di Luca Rivolta
Se vi state chiedendo di quale film che non vi siete mai minimamente inculati andremo a parlare oggi, dovreste riformulare la domanda. Niente film sconosciuti, malati e assurdi. Oggi un colossal; alla fine abbiamo appena passato le feste, non posso mettermi a parlare di Cronenberg con gente che beve il brodino facendo quel fantastico rumore di risucchio. Meglio spostarsi su qualcosa di più commerciale. Gravity.
Diretto da Alfonso Cuarón, interpretato quasi esclusivamente dai due protagonisti, Sandra Bullock e George Clooney, è riuscito ad aggiudicarsi ben 7 oscar. L’unica cosa che mi sfugge è come sia possibile che un film che è stato giudicato come il film con la miglior regia, la miglior fotografia, il miglior montaggio, la miglior colonna sonora, il miglior sonoro e il miglior montaggio sonoro sia stato giudicato peggiore di “7 anni schiavo”; ma non addentriamoci troppo nei meccanismi dello spettacolo, in fondo di questi tempi va così di moda essere antirazzisti.
C’è comunque da specificare che il film non ha ricevuto solo lodi, ma anche aspre critiche, soprattutto riguardanti il lato scientifico. In effetti non bisogna essere degli scienziati per capire che sotto una tuta da astronauta non ci si mette solo una fantastica canottiera scollata e degli aderentissimi pantaloni candidi (una che è stata nello spazio non so quante ore, dove m***hia ha pisc***o?!?). E qua il discorso è molto meno banale di quanto sembra: in effetti un film del genere, non può essere solo un film di fantasia, perché cerca di raccontare una storia verosimile con elementi contemporanei. Però non è neanche una storia di fantascienza, non è un film grottesco, tutto deve essere credibile e verosimile. Chiaramente il film deve rimanere intrattenimento, non deve essere un documentario scientifico, ed è qui che è difficile adottare un compromesso, una non semplice scelta da parte della regia. Ma purtroppo il regista non ha molta scelta. Se questa è la trama, così deve andare. Non si può rinunciare a determinate scene. Quindi, a parer mio, in questo caso lo sforzo lo deve fare lo spettatore. In poche parole l’unica cosa che deve fare è sorvolare su certe cose, non fa nulla se l’Hubble e la stazione spaziale internazionale hanno orbite differenti di 150 km, o se ci vogliono anni e anni di addestramento per riuscire ad atterrare con uno sconosciuto modulo spaziale cinese. Coleridge coniò il termine “sospensione dell’incredulità” appunto per descrivere questo fenomeno. In poche parole, frega nulla a nessuno della velocità dei detriti, l’importante è farsi coinvolgere. E questo è possibile solo grazie all’incredibile mix di immagini e suoni creati da Cuaròn. Non si fa alcuna fatica ad ignorare gli aspetti scientifici, perché si è troppo impegnati a rimanere in ansia per la Bullock, ad ammirare le magnifiche aurore boreali, a rimanere sorpresi per gli inaspettati colpi di scena.
Il film riesce a essere credibile nel suo complesso nonostante le imperfezioni scientifiche, che non è cosa facile, anzi. Probabilmente sarebbe molto più facile consultare Piero Angela, con una piccola intervista a Nespoli, e fiù, ecco un bel documentario. Invece no, Gravity è qualcosa di più, riesce a essere arte. Riesce a tenerti incollato allo schermo, con il cuore che batte, riesce a farti provare sentimenti veri e intensi. Il mix di fotografia e sonoro è secondo me qualcosa che ha davvero pochi precedenti. E soprattutto, riesce ad essere un film per tutti (o quasi), cosa non facile per film che si elevano rispetto alla calma piatta dei cinema italiani (e non). Da vedere.