionato e raccontato un fatto che ha nuovamente indignato generazioni, com’è giusto che sia.
Se avessi l’opportunità di raccontare una storia, quale vorresti che il mondo conoscesse o, in caso, riscoprisse?
Io sono molto affascinato dalla fisica quantistica applicata alla filosofia. La studio, ovviamente, in maniera amatoriale, ma mi applico. Devo dirti che ci sono delle cose della fisica quantistica che sono incredibili, scoperte anche leggendarie, nel senso che non si conoscono, sono rimaste un po’ così, leggende, nessuno ne parla. Il fatto che nessuno ne parli mi mette la pulce nell’orecchio, anche perché più o meno 8 anni fa, la fisica è arrivata praticamente ad un punto di coincidenza con la religione, in un modo scientifico e in un modo spirituale. Ho una storia che non posso dire, perché prima o poi la voglio proporre, o magari la vorrò girare come regista, e parla proprio di questo.
C’è una domanda che vorresti che ti facessero ma non capita mai?
Sicuramente qualcosa legata alla verità. Nel senso, le interviste sono interessanti, ma sono rare le volte in cui mi chiedono qualcosa di autentico, qualcosa che non sia già stato sentito e detto. Ad esempio, la domanda sulla fisica che mi hai fatto non me l’ero mai sentita porre prima ed è un esempio di ciò di cui mi piacerebbe parlare in ogni intervista.
Hai parlato di autenticità, che rapporto hai con questo pensiero legato alla tua carriera di attore?
Penso che l’autenticità sia la qualità principale di un attore, regista o autore. Non importa particolarmente quale sia il contesto; è una questione artistica. Per me è un concetto che si può tradurre nel “ho qualcosa da dire”. Se limito le mie battute ad essere solo divertenti, senza che ciò che sto dicendo mi tocchi profondamente, non ha senso. Perché allora dovrei pretendere che qualcuno impieghi due ore del suo tempo con me? Non avrebbe senso. Per questo è necessario che io debba aggiungere sempre il mio tocco personale.
Ad esempio?
Quando interpreto un personaggio, per esempio Ciro, voglio comunicare qualcosa a tutte le persone che hanno vissuto o vivono in modo simile, che hanno una famiglia simile. Voglio trasmettere autenticità nel mondo. Non importa quanto sia tecnicamente preparato; se manca, non sono un artista, ma solo un artigiano.
Poco fa mi parlavi di fisica quantistica, cosa fai nel tempo libero? Leggi libri sulla materia?
Leggo libri di fisica, sì, ma anche di filosofia e poesie, amo Giacomo Leopardi. Poi ovviamente guardo moltissimi film, cerco di vederne uno al giorno.
Ieri cos’hai visto?
Mystic River, che film.
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