A PROPOSITO DI DAVIS

di Luca Rivolta APDD_manifesto_30c64dae2547320242320749c05e63fc

Bubu-settete. Eccoci tornati alle origini, al solito (e banale) appuntamento con un film che spacca. Questa volta davvero, non come le ultime due volte, nelle quali abbiamo parlato di cose un po’ inusuali per le nostre pagine. Oggi parleremo di A proposito di Davis, un film del 2013, diretto dai fratelli Coen. Se dovessimo inquadrarlo penso si avvicini al genere “drammatica commedia musicale”. Esatto, un film dei Coen, punto.

La premessa che va fatta è che spacca perché è dei fratelli Coen. Dai, sul serio, come può uscire qualcosa di deludente da quella testa? Una testa in due corpi, spacca per forza.

Sempre cercando di spoilerare il meno possibile, la trama è piuttosto semplice (“il film non aveva una trama vera e propria, e ciò ci portò a riflettere su questo punto, e fu per questo che inserimmo il gatto”): l’ambientazione è quella di una New York agli inizi dei ‘60, più precisamente il Greenwich Village, la capitale del rock, patria di artisti del calibro di Bob Dylan, Andy Wharol e Lou Reed. Come ben sapete quelli erano gli anni del boom folk, gli anni in cui Dylan incise Highway 61 diventando popolare in tutto il mondo. Ma questa, è solo la viglia. Il mondo, seppur per poco, non è ancora pronto ad accettare la musica di Llewyn Davis. È questa è la sua storia, o meglio, è una delle settimane della sua vita, ma l’emblema di essa, e un po’ anche l’emblema del visione dei Coen (chissà perché in questo periodo la parola emblema va così di moda). La storia presenta la temporalità ciclica e breve tipica dei Coen. Il film come inizia finisce. Llewyn, come nasce muore. Povero, così pieno e vero nelle sue parole, ma vuoto nella conclusione di ogni cosa. È la storia di un musicista, uno di quelli veri e completi, a cui non niente funziona, anche se per un momento sembra tutto girare per il verso giusto. Incide un disco di successo? Il suo collega si suicida e lui non ne guadagna quasi nulla. Il gatto delle persone che lo ospitano scappa per colpa sua ma poi riesce a ritrovarlo investendolo poco dopo. Un famoso produttore gli concede un’audizione? Al termine della emozionante ballata riesce solamente a sentirsi dire non si fanno soldi con quella roba”. Prova a fuggire da tutto e tutti imbarcandosi in marina? Perde il biglietto pagato con gli ultimi risparmi.

Il tutto immerso in una cinicissima atmosfera Coeniana, quasi al limite tra il comico e il grottesco. È una vita di stenti, ed l messaggio è uno dei più nichilisti della storia: Llewyn è perfettamente consapevole che lui sia la causa di tutte le sue sventure, ma è altrettanto consapevole che qualsiasi cosa faccia risulta del tutto inutile, che non esiste nulla, che l’esistenza stessa non ha un senso vero e proprio. Che fa schifo tutto, e basta, sia che tu ti dia da fare, sia che passi il tempo sul divano. Così inizia il film, e così finisce: in un quasi sconosciuto locale del Village, a suonare per poche mance. Nellultima scena del film, si intravede un personaggio che si esibisce dopo di lui con una canzone intitolata Farewell. Beh, la sua storia sapete com’è andata a finire.

Certo l’ambientazione in cui è inserita eleva la storia moltissimo, più che altro per la coerenza con cui si sposa col protagonista. Quale personaggio se non un musicista folk del Village può avere tali vicissitudini? È un matrimonio perfetto. Ma penso che l’unico matrimonio che rende perfetto il film sia quello (inconsapevole) tra Joel ed Ethan Coen. Nessun altro sarebbe riuscito a partorire qualcosa che assomigliasse anche lontanamente a tutto questo. Sarebbe rimasta sicuramente una bella pellicola musicale, ma nient’altro.

Da apprezzare senz’altro le citazioni a “Colazione da Tiffany” (uscito appunto nel 61), e le prove attoriali dei vari personaggi, compresa quella di Justin Timberlake, che per quanto mi riguarda rimane la persona che riesco meno a giudicare del mondo. Davvero, non riesco a capire se sia un fenomeno o un coglione.

E banalmente, non passa inosservata la colonna sonora, che riesce a soddisfare le comunque alte aspettative del film: non è facile inserire una colonna sonora originale in un film che parla di una della scene musicali più importanti di tutta la storia.

Il film riesce in tutto e per tutto, e spacca, perché riesce a essere un’opera d’arte, qualcosa che critica senza risultare una polemica, una ballata sull’amore, sull’arte, sull’industria, sul mondo e forse anche sui loro stesso prodotto.

Mi sa che se una sera dovessi uscire a bere con loro, mi sveglierei la mattina dopo nel loro letto.

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LA SFIDA GERARCHICA DI GENERE SESSUALE E LE NUOVE DONNE

di Valentina M.

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Dall’alba dei tempi, passando per il Medioevo e fino alla metà degli anni ‘90, la donna è sempre stata vista come una cuoca, casalinga e sfornatrice di flgli; in poche parole una Passiva. Dal canto suo, l’uomo, è stato costantemente classificato come il genere sessuale attivo e dominante, ossia il fico della situazione.

Poi qualcosa cambiò.

Infatti, dagli anni ‘60 vi fu un ondata di movimenti di protesta da parte del mondo femminile e omosessuale contro una società patriarcale; lo scopo era quello di mostrare al mondo la loro vera natura come esseri dotati di intelligenza e indipendenza. E proprio per questo, alcune nuove donne pensanti e indipendenti divennero artiste e sperimentarono un nuovo tipo di arte che, diversamente da quella precedente, aveva lo scopo di osare, far ragionare ma, specialmente, di scioccare.

Nacque la performance, un’esibizione fatta di azioni che scorrono nel tempo e, diversamente dalle altre forme d’arte vede nello spettatore e nelle sue reazioni il protagonista assoluto in prima persona.

OUR PERIOD.

Nel 2001-2005 Joana Vasconcelos, creò The Bride (La sposa), un magnifico e grandioso lampadario di 5 metri degno dei palazzi di Versailles. Cosa c’entra con la rivoluzione sessuale? Il lampadario è composto interamente di tamponi vaginali; ecco che un oggetto così poco aulico e vagamente schifato dall’uomo, diventa una bellissima opera d’arte.
Più che critica, è un grandissimo monumento alla vagina.

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CAROLEE’S SCROLL

In una delle opere più celebri di Carolee Schneemann, The Scroll, l’artista nuda e sporca di fango estrae una lunga pergamena dalla vagina e la legge al pubblico. Il testo è in parte un poema, in parte un manifesto e in parte alcune sue esperienze divertenti con il sesso maschile nel contesto artistico. Il corpo della donna, ma prima di tutto la vagina, si trasforma in opera d’arte e, allo stesso tempo, conoscenza pura… Ben lontana dalla visione puramente sessuale e riproduttiva che aveva in passato.

“I thought of the vagina in many ways– physically, conceptually: as a sculptural form,
an architectural referent, the sources of sacred knowledge, ecstasy, birth passage, transformation.
I saw the vagina as a translucent chamber of which the serpent was an outward model: enlivened by it’s passage from the visible to the invisible, a spiraled coil ringed with the shape of desire and generative mysteries, attributes of both female and male sexual power.
This source of interior knowledge would be symbolized as the primary index unifying spirit and flesh in Goddess worship.”

Carolee Schneeman

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DEATH SEX

Più forte visivamente è Meat Boy, performance dove uomini e donne si accoppiano circondati da animali morti squarciati; L’atto richiama un rito macabro ed erotico in rappresentanza delle arti sessuali estreme mentre si sottolinea la componente distruttiva, violenta e animale dell’essere umano. I corpi vivi si fondono ai cadaveri degli animali e diventano inespressivi e privi della loro soggettività.

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Con Vagina Painting (1965) Shigeko Kubota attacca l’arte maschile e mostra il suo sesso come apparato creativo più che puramente sessuale. L’artista, accovacciata a terra e muovendo ritmicamente le anche, riesce a disegnare sul pavimento tramite un pennello inserito nella sua vagina e precedentemente intinto nella tempera rossa. Ovviamente vi è un richiamo immediato al mestruo, ma anche ad alcuni lavori di Pollock in cui vi sono schizzi simil-eiaculatori.

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RED LIGHTS

Troviamo invece un’artista più aggressiva in Valie Export che, nel 1968 decise di entrare in un cinema a luci rosse con un mitra e un paio di pantaloni aperti sul davanti che mostrano al pubblico i genitali. Gli spettatori che guardavano il film non avevano il desiderio di essere spiati, la Export, invece, mettendo a loro disposizione il suo corpo, li sfida ad agire. Davanti a questa scena l’uomo entrava in uno stato di panico (l’opera si chiama appunto Genitalpanik), veniva messa a repentaglio la natura privata della sua sessualità; era diventato lui il passivo della situazione.

Sempre rivolta al tema del porno è la performance “Tapp-und Tast-Kino” (Tap and Touch Cinema).

Tra il 1968 e il 1971 la Export decise di camminare per strada indossando una piccola televisione di cartone, una scatola, attorno al suo corpo nudo nella parte superiore, in modo che il suo seno potesse essere visto. Chiedeva agli uomini di toccarle il seno, quindi di “attraversare lo schermo” e passare dal desiderio all’esperienza. Fu una vera e propria sfida per l’uomo, infatti solo pochi furono i coraggiosi che la toccarono. Lei era l’oggetto del desiderio fatto presente, ma non nella sfera privata, bensì in quella pubblica; con ciò offriva il suo corpo sfidando la sessualità alle proprie condizioni.

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THE RAPED

Forse una delle performance più forti e impressionanti della storia dell’arte è Rape/Murder di Ana Mantieda. In questa famosa opera, l’artista invitava il pubblico ad entrare nel suo appartamento; dalla porta semi aperta si poteva passare alla stanza principale e trovarsi davanti ad uno spettacolo terrorizzante; l‘artista priva di sensi e seminuda appoggiata al tavolo e sporca di (tempera color rosso) sangue. Lo spettatore si trovava ovviamente in uno stato di shock.
La performance richiamava un vero e proprio stupro, atto che accadde realmente nel 1973 ad una studentessa dell’università dell’Iowa, molestata e poi uccisa; la notizia oltraggiò moltissimo l’artista e da qui nacque Rape/Murder . Mantieda volle mostrare come la società riduca il corpo della donna in un oggetto in balia delle voglie e dei desideri maschili, spesso violenti e senza scrupoli.

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LA CATTIVERIA DEL PUBBLICO

Opera d’arte al limite della comprensione è Rhytm 0 di Marina Abramovich, performance avvenuta nel 1974 a Napoli. Marina mise in una stanza completamente spoglia un lungo tavolo con 72 oggetti sia di piacere (piuma, bottiglie, scarpe, ecc), che di dolore (fruste, catene, pistole e lamette, ecc) poi si sedette e fece entrare il pubblico.
Per 6 ore consecutive l’artista si privò della sua volontà e mise a disposizione in modo passivo il suo corpo al pubblico che, attraverso uno di questi oggetti, poteva interagire con l’artista in qualsiasi modo, guidato e al tempo stesso provocato dalle seguenti istruzioni:

Sul tavolo ci sono 72 oggetti che potete usare su di me come meglio credete: io mi assumo la totale responsabilità per sei ore. Alcuni di questi oggetti danno piacere, altri dolore.

Dopo qualche esitazione il pubblico napoletano diede inizio alla performance; le lamette vennero subito usate per ridurre in brandelli gli abiti di Marina e poi passate direttamente sulla pelle nuda dell’artista. Gli uomini le succhiarono il sangue dalle ferite e iniziano ad avere un approccio incline alla violenza sessuale mentre alcuni cercarono di proteggerla.
Estremo il momento in cui nelle mani dell’Abramovich venne messa la pistola carica, appoggiata al collo, con un dito della stessa artista appoggiato sul grilletto.

La performance più che arte è una indagine sulla natura umana, l’uomo, avendo la possibilità di fare ciò che desidera, da sfogo alla sua vera natura, che, a volte, è violenta e aggressiva.

La domanda è; cosa sarebbe successo se qualcuno non avesse fermato quelle persone? Fin dove si sarebbe spinta la violenza?

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WHEN IN ROME…#3 – LA GINNASTA

di Sara BianchiIMG_0271

Alice, 21 anni. -La Sapienza-

“Hei, bel tatuaggio! Che c’é scritto?”

“Defying Gravity, io sfido ogni giorno la gravità!”

“Ah veramente? In che senso?”

“Quattro mattine a settimana in università, quasi tutti i pomeriggi in palestra. Faccio questa vita da quando avevo tre anni e nonostante tutte le difficoltà non la cambierei per nessuna ragione.”

“Perché fai tutto questo?”

“Beh, se vuoi ti posso fare un esempio di ciò che mi spinge a continuare…era il 6 aprile dello scorso anno, il giorno dell’ultima gara prima di passare in serie A1 di ginnastica artistica, il giorno per cui ho lavorato da tutta una vita. La gara non stava andando come ci eravamo aspettate, troppi problemi, troppi errori…a quel punto ho capito che dovevo tirare fuori tutta la grinta,tutta la rabbia,tutto ciò per cui avevo lavorato. È stata forse la migliore prestazione della mia vita ma comunque non ero riuscita ad evitare che la squadra, arrivata prima nelle tre giornate precedenti di gara, fosse fatta retrocedere in ultima posizione. Mi ricordo i pianti,il dolore, la paura di non essere riuscite a passare ma, proprio quando non ci speravamo più, uscì la classifica generale e, grazie a punti bonus ottenuti in precedenza, siamo salite sul podio come seconde. È per questo che ti dico che non cambierei mai la mia vita, perché nei giorni come quello capisco quanto possa essere importante sforzarsi per ottenere ciò che si vuole.”

 

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THE GOLDEN BOY – HOODIE ALLEN

di Federico Ledda

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Con il passare degli anni la rete è sempre diventata più influente in campo musicale, portando, spesso grazie a un colosso di nome YouTube semplici ragazzi a vere e proprie pop star. Lo sa bene questo americano ex dipendente di Google che ha lasciato un lavoro-sogno per investire nel suo di sogno: diventare un cantante. Dopo aver pubblicato svariati free mixtape su Internet, ed aver ottenuto un posto nella rinomata classifica di Billboard tutto senza un’etichetta, finalmente, oltre ai sempre più numerosi fan, anche i discografici hanno iniziato ad accorgersi di lui. Ecco quindi dopo tanta fatica ”People Keep Talking” un frizzante disco Pop/R&B che ti fa proprio capire la voglia di fare di questo golden boy, al secolo Hoodie Allen.

Finalmente il tuo primo disco! Com’è averlo tra le mani?
E’ un sogno che diventa realtà! Sono grato per quello che mi sta succedendo, e sono contento che sempre più persone si stiano appassionando alla mia musica.

Nel singolo di lancio ”All About It” duetti con Ed Sheeran, com’è nata questa collaborazione?
Io ed Ed siamo molto amici, l’idea della canzone è venuta fuori dopo una serata passata insieme… Ci ha messo davvero poco tempo a prendere forma!

E nel video interpretate due supereroi!
Sì, è stato folle! Ed era in Tour in Canada, e aveva un solo giorno libero, allora abbiamo organizzato tutto, e siamo andati a Toronto per fare le riprese. E’ stato troppo divertente!

Quali sono le differenze più grandi tra avere un contratto con un’etichetta e autoprodursi?
Quando sei da solo devi pensare a tutto te, e hai molte meno possibilità di farcela, mentre adesso posso finalmente focalizzarmi di più sulla musica.

Com’è essere in Italia?
E’ bellissimo, non c’ero mai stato! Non vedo l’ora di tornarci, magari per un live!

 

M COLLECTIVE STORE – MUCH, MORE, OR MINUS?

di Federico Ledda
foto Alessandro Levati

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Ha aperto in Viale Regina Giovanna (Porta Venezia) a Milano, la prima interactive experience del mondo, si chiama M COLLECTIVE STORE.

Situato nel cuore di Milano, L’M Collective, non è un semplice negozio, ma un collettivo di designers, artisti e stylist, che divisi in tre categorie, hanno dato vita a una vera e propria esperienza sensoriale che da totalmente un nuovo significato alla parola shopping. Non solo vestiti, ma un camaleontico bazar fashion che diviso in MINUS, MUCH e MORE, ti permette di fare shopping in base alle tue emozioni.
Radical, essenziale, pulita è la parte più sobria dello store, denominata MINUS. MUCH, è un’esatta via di mezzo: sofisticata, basic chic, charmant. Esagerata, pazza e swag è invece MUCH, la parte più inaspettata del collettivo, capace di fare stupire e divertire chiunque.

Totalmente multimediale e interattivo, L’M COLLECTIVE, dispone di diversi schermi touch ad alta tecnologia che permettono, avvicinando il cartellino del prodotto al monitor touch, di comunicare ed interagire con il Collettivo.
Lo schermo, infatti, restituisce una descrizione del brand, le taglie e i colori disponibili in store e il suggerimento
di abbinamenti da parte di fashion stylist e blogger che compongono lo staff.

MINUS. MUCH. MORE. Voi in quale vi identificate? Scopritelo facendo un salto da M COLLECTIVE!

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WHEN IN ROME… #2 – IL COMICO CANTERINO

Paolo -Teatro Vittoria- “L'amore è un cane blu” - Roma
di Sara Banchi

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“Quando è iniziata la tua carriera da attore?”

“Io… allora… ho fatto alcuni mestieri prima di questo. Non pensavo di cadere in questo mestiere anche se sono di famiglia d’arte perché mio nonno e mia zia recitavano. Ho fatto un po’ di lavoretti durante l’università, poi ho trovato lavoro come aiutante in una compagnia di marionettisti che però lavoravano anche con gli attori. Poi sono partito militare e tornato in quella compagnia. In realtà all’inizio la presi come un modo di essere autonomo poi però una cosa tira l’altra…mi sono ritrovato sul palco ed ho capito quasi subito che questa era la mia vita,il mio mestiere.”

“C’è stato un giorno particolare che ti ha fatto capire di aver fatto la scelta giusta?”

“…di giorni particolari in questo mestiere ce ne sono tanti…perché, soprattutto come avviene con il nostro modo di lavorare, ossia che non facciamo mai una replica, accade qualcosa di diverso ogni sera. Anche quando giriamo in video improvvisiamo, nell’arco della carriera ne succedono di ogni quindi non c’è una giornata particolare. Posso però dire che ogni giorno è come se fosse il primo, questa é una cosa che ho imparato subito perché questo è un mestiere in cui, se hai la passione per farlo, ti metti in gioco ogni volta…ogni sera é una sfida ed ogni sera ti giochi la giornata che hai trascorso allora tutti i giorni diventano importanti…poi ci sono giorni un po’ diversi perché questo mestiere ti costringe a lavorare anche quando in altri mestieri si resta a casa invece qui devi andare sul palco lo stesso.”

BREAKING BAD

di Luca Rivolta

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Prima di iniziare concedetemi una non molto breve premessa. Non sono un divoratore di serie TV, anzi le reputo cosette per riempire inutile tempo di gente inutile, proprio un livello sotto il cinema (forse anche perché lo sono effettivamente). Insomma, nella mia vita non ho quasi mai seguito niente che prevedesse più di 3 episodi, fatta esclusione per Simpson, Griffin e South Park. E anche The Boondocks, che spaccava tantissimo. E in realtà mi son guardato anche tutto Chuck, ma rimane ‘na merda. In ogni caso, il punto è che Breaking Bad esula da qualsiasi cosa sia esistita fino ad oggi. Per questo mi sembra quantomeno corretto dedicargli questo spazio. Non intendo recensire tutta la serie, cercherò solo di dare una spiegazione dell’enorme successo che ha avuto. Io stesso ho iniziato a guardarlo nonostante la mia pigrizia compulsiva mista ad una tipica inettitudine Sveviana, solo per aver modo di poter pronunciare con orgoglio “io l’ho vista tutta, dovete smetterla di elevare a capolavoro qualsiasi cosa fornisca elementi come droga sesso violenza morti”. E così, complice anche i 6 mesi di Infinity gratuiti ottenuti grazie alla Vodafone (marchette), ho deciso di sedermi sulla poltrona e cliccare play. E devo dire che non è stato amore a prima vista. Certo fin da subito si rimane sorpresi della cura dei dettagli, piuttosto che del realismo delle situazioni, dai dialoghi ecc ecc. Sta di fatto che arrivo alla seconda stagione e ancora niente, guardo la terza e nulla, ma alla quarta cambia sbam, un’illuminazione che neanche il Dalai Lama sa cosa significa; e non è stata la quarta stagione in se, perché se, adesso, ripenso alla prima non ha nulla in meno rispetto all’ultima, è solo che serve un “tempo di visione” piuttosto lungo per comprendere bene il tutto. Alla fine dell’ultimo episodio son riuscito a farmi un quadro della situazione: BB piace alla maggior parte della gente perché “oh ma che figo due cuochi di meta vestiti con tute gialle che bevono birra in bottiglia seduti sul divano lui da professore a cuoco molto cattivo ma son morti tutti oh yeeeeh”, ma oltre a questo, per quanto mi riguarda, è un capolavoro. Il primo aggettivo che mi viene in mente è disturbante. È eccessivamente reale. In particolare Walt, è il personaggio più assurdo che sia mai stato creato. È banalissimo, ma al tempo stesso cattivissimo, e subito dopo è anche giustificatissimo, per poi tornare quel genere di cattivo del tipo “ma che cazzo fai sei stronzo eh”. Di solito i cattivi sono affascinanti, e sono comunque classificabili, ci sono quelli veramente cinici e indifferenti, quelli che sotto sotto hanno i loro valori, quelli che sono cattivi per colpa di quella cosa o quel qualcuno. Walt no. È il protagonista, e per quanto cattivo lo si dovrebbe amare, mentre invece lo si finisce per odiare (se non alla fine, dove tutto ritorna come è cominciato). È troppo reale, prende decisioni che non lo rendono né fico né giustificato. Solo una normalissima persona egoista e cattiva. Gli altri personaggi invece, riescono comunque a essere inquadrati. Gus è pacato ma crudele e spietato, Jesse è solo sfortunato, coinvolto a suo malgrado, e soprattutto vittima di tutto e tutti; Hank è il miglior agente della DEA. Non sto assolutamente dicendo che gli altri personaggi sono inutili e scontati. Anzi, sono tutti molto curati, mai superflui, tutto è sempre molto funzionale alla trama. Ma nessuno riesce a sorprendere come Walt. Sempre per quanto riguarda questo punto, nulla è lasciato a caso. Anche le azioni più insignificanti hanno un ripercussione. La trama, nonostante i continui colpi di scena e le varie complicazioni riesce a essere sempre fluida e mai forzata. Tutto gli avvenimenti e le coincidenze seppur al limite del surreale, riescono ad essere perfettamente verosimili e assimilabili senza alcuna fatica.

Penso però, che l’elemento più di disturbo sia la morale assolutamente nichilista. È qualcosa che va oltre il concetto di giudicare, non è un semplice “tutte le cattive azioni hanno una loro giustificazione”, ed è lo stesso Walt ad ammetterlo. Non ha fatto tutto per la famiglia, l’ha fatto per se stesso, per sentirsi vivo. Che a vederla così in effetti era più facile fare rapine, o buttarsi con un elastico legato ai piedi. E invece no. Eventi assurdi, storie di morti, di violenza, e tutto perché? Senza nessun motivo. Non c’è niente sotto, le cose succedono e basta. E non è superficialità, e andare ancora più a fondo di quanto si sia mai scavato, e per questo Breaking Bad è qualcosa di estremamente fastidioso. E tutto ciò che riesce a turbare, a entrare dentro rimane. Per quanto mi riguarda è semplicemente questo il motivo per il quale sia riuscito a farlo venire duro a tutti, critica e pubblico.

Per chi non avesse ancora avuto modo di vederlo, provveda al più presto (dai sono anche stato bravo a non spoilerare quasi nulla). Perché davvero, se qualcosa riesce a tenere incollati non so quanti milioni di telespettatori senza mostrare neanche mezza tetta, è qualcosa che merita.

Ah, e in ogni caso, Game of Thrones rimane ‘na merda che usa i soliti escamotage (sesso violenza morti) per far credere che spacchi. Schifo.

Breaking Bad: Jesse Pinkman and Walter White

KWABS

di Federico Ledda

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Non ha nemmeno sfornato il suo primo disco “Love + War” che è già sulla cresta dell’onda con il successo “Walk“, che a oggi ha totalizzato oltre 30 milioni di visualizzazioni su YouTube. THE EYES FASHION ha scovato tra le scrivanie dell’ultimo piano degli uffici di Warner Music a Milano KWABS, cantante inglese che con della sua sensibilità in chiave pop sta facendo innamorare tutti, persino Sam Smith che l’ha voluto come suo opening act ufficiale per il tour europeo. Potevamo perdere l’occasione di scambiare due parole al volo?

Walk sta diventando poco a poco un successo planetario! Come ti senti, te lo aspettavi?
Non potevo mai immaginarmi di riscuotere tanto successo a livello internazionale. Ne sono contento, significa che la gente si è appassionata a quello che racconto con le mie canzoni.

Sta per uscire il tuo primo disco: ”Love + War”, come sarà?
Sarà l’esatto connubio dei sentimenti che ho già espresso nei miei pezzi usciti fino ad ora. Spero che alla gente piaccia tanto quanto i miei recenti singoli.

Il tuo brano ”Pray For Love” è davvero toccante, ce ne puoi parlare?
E’ come dice appunto il titolo, una sorta di preghiera espressa da due persone logorate dopo aver lottato con tutte le loro forze per l’amore.

Sei in tour con Sam Smith, come ti senti? E’ la tua prima volta in Italia?
Sì! Non ero mai stato a Milano! E’ bellissima la risposta che stiamo riscontrando qui, e quando Walk sia piaciuta alla gente! Non vedo l’ora di salire sul palco!

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WHEN IN ROME… – #1 – L’APOLIDE

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di Sara Bianchi

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A due passi da Fontana di Trevi si può assistere ad uno spettacolo artistico veramente particolare. L’artista in questione si chiama Adam e grazie a bombolette e stencil riesce a creare, in pochi minuti, opere che affascinano migliaia di turisti.

“Quando è iniziata la tua attività? Perché hai scelto questo tipo di arte?”

“Ho iniziato quando ero molto piccolo, già a pochi anni mi piaceva molto disegnare e da circa sedici anni faccio questo. È iniziato tutto perché volevo condividere la mia arte senza fare nulla di illegale, quando ho iniziato questo genere esisteva solo a New York e quindi ho deciso di portarlo in Italia. Forse a breve le mie opere saranno esposte qui vicino al museo di Roma.”

“Posso farti un’altra domanda? Da dove vieni?”

“Certo! Io sono apolita, sono un cittadino del mondo! Non ho patria, sono nato in Macedonia ma non ho un luogo di origine. Provengo da una famiglia molto numerosa, siamo tredici figli e tutti sparsi per il mondo!”

“Grazie mille Adam…è stato un piacere conoscerti!”

“Grazie a te, anzi, aspetta…tieni, queste tre te le regalo!!”

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WTF??? – #4 – PRIMAVERA E ALTRI GUAI

di Ludovica Borzelli (http://www.belou.wtf/)

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Finalmente possiamo dirlo: la primavera è qui.
Fiori, farfalle, sole, passeggiate al parco… Meraviglioso!
…O forse no?
Sebbene la primavera sia considerata una stagione stupenda, infatti, anche lei ha i suoi lati
negativi; vediamoli insieme!

1. Il sole sprecato
PRO
C’è un sole che spacca le pietre, un piacevole venticello fresco e un cielo terso, senza nemmeno
uno straccio di nuvola: a chi non verrebbe voglia di uscire a fare un giro al parco o a prendere un
gelato?
CONTRO
Chi studia e/o lavora non ha la possibilità di godersi questo tempo paradisiaco, ma è anzi
costretto a starsene nel proprio ufficio o in biblioteca fino a che non fa buio, deprimendosi per
aver sprecato delle giornate così belle.

2. Serate “in compagnia”
PRO
Se le giornate primaverili non possono essere godute appieno da tutti, ci si potrebbe consolare
almeno con le serate: il clima è mite, fuori si sta bene e si può uscire in maniche corte,
abbandonando gli invernali piumini da omino Michelin.
CONTRO
Bisogna farsi il bagno in quell’irrespirabile prodotto chimico che è l’Autan, se non si vuole crepare
causa punture di zanzare.

3. Fiori, colori e POLLINI
PRO
Tutto è più colorato, gli alberi e i prati sono in fiore e ciò non può che mettere tutti di buon
umore.
CONTRO
O meglio, QUASI tutti: chi soffre di allergia ai pollini col cavolo che sarà di buon umore; al
massimo sarà strafatto di antistaminici.

4. Bombe sexy o Bombe e basta?
PRO
Addio maglioni e calzettoni, bentornati adorati abitini estivi e minigonne! È tempo che il mondo
ricominci ad ammirare i nostri corpi super sexy.
CONTRO
Oddio, forse non così sexy: le gonne mettono in mostra dei cosciotti che prima delle abbuffate
pasquali e natalizie non c’erano, e quella camicetta che tanto adoravamo sembra essere lì lì per
scoppiare: AIUTO!

5. Aggiungi un posto a tavola
PRO
La pausa pranzo sarà molto più piacevole: ci si può godere il calduccio dell’una mangiando
all’aperto, oppure nei weekend i fortunati che hanno un terrazzo possono organizzare pranzi e
grigliate fuori. Un sogno!
CONTRO
Ma il sogno si trasformerà ben presto in incubo: gli insetti sono tornati a popolare il mondo, ed
ecco che api, vespe, mosche e quant’altro si autoinviteranno a pranzare con voi.

6. A.A.A. Cercasi estetista disperatamente
PRO
Tornando a parlare del guardaroba, le fanciulle hanno finalmente la possibilità di scoprire gambe
e braccia: che sollievo, no?
CONTRO
Decisamente sì, a meno che non ci siano peli superflui trascurati durante l’inverno. E poi vogliamo
parlare del bianco catarifrangente del nostro colorito? Un pugno nell’occhio.

7. Jogging che passione
PRO
Per chi fa sport all’aperto il bel tempo è una manna dal cielo: fare jogging sotto la pioggia o con
la neve è decisamente più traumatico di andare a correre alle sette di sera di una giornata
primaverile, quando ancora c’è luce ma non fa troppo caldo.
CONTRO
I pigroni anti-sportivi come me non hanno più alcuna scusante e devono rassegnarsi a muovere il
deretano per rimettersi in forma.

Insomma, voi che ne pensate?
C’è qualcos’altro che vi piace/non vi piace della primavera?
Fatemi sapere!

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SEX SELLS AGAIN

di Valentina M.

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La fotografia ha sempre giocato un ruolo importante nella storia della moda; da metà secolo in avanti, fotografi di ogni genere hanno fatto a gara nel mostrare abiti, accessori e profumi nelle maniere più alternative, in modo di cercare di catturare l’attenzione della massa attraverso curiosità, e in alcuni casi anche scandalo.

Ecco la classifica delle campagne pubblicitarie più trasgressive e interessanti.

5. ALL SEX

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Oliviero Toscani crea da 25 anni le campagne pubblicitarie più discusse e criticate: dalla lotta contro l’HIV, alle adozioni tra omosessuali. Per Benetton ha dato vita ad una serie di manifesti di sensibilizzazione, dalle difficili tematiche sociali, che pur non avendo niente a che fare con la moda hanno dato nuova luce al brand. Questa, intitolata ALL SEX, ritrae molteplici peni e vagine di diverse etnie e dimensioni; Toscani sfrutta il sesso per richiamare l’attenzione sul tema dell’uguaglianza.

4. The G Spot

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Tom Ford non è mai andato per il sottile, anzi, ha sempre capito che osando con le campagne più controverse – e in alcuni casi volgari – avrebbe creato un altro livello di pubblicità, difficile da comparare. Ed ecco perché Tom (a quel tempo Creative Director di Gucci) decise di rasare una G sul pube della modella nel celebre scatto di Mario Testino risalente all’ormai lontano 2003.

La G stava per Gucci, ma ovviamente anche per il Punto G che sembra ipnotizzare il modello reso inerme e passivo. La risposta del pubblico fu quella che ci aspettava: lo scatto fu dichiarato dannoso per la società.

Non m’importa di come parlino di me, basta che ne parlino. (George Micheal Cohan)

3. TOM FORD

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Conosciuto come l’uomo che fece la fortuna di Gucci attraverso il suo carisma e le sue innovazioni spesso sopra le righe, Ford è ora noto come un pioniere del lusso assoluto.

Per la sua fragranza TOM FORD venne usato lo stesso metodo usato anni prima da Gucci: attirare l’attenzione maschile. La sua scelta fu quella, senza troppi giri di parole, di mettere il profumo in mezzo ai seni e alle gambe di modelle accuratamente oleate e depilate.

Lo scatto, ad opera di Terry Richardson, creò subito scalpore, nonché molta curiosità da parte degli uomini, che cercavano di intravedere qualcosa al di là del vetro.

Ancor prima di provare la fragranza il consumatore era intrigato e invogliato all’acquisto; il profumo diventò quindi un vero e proprio oggetto del desiderio.

Il suo fu, infatti, un gesto di marketing, più che un vero e proprio scatto pubblicitario.

This is how I want people to regard my character: High, expensive, classy, sophisticated and sexy.”

2. Farming

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Nel 2001 Terry Richardson realizzò la campagna pubblicitaria di Sisley per la collezione Farming.

Visto il tema, Richardson decise di ambientare gli scatti in una stalla, con tanto di fieno e vacche; i risultati furono questi ; modelle che, con sguardo ammiccante, bevevano latte direttamente dalla mammella della mucca con conseguente sbrodolio del liquido sul loro corpo. Nessuno vedrà mai, in quella innocente macchia bianca, solo del latte. Richardson gioca proprio su questo fattore, sulla mente dell’essere umano, che associa anche il più casto dei liquidi alla sfera sessuale.

Sta in questo, la bellezza della foto, oltre che nel doppio senso del contesto.

1. Vagina Bag e Biasia Evolution

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Più di nicchia e meno esplicite sono, invece, le foto di Francesco Biasia. Queste campagne sono basate su un’idea di travestimento fetish che, a differenza di quelle precedenti, non mostrano il corpo, ma lo coprono. Nella prima foto (del 2002) Biasia mostra una borsa nera dalla profonda zip aperta che raffigura palesemente una vagina. La foto gioca sull’idea della cerniera, che può chiudere e aprire una sorta di costume di pelle nera. Costume che, nella seconda foto, veste la modella, protagonista indiscussa della foto, a discapito della borsa che è piccola e in secondo piano.

La frase “Il vostro desiderio di cerniere, borchie e catene, finalmente lo potete confessare” serve solo a rimarcare il messaggio di libertà e anticonformismo sessuale. L’idea di cerniera viene ripresa sulla bocca della ragazza di colore, con lo stesso principio di prima; come la tuta si può aprire, chiudere e diventare oggetto del desiderio, così anche la borsa può diventarlo.

Oltre ad aver creato scandalo, questi manifesti pubblicitari hanno dato ad pubblico bigotto un tipo di sessualità talvolta fatto passare come tabù. Altro che 50 Sfumature di Grigio.

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LA MUSICA INDIE, L’ITALIA E I THEGIORNALISTI

di Federico Ledda
Special thanks to Nicola Cani e Giacomo Pisati
foto Alessandro Levati

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Chi pensa che il cantautorato italiano sia ormai morto dovrà ricredersi! Ci sono invece molti talentuosi artisti della scena indie pop che stanno, e che faranno parlare di loro sempre di più, giusto per citarne alcuni: Levante, Bianco, Paletti e i Thegiornalisti, gruppo romano giunto al terzo disco intitolato ”Fuoricampo”. La band si contraddistingue per gli arrangiamenti dal suono internazionale, misti a testi che subito ti riportano alla mente Antonello Venditti e Lucio Dalla dei tempi migliori, artisti di grande spunto per loro. The Eyes Fashion ne è più che ossessionato, specialmente dal loro ultimo disco; potevamo quindi farci scappare l’opportunità di intervistare il frontman Tommaso Paradiso nel backstage della loro data SOLD OUT al Tunnel di Milano?

Thegiornalisti. Tunnel. Tutto esaurito. Come ci si sente prima di salire su un palco di una data così importante per voi?
Benissimo! Nonostante sia ancora con i postumi di una brutta influenza, quindi tosse, raffreddore e soprattutto poca voce! Però cercherò di dare il massimo!

Quali sono le differenze tra questo disco e il precedente?
Beh, adesso siamo sotto contratto con Foolica e per le edizioni con Universal, quindi la lavorazione di questo disco è stata molto più grande rispetto al precedente che è stato interamente auto prodotto. Diciamo che per Fuoricampo tutto lo staff si è impegnato affinché il disco venisse fuori nel miglior modo possibile, sia a livello di sound che a livello di produzione. Un lavoro nettamente superiore rispetto al precedente.

Più grosso è diventato il progetto, così come la vostra fan base che è cresciuta a dismisura…
Sì, diciamo che è cresciuta di più negli ultimi sei mesi, che negli ultimi tre anni.

Che effetto fa cantare per un pubblico che sa ogni singola parola dei vostri testi?
Sono sempre stato un grande amante del pop sin da piccolo. Facendo però parte del mondo Indie, avevo quasi paura a far uscire qualcosa che fosse troppo pop, ma a una mi sono rotto il cazzo di essere criptico per forza e mi son detto vaffanculo, adesso scrivo quello che amo e con cui sono cresciuto. Penso che la gente abbia apprezzato appunto la nostra voglia di fare del vero e proprio pop con i ritornelli che vanno cantati a squarciagola.

Nei vostri testi si può chiaramente decifrare una grande contaminazione da parte del cantautorato italiano, specialmente di Lucio Dalla, grande ispirazione per te…
Lucio Dalla è una ispirazione continua in quanto lo reputi il più grande cantante italiano di tutti i tempi, ma è anche vero che come ogni persona, ho delle fasi in cui ascolto più un’artista che un altro, e durante la lavorazione di Fuoricampo, la musica di Lucio Dalla ha influito proprio tanto. Però, come ho detto è stato un periodo; i pezzi nuovi lo ricorderanno molto meno, rimanendo però per me un grande punto di riferimento.

Qual è il vostro pezzo alla quale tu sei più affezionato?
Del primo disco sicuramente Autostrade Umane, che secondo me è il pezzo simbolo dei Thegiornalisti in assoluto. Mentre invece di quest’ultimo, ti dico tutti perché sono stati scritti in un modo estremamente intimo e creativo, quindi sarebbe difficile e ingiusto sceglierne sono uno.

E quella invece di Lucio Dalla?
Siamo Dei, che fa parte di ”Dalla” uscito nel 1980… Forse il suo più bel disco.

Qual è il posto dove sognate di suonare live?
Probabilmente Sanremo.

Ma come ospiti o concorrenti?
Come ospiti sarebbe il sogno! Credo che se avessimo la possibilità di fare ascoltare a tutta Italia un brano come Promiscuità, la gente si innamorerebbe subito dei Thegiornalisti.

Cosa pensi della scena Indie Pop italiana?
E’ molto florida e leale. Crediamo sia un punto di svolta!
Si cerca di farsi sostegno, e di spingersi sempre più in alto a vicenda. Stasera verranno amici tipo Dente, Triangolo, Carnesi… Noi andiamo ai loro concerti, e loro vengono ai nostri. Cerchiamo di aiutarci e di stare sempre compatti, così come con Lo Stato Sociale, e i Cani, di cui stasera faremo una cover.

Quanto è diverso l’Indie Pop italiano da quello di un altro paese, ad esempio a quello Americano?
Estremamente diverso, perché purtroppo l’Italia ha un bacino molto più piccolo. Se gli Arctic Monkeys fossero nati in Italia, avrebbero comunque avuto un bacino molto più ridotto, invece cantando in inglese, sono indie, sì, ma mondialmente indie, cioè sono grossi, a un livello che penso nessun artista indie italiano eguaglierà mai, purtroppo.

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CLIQUE

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Photographer ALESSANDRO LEVATI
Photographer’s collaborator ALESSANDRO VILLA
From an idea of FEDERICO LEDDA, ALESSANDRO LEVATI, JOHNNY DALLA LIBERA
Models YULIA, IULIIA, RUAIRI, ELISA @ 2MORROW MODEL
Hair EMANUELA CARICATO
Make Up CLAUDIA BARCELLI
Styled by FEDERICO LEDDA
Production JOHNNY DALLA LIBERA
Graphic designer CRISTINA BIANCHI
Editing ANDREA CRISAFULLI
Special Thanks to LORENZO FRUMENTO, GESSICA TOMAO

LA FINESTRA DI ANNALISA

di Federico Ledda

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È senza dubbio la cantante italiana del momento, e la vincitrice morale dell’ultima edizione di Sanremo, il festival della canzone italiana più importante di sempre. THE EYES FASHION ha incontrato Annalisa, fragile e carismatica cantante che dopo la scuola di Amici di Maria de Filippi di strada ne ha fatta, riuscendo a far diventare il suo ultimo successo “Una Finestra Tra le Stelle” disco d’oro, e le date del suo tour imminente quasi completamente SOLD OUT. Potevamo quindi farci scappare l’occasione di cercare di capire la chiave del suo successo?

Hai da poco finito l’esperienza Sanremese, com’è andata?
Bene! Sono molto contenta soddisfatta! E’ stata una bella settimana, al di là delle tensioni, è stato divertente! C’era un’atmosfera positiva, forse perché anche con gli altri cantanti ci si conosceva meglio, e quindi eravamo più a nostro agio.

Che cosa è cambiato dalla volta precedente?
Non lo so! Sicuramente io sono maturata. Ho notato anche una diversità nella situazione che mi circondava, mi sono davvero divertita!

Sei diventata nota al pubblico grazie alla partecipazione in Amici di Maria de Filippi. Quanto pensi che questo abbia influito sulla tua carriera?
Amici ha influito perché se non ci fosse stato io non sarei qui. E’ stata la mia prima porta aperta sul mondo della musica vera. Vera nel senso che avevo comunque già i miei progetti e la mia band, ma era sempre una battaglia per arrivare a fine mese; non avrei mai potuto vivere solo di questo. Amici è stata la prima occasione, l’inizio di un vero e proprio percorso.

Sei arrivata al tuo quarto disco, il primo in cui le canzoni a scriverle sei stata tu. Quali sono state le differenze che hai riscontrato nel lavorare a un album molto più intimo rispetto agli altri?
Questo disco si potrebbe definire quello della maturità! Diciamo che dopo un periodo a interpretare i pezzi degli altri ho deciso di tornare alle origini, portando sul palco le mie parole e i miei sentimenti. Alle origini perché in realtà è da quando ho quattordici anni che scrivo musica. Quindi sono solamente ritornata al mio approccio istintivo, quello che mi completa. Infatti sento ”Splende”, il mio ultimo disco, molto più mio rispetto agli altri, perché mi rappresenta al 100%.

Durante la serata delle cover, a Sanremo, hai deciso di cantare ”Ti Sento” dei Matia Bazar, come mai proprio questa scelta?
Ho deciso proprio questa canzone, perché oltre a piacermi da impazzire, volevo cantare una canzone nota, scegliere un pezzo che cantassero tutti, dalle persone in sala a quelle a casa, e ”Ti Sento” è proprio così: la sanno tutti.

Hai di recente collaborato con Raige per il brano ”Non Dimenticare (Mai)”. Come è accaduto?
Sia io che Raige siamo sotto etichetta Warner Music, e l’estate scorsa abbiamo fatto insieme il tour delle radio; cioè, io con la mia canzone, e lui con la sua, andavamo in giro dentro un pullmino stile ”Gruppo Vacanza Piemonte” per promuovere i nostri pezzi nelle radio. Ci siamo legati, abbiamo chiacchierato un sacco, e da lì, dal rapporto che si è creato, abbiamo deciso di fare un pezzo insieme. E’ stato un incontro a metà strada, non lui che si è avvicinato al mio mondo, e non io al suo. E’ stata una cosa paritaria, uscita davvero bene secondo me!

Come vedi il mondo dell’hip hop? Ti interessa?
Il rischio quando a volte ti avvicini per collaborazioni a mondi diversi dal tuo, è quello di rischiare di fare cose che non c’entrano con te o con la tua strada, bisogna quinidi stare attenti a questo. Se potessi collaborare ancora con la stessa sensibilità con la quale è stata fatta ”Dimenticare (mai)”, perché no?

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WTF??? – #3 – DIECI COSE RANDOM DA FARE NELLA VITA

di Ludovica Borzelli (http://www.belou.wtf/)

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A chi non è mai capitato di annoiarsi così tanto da cercare su Google “Cosa fare quando si è annoiati”? Il problema è che i risultati di una ricerca del genere sono sempre banalissime proposte del tipo: “Metti a posto la casa”, “Vai dal parrucchiere”, “Gioca a solitario”, “Vai a fare una passeggiata”, “Taglia le unghie al gatto”, “Aiuta la nonna a cercare la dentiera” e cose del genere. Divertimenti apocalittici, insomma. O, ancora peggio, sono cose impossibili da fare, come per esempio: “Compra un canarino e insegnagli a ruttare”. Qualche giorno fa, allora, ho deciso di modificare la mia ricerca Google e scrivere “Cose stupide da fare”; ho scoperto un mondo. Dunque ho selezionato per voi le dieci cose più demenziali, anti-noia e semplici da realizzare tra quelle che ho trovato. Enjoy!

1. Entrare in un ascensore affollato e dire: “Vi chiederete perché vi abbia riuniti tutti qui oggi”.

2. Salire su un tram e spiegare le procedure di sicurezza di volo fingendo di essere una hostess

3. Indicare una persona e gridare: “SEI UNO DI LORO!”, dopodiché scappare in preda al panico.

4. Tenere aperte le porte dell’ascensore dicendo di star aspettando un amico, per poi lasciarle chiudere dopo qualche secondo esclamando: “Ehilà, Claudio! Allora, com’è andata?”.

5. Ordinare una pizza tre minuti prima di Capodanno e, una volta arrivata, rimproverare il ragazzo delle consegne dicendogli: “Dannazione, ma quanto ci avete messo?! L’ho ordinata un anno fa!”.

6. Comprare una ciambella e lamentarsi con il barista del fatto che sia bucata.

7. Andare all’IKEA, nascondersi in un armadio e, quando qualcuno lo apre, dire con tono misterioso: “Benvenuto a Narnia”.

8. In un museo, davanti a un dipinto o a una statua, iniziare a parlare con il soggetto dell’opera come se vi stesse affidando una missione.

9. Entrare da Burger King e chiedere indicazioni per arrivare al McDonald’s più vicino.

10. Vestiti in maniera eccentrica, fermare una persona per strada e chiederle che anno sia. Aspettare la risposta e poi esclamare esaltati: “Ha funzionato!”, scappando via. Se avete trovato il coraggio di farne qualcuna, raccontatemi com’è andata!  E che la noia non sia con voi.

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Birdman, la birra, la Marvel e la merda

di Luca Rivolta

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Oggi si cambia registro, niente recensioni, o meglio niente lodi. Solo critiche. E non ci abbasseremo a parlar male di Hunger Games (“ma cosa dici, ha una trama e una colonna sonora bellissima” – classica bimbaminchia di età compresa tra i 14 e i 22 anni), né tanto meno 50 sfumature di grigio (“ma cosa dici, hai una mente chiusaaa” – classica bimbaminchia di età compresa tra la pubertà e la menopausa). Tutti film per donne, casualmente (“ma cosa dici, il mondo è bello grazie alle donneee” – qualsiasi bimbominchia di qualsiasi sesso ed età). In realtà volevo buttar dentro in questa lista di esempi anche Italiano medio, solo che è un film che fa schifo anche alle donne quindi niente, non avrei potuto fare la mia esilarante battuta misogina.

Oggi si parla male di Iron Man. Di tutti e tre eh. E anche di Capitan America, di Avengers, di Spiderman, di The Amazing Spiderman, ma anche di roba della DC, come Man of Steel e tutto il resto. No di Batman no, è un caso a parte. E neanche dei Guardiani della Galassia, che è fico. E non voglio parlarne male a caso, tanto per parlarne, come si fa di solito. Capiamoci subito, penso ci sia una sostanziale differenza tra questi film e tutto quello schifo che passa nei multisala. Ammetto di essere io il primo ad andare a vedere tutti i film dei supereroi, complice la vicinanza del Cinema, le sere svogliate, e forse la mancanza di accettazione della società per chi si fa di droghe pesanti. E mi diverto anche magari. Ma non si può elevare certe pellicole a qualcosa di degno di nota o “fico”. Perché saranno anche bei film, ma rimangono merda. E ok, non sono merde brutte, ma capite benissimo che non si può ritenere soddisfacente qualcosa che è una bellamerda. Se devo scegliere tra fico, bellamerda e merdabrutta, è ovvio che scelgo fico. Si potrebbe star ore a parlarne. Sono film curati, buona Regia, buoni dialoghi, ottime scene d’azione ed effetti speciali, spesso anche gli attori non sono niente male. Niente è niente male, il che significa che niente impressiona. Non rimane niente, non colpisce niente. Sono come una Heineken. A tutti piace la Heineken, bambini, vecchi, le stesse sopracitate donne che guardano 50 sfumature di grigio. Ma una volta che hai finito la tua 33, cosa ti è rimasto? Non hai neanche un accenno di ebbrezza, non ti è rimasto niente del sapore. Sì anche la Heineken è una bellammerda.

E non ce l’ho con Hollywood, diciamo che si è fatto perdonare: ha partorito questo mezzo capolavoro, Birdman, un film che parla male del cinema e nello specifico dei supereroi e della critica, mentre eleva ad un livello superiore il teatro. Porca paletta, chi se lo sarebbe mai aspettato che avrebbe vinto l’oscar. Apro e chiudo subito la parentesi, non penso che sia un prodotto commerciale ideato per vincere premi, ma era scontatissimo che fosse destinato a vincere, è un film che parla di Cinema, e ne parla alla gente del Cinema. E Hollywood sentiva nel profondo questa necessità, doveva restituire questi infiniti milioni di incassi ottenuti grazie alla varia bellamerda. Alla fine, da che mondo è mondo, i produttori inseguono i soldazzi. Non penso sia giusto prendersela con loro, penso che la vera critica vada fatta a noi. Non pretendo un’inversione di quello che sta succedendo adesso, è chiaro che un Boyhood non possa riempire una sala più di quanto lo faccia un Thor, e per carità tutto il mondo dei fumetti ha un suo perché. È che al giorno d’oggi, è davvero difficile, se non su internet, riuscire anche solo a parlare, e spesso a vedere certe cose. E certo, le colpe sono dei multisala, che non li trasmettono, o lo fanno per brevi periodi, e dei vari Media, che spingono solo ciò che ha una facile presa sulla massa. Ma prima di tutto la colpa è nostra, di tutti: nessuno pretende che vi impegnate socialmente per cambiare il mondo, ma solo di cambiare voi stessi, e in minima parte. Insomma, bevetevela la vostra Heineken, ma cercate di non essere delle merde, né belle né tanto meno brutte.

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CHARLI XCX – A CHAT WITH THE LONDON QUEEN

di Federico Ledda
foto Alessandro Levati

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Rompere gli schemi della musica pop è davvero difficile, sicuramente non un’impresa da tutti i giorni. E’ questa la missione che sta compiendo Charli XCX, impavida hitmaker classe 1992, che con la sua sincerità estrema e sopra le righe sta continuando a sfornare un successo dopo l’altro Boom Clap, Break The Rules, e la più recente Doing It, con la sua connazionale Rita Ora.

E’ anche dietro ad enormi successi quali Fancy con Iggy Azalea e I Love It delle Icona Pop, dove oltre a prestare la sua voce, il pezzo l’ha anche scritto.

L’abbiamo incontrata nel backstage del PRISMATIC WORLD TOUR di Katy Perry, colossale tour nella quale è opening act; e abbiamo parlato del suo ultimo disco SUCKER, dei suoi successi e della sua vita.

Signore e signori, CHARLI XCX.

Boom Clap, poi Break The Rules e adesso Doing It! Innanzi tutto, come stai? Ti aspettavi un successo così enorme?
Non mi sono mai aspettata niente a dire il vero! Ho sempre fatto musica principalmente per me stessa, il fatto che poi alla gente piaccia o meno, non è affar mio. Sono contenta che la risposta sia positiva, trovo sia fantastico essere in tour e fare tappa in posti così diversi tra di loro, con persone che prestano davvero attenzione a te, e alla tua musica, e che condividono il tuo messaggio.

Sono molto colpito da SUCKER, davvero, trovo che sia uno dei dischi più interessanti, in ambito pop degli ultimi anni. E’ stato difficile conciliare testi forti e sinceri come i tuoi con l’industria del pop?
Quando mi sono messa a scrivere questo disco, ho deciso di buttare fuori tutto quello che non ho detto nei precedenti, senza fare compromessi con nessuno. Non ho mai scritto un pezzo per fare piacere a qualcun altro, ho sempre scritto solo per fare del piacere a me stessa. Sono molto egoista in questo.

Quali sono le differenze tra Sucker e il tuo precedente album True Romance?
True Romance è un disco molto più malinconico, timido e misterioso… se fosse un colore sarebbe sicuramente il viola; SUCKER, invece, è come un pugno in faccia… è pericoloso, è aggressivo, è selvaggio, sicuramente sarebbe un rosso acceso, o un rosa shocking. Diciamo che True Romance era molto più dolce come lavoro, mentre questo invece è molto più… stronzo. (ride ndr)

Qual è la canzone del disco alla quale sei più legata?
Sono indecisa, probabilmente sono due: la prima è di sicuro Sucker… Perché dico vaffanculo talmente tante volte che diventa terapeutico cantarla. Parla dell’industria musicale e delle mie esperienze fino ad ora in quel mondo, è praticamente un grandissimo dito medio a tutto e a tutti. L’altra è invece Need Ur Luv, che è la canzone più romantica e soft del disco. Queste due perché sono un ottimo contrasto tra di loro.

Hai scritto innumerevoli hit di successo, tra cui ”I Love It” per le Icona Pop. Come mai hai scelto di dare una canzone con quel potenziale a qualcun altro?
Quando ho scritto I Love It, era una canzone che mi piaceva molto, ma che non sentivo mia. Appena l’ho proposta alle Icona Pop, e gliel’ho sentita cantare, non avevo dubbi: era la canzone perfetta per loro. Sono davvero contenta che gli sia piaciuta.

In questo periodo sei in tour con Katy Perry: come mai un’artista con già all’attivo tre album, ha deciso di diventare l’opening act di qualcun altro?
La proposta è arrivata nel pieno della popolarità di Boom Clap; ho accettato per avere la possibilità di far conoscere la mia musica a un pubblico più vasto, così da poter fare crescere anche la mia fanbase. Inoltre adoro Katy, ogni sera mette in piedi uno show che è indescrivibile, e mi permette di usare tutto il palco per il mio set… E’ motivo di orgoglio per me stare là sopra prima di lei!

Hai di recente lavorato con Lorde alla colonna sonora dell’ultimo Hunger Games, com’è stato lavorare con lei?
E’ stato bello! Non abbiamo proprio lavorato insieme a della musica, ma diciamo che mi ha più che altro istruito su come voleva che fosse il mio pezzo, essendo la direttrice artistica della colonna sonora. Tuttavia è stato fantastico, ci siamo capite fin da subito, lei voleva che facessi qualcosa di differente, di inaspettato, e io volevo creare qualcosa che desse un tocco in più alla colonna sonora. Sono una sua grande fan, è davvero una persona intelligente, che da tutta se stessa per l’arte.

Se dovessi scegliere tre canzoni che secondo il tuo gusto sono le più belle di sempre, quali sceglieresti?
Britney Spears – Piece of Me
Lou Reed – Satellite of Love
Bow Wow Wow – I Want Candy

Qual è stata la cosa più divertente che un fan ha fatto per te?

I miei fan sono davvero dolcissimi! Mi hanno comprato tantissime copie del profumo di Justin Bieber, talmente tanti che me ne porto delle boccette sempre con me! Ce l’ho anche adesso addosso. Una volta un gruppo di fan mi ha regalato un bambolotto gonfiabile a grandezza naturale di Justin Bieber completamente tatuato in tutto il corpo, pure nel pene!! (ride a crepapelle ndr) La cosa ancora più divertente è che durante il tour americano, la bambola è venuta con noi!

Ma come mai tutto su Justin Bieber?!
Non ne ho idea!!! Ho solamente detto che mi piace la sua musica, non sono ossessionata da lui, apprezzo il suo percorso musicale! Ma adoro i miei fan e quello che fanno per me, sono davvero dolcissimi!
Quando tornerai in Italia?
Spero presto! Vorrei tornare a suonarci con il mio tour da headliner… Molto probabilmente nell’inverno di quest’anno!

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DEEP INTO SOKO

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Fragile, introspettiva e sincera. Sono questi i tre principali elementi che caratterizzano SOKO, la sua musica, e più nel dettaglio il suo ultimo album ”My Dreams Dictate My Reality”.
SOKO, all’anagrafe Stéphanie Sokolinski, nata a Bordeaux, in Francia nel 1986, inizia a far parlare di se e della sua musica nel 2006, quando quasi per gioco, registra in camera sua, con il suo telefono una traccia dal titolo ”I’ll Killer Her”, che carica poi su MySpace. Nemmeno il tempo di rendersene conto, il video musicale del brano, diventa talmente virale da arrivare a tre milioni di visualizzazioni.

Da allora SOKO di strada ne ha fatta: ha pubblicato un EP, un album dal titolo ”I Thought I Was An Alien” dalla quale ha estratto il singolo ”We Might Be Dead By Tomorrow” diventando un successo planetario, è diventata testimonial della SS 2014/15 di Just Cavalli, prestato la sua voce a Isabella nel film ”HER” diretto da Spike Jonez, e ha appena lanciato il suo secondo disco”My Dreams Dectate My Reality”, un meraviglioso e insolente viaggio punk attraverso le sue emozioni più profonde, prodotto dal the one and only Ross Robinson, storico produttore dei The Cure, grande fonte di ispirazione per l’album di Stéphanie Sokolinski aka SOKO.

Potevamo quindi farci scappare l’occasione di conoscere più a fondo l’unica vera Punk del nostro secolo?

La prima domanda è quasi lecita: com’è stato lavorare con Ross Robinson?
E’ stato fantastico! E’ come se fosse la definizione fisica di come un produttore dovrebbe essere! Quando cerchi un produttore per il tuo disco, cerchi di avere il meglio basandoti su cosa in precedenza lui ha prodotto, ma una volta contattati la loro domanda era sempre la stessa: ”Che budget hai?”. Ecco, con Ross, è stato completamente diverso, quando l’ho contattato, la prima cosa che mi ha detto è stata: ”Quello che hai fatto da sola, è già perfetto; il mio intento sarà quello di aiutarti a rendere questo processo ancora più speciale e intimo”, e così è stato.

Quali sono le differenze tra ”My Dreams Dictate My Reality”, e il tuo primo disco?
Il primo disco è stato scritto quasi interamente con la chitarra, ed è stato un percorso che ho intrapreso da sola, mentre invece in questo lavoro, ho deciso di smetterla di essere vittima delle mie emozioni cercando di scrivere un album estremamente profondo, ma più ottimista rispetto al precedente; infatti tutte le canzoni sono state scritte con tastiere, batteria, o drum machine, a parte l’ultima, Keaton’s Song, che l’ho scritta con la chitarra.

Com’è essere punk nel 2015?
Non lo so! (ride ndr) E’ difficile descriverlo e descriversi… Cerco solo di essere me stessa e di fare il cazzo che mi va di fare; ho una forte personalità e so bene chi sono. Non sono una ribelle, ma una che non scende a compromessi, che è così perché l’ha deciso, non perché glielo ha imposto qualcuno.

I tuoi sogni dettano veramente la tua realtà? (In riferimento a My Dreams Dictate My Reality)
Sì. In migliaia di modi! Ho sempre avuto una forte relazione con i miei sogni, quando ero piccola, ogni volta che avevo un incubo qualcuno della mia famiglia moriva, quindi sono cresciuta nella convinzione che i miei sogni uccidessero le persone, concetto che è estremamente presente nella canzone ”Oceans Of Tears”… E’ la prima volta che ho trovato il coraggio di parlarne apertamente, e dopo essere cresciuta con questo peso è stato quasi una liberazione. I sogni per me hanno estrema importanza, ad esempio: dovevo trasferirmi a New York da Seattle, ed esattamente la notte prima di partire, ho sognato di trasferirmi a Los Angeles, così il giorno seguente, sono partita per LA, città in cui tutt’ora vivo.

Qual è la canzone più profonda del tuo nuovo disco?
Lo sono tutte, perché non riesco a scrivere se non dal profondo. Tutto quello che scrivo mi rappresenta a pieno, e quando scelgo di parlare in un brano di un argomento preciso, non la smetto fino a quando sono convinta di avere scritto ogni singola cosa a riguardo.

Com’è stato lavorare con Spike Jonez e dare voce a un personaggio di un suo film?
E’ stato completamente inaspettato! Stavo cenando con lui (Spike), quando mi ha chiesto di andare il giorno seguente in produzione a fare qualcosa insieme, e che mi avrebbe mandato del materiale tramite email. Era mezzanotte quando ho ricevuto la mail, e dentro c’erano tre fittissime pagine di copione e il suo messaggio: ”Riesci ad essere domani da me alle 10?” Dopo esserci andata, abbiamo scritto delle altre pagine insieme, entrambi piangevamo… E’ stata una cosa estremamente intensa, lui è il migliore!

Sei sempre in giro per il mondo, dov’è il posto dove ti senti a casa?
LA! Ma cerco di sentirmi a casa in ogni posto dove mi trovi…anche perché non ho una casa! La mia casa è la mia valigia; anche quando sono a Los Angeles, sto dalla mia migliore amica e divido il letto con lei. Quindi cerco di sentirmi a casa ovunque io sia.

Quando tornerai in Italia? Abbiamo bisogno di te!
Ne stavamo parlando giusto poco fa, speriamo il più presto possibile! Mi piacerebbe venire a suonare in Italia, sarebbe epico!

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ALBERTO ZAMBELLI FW 2015/16

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foto Alessandro Levati

Linee semplici e colori essenziali: per l’ultimo giorno della settimana della moda, scende in passerella Alberto Zambelli, giovane stilista patrocinato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana.

Un autunno inverno semplice, e posato, ispirato alla Marchesa Casati in viaggio sull’Orient Express. Un volto bianco calce con uno sguardo intriso di mistero e dall’aspetto androgino… La donna che Zambelli immagina è una donna colta e desiderosa di apprendere dal connubio di culture.

Cappotti in nuovo loden, giacche allungate e destrutturate, maglie a matita, camicie oversize in micro collo, e pantaloni maschili, sostengono una collezione che è l’esatto connubio tra semplicità destrutturata e una femminilità nomade e sofisticata, per una donna forte, ma leggera.

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TER ET BANTINE FW 2015/16

terDi Federico Ledda
Foto di Alessandro Levati

Collezione dai tratti femministi per Ter Et Bantine, che ha trovato ispirazione da Sara Thakral (1914 – 2009), donna indiana dallo spirito contemporaneo, tra le prime ad aver guidato un aereo agli inizi del XXesimo secolo.
Una donna determinata, amante dei viaggi avventurosi che ha creduto nei suoi sogni. Artista, madre, moglie ed un’imprenditrice, parole chiave che descrivono lo spirito moderno delle professioniste del nostro presente, alle quali Kostas Murkudis, direttrice creativa del brand, dedica la sua prima collezione.

Ispirata alle uniformi e agli abiti militari, Kostas, dà vita a una collezione di pratici abiti, ma allo stesso tempo estrememanete chic, capace di catturare la personalità multi-tasking rappresentato dalla donna di TER ET BANTINE. 

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