WORLD EXCLUSIVE – MAVI PHOENIX: THE NEW SWAG QUEEN

di Federico Ledda

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Abbiamo intervistato per la prima volta Mavi Phoenix, austriaca di origini siriane classe 1995. Sì, avete letto bene. 1995. Ha quindi 22 anni. 22 anni di puro swag. Non fatevi però ingannare dalla sua età, sarà pure giovane, ma Mavi Phoenix è una vera e propria artista.
Inizia a produrre all’età di undici anni giocando con un Mac usato regalatole dal padre per natale. Pubblica poi nel 2014 il suo primo EP “My Fault” che seppur acerbo, inizia a formare il suo sound e appunto, il suo swag. Ritorna nel marzo di quest’anno rilasciando l’EP “Young Prophet“, ed eccola al suo meglio. L’EP è pazzesco e ti cattura dalla prima all’ultima traccia. La più curiosa è “Aventura“, pezzo catchy, dal beat trascinante (che ti obbliga a ballare) grazie alla contaminazione di suoni africani. È proprio Aventura infatti, che oltre ad essere diventato il singolo di lancio, è stato scelto da Desigual come soundtrack per il nuovo spot uscito oggi a livello mondiale. Il primo dalla rinascita del brand, celebrata settimana scorsa durante la NYFW.

Mavi è unstoppable e produce hit in una velocità disarmante, come un vero e proprio genio del beat. Uscirà infatti a novembre una nuova versione di Young Prophet, che vedrà la presenza di due nuovi pezzi e che la porterà in tour al Pitchforck Avant Gard e poi a Milano a novembre per Linoleoum. Siamo certi che Mavi Phoenix sarà la prima rapper/cantante austriaca ad avere risonanza mondiale. E non dite che The Eyes Fashion non vi aveva avvisati.

Come hai conosciuto il team di Desigual? Come hanno scelto la tua canzone?
Ad essere onesta non so come mi abbiano scoperta…Probabilmente perché Aventura era numero 1 su Hypemachine. Ci hanno invitati nei loro uffici a Barcellona e ci hanno accolto in maniera super friendly! Ci siamo davvero divertiti e lo spot, diretto da Luis Cerveró è splendido.

Che cosa significa ”Aventura” per te?
Essere un’ Aventura per me significa essere pronta e aperta al mondo e quello che succederà.© Randy Kambodscha

In che modo il tuo sound è cambiato dal primo EP ”My Fault”? Chi o cosa, è la conseguenza?
Sono naturalmente cambiata, diciamo evoluta dall’uscita di ”My Fault” dato che sono passati più di tre anni. Ho iniziato a lavorare con il produttore Alex The Flipper e insieme proviamo a fare musica che sia entusiasmante per noi e che, soprattutto, rispecchi chi sono io come artista. Musica sincera. A livello di ispirazione, ultimamente sono ispirata dalla musica house dei primi anni 2000, ma i miei punti di riferimento di sempre sono Kanye West e Frank Ocean.

Stai per rilasciare una nuova versione del tuo EP uscito a marzo ”Young Prophet”…
Subito dopo l’uscita dell’EP ho prodotto delle altre tracce che ho anche suonato live durante il tour del disco. Diciamo che ne sentivo la necessità perché fanno parte anche loro del periodo Young Prophet.

Chi è il ragazzo che è sempre dietro di te nel video di ”Aventura”?
E’ un mio amico, si chiama Usman o Ussy per gli amici. Non è ne un modello, ne un ballerino o un attore, anzi era la prima volta che faceva una cosa simile, ha fatto un buon lavoro. Ci siamo divertiti tantissimo sul set.

Stai per tornare in tour suonando al Pitchfork Avant Gart di Parigi e perfino a Milano, nella nostra hometown. Che cosa fai prima di salire sul palco?
Sono davvero contenta all’idea di suonare a Parigi e Milano! E’ veramente una figata. E’ sempre stato un mio obiettivo suonare all’estero, non vedo l’0ra. Prima di andare sul palco dico semplicemente a me stessa che devo spaccare. (ride, ndr.)

© Randy Kambodscha 2

RAIN DOVE: I AM I

di Federico Leddaae1053b6-5945-473a-8e3f-2c67efe9c31b.inline_yes

Appena la incontro mi mette subito a mio agio. Arriva, un po’ in ritardo, accompagnata dalla fidanzata Sierra. Il ritrovo è un bar in Piazza Cavour, c’è un po’ di vento ma si sta bene, è una delle sera d’estate e il cielo su Milano è di un blu intenso. 

Ci sediamo a un tavolo e ordiniamo tre margarita, così per rilassarci un po’. La prima cosa che le chiedo mi esce proprio spontanea, come ti definisci? Che tipo sei? La sua risposta poi, è stata bellissima. Io sono io. Non sono uomo, non sono donna. Sono Rain. 

Così è iniziato il mio incontro con Rain Dove, la modella gender fluid che sta facendo parlare di sé per il suo impegno sociale in difesa degli esseri umani oltre che per la sua immagine che perfettamente si abbina al mondo maschile e a quello femminile. Lo sa bene Sisley che l’ha appena resa testimonial della campagna con il messaggio sociale #OneOfAKind o, Calvin Klein che lancia la sua carriera facendola sfilare per il menswear a New York coperta solo da un paio di boxer da uomo. È coraggiosa Rain, (sì, si chiama come la parola “pioggia” in inglese e sì, è il suo vero nome, ndr.) che è riuscita a fare della sua particolarità un talento, rompendo un po’ di più il muro dei pregiudizi.

Chi sei?
Chi sono? Io sono Rain Dove. Io sono io. Sono un essere umano, così come tutti gli altri. Sono una modella, attivista e attrice.

Come è iniziata la tua carriera?
E’ iniziata dopo che ho perso una scommessa di football americano contro un’altra modella. Non mi interessava essere una modella, non mi era nemmeno mai passato per la testa, mentre invece lei sosteneva che avessi il viso giusto. Abbiamo quindi scommesso sull’esito di una partita e se io avessi perso, mi sarei presentata a un casting di sua scelta. Così andò, e così mi presentai a un casting di Calvin Klein qualche mese dopo.

E come andò?
Quando mi presentai là, mi dissero di essere nella giornata di casting sbagliata. Guardandomi in giro infatti, vedevo solo modelle con i capelli lunghi e bionde. Giuro che erano tutte bionde, a parte una con i capelli rossi. Pensai quindi facessero il casting diviso per colore di capelli e così mi presentai il giorno dopo. Al mio arrivo realizzai che il casting era solo maschile, pensai: ”mi hanno scambiata ancora per un uomo”, ma la cosa mi divertiva. Così feci il casting e mi presero, realizzando quale fosse il mio sesso reale. Al momento della sfilata, mi diedero il mio outfit che era solamente un paio di boxer maschili.
La sfilata era iniziata, erano momenti frenetici. Avevo quindi un secondo per fare la mia scelta, che poteva essere scappare in lacrime oppure, far rimpiangere alla mia amica di aver vinto la scommessa sulla partita. Scelsi la seconda, e sfilai in topless, coperta solo da un paio di mutande da uomo. Così iniziò la mia carriera da modella. dove

Cosa ti spinse ad andare avanti anche dopo la scommessa?
Il fatto che se la gente può spendere anche tremila dollari per una borsa, forse ne può spendere tre al mese per garantire acqua pulita a chi non ce l’ha. Ogni persona ha diritto ad avere acqua, cibo e un rifugio. Ho pensato che questo lavoro avrebbe potuto garantirmi una piattaforma per raccontare a molte più persone quello per cui mi batto.

Come sei diventata attivista?
Lo sono sempre stata. Ho sempre voluto fare qualcosa per gli altri. Ho avuto un paio di esperienze dove sono stata molto vicina alla morte, anzi, a volte penso di essere proprio morta. Questo mi ha fatto apprezzare di più la vita. Anche quando sei triste, quando sei arrabbiato. E’ comunque fantastico potere provare delle emozioni. Ti rendono vivo. Avendo passato dei periodi estremamente bui nella mia vita, dove non sentivo niente, ho deciso di aiutare le persone, così che non si sentano mai sole e perse come lo sono stata io. Ho sempre pensato che essere un’attivista significava esclusivamente andare nei paesi del terzo mondo e aiutare. Tipico pensiero da persona bianca. Invece non è così, si può aiutare in tantissimi modi e con qualsiasi mezzo.

Che tipo di attivista sei tu quindi?
E’ un misto tra esperimenti sociali, arte ed espandere la mia voce. Lo amo. C’è così tanto che si può fare.

Qual è il tuo obiettivo principale come attivista?
E’ un obiettivo semplice: garantire a ogni essere vivente accesso ad acqua, cibo, un posto dove dormire e cure mediche. Le quattro cose che ognuno di noi ha bisogno per sopravvivere. So che non ce la farò mai da sola, ma ce la metterò tutta. Siamo tutti una cosa sola, allo stesso livello.

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SISLEY #OneOfAKind advertising

Cosa fai nel tuo piccolo per attuare un cambiamento?
Faccio diverse cose. Innanzi tutto ”dono” i miei canali social come piattaforma a chi ha bisogno di fare sentire la sua voce. Associazioni, organizzazioni, etc. Ad esempio, se c’è un’organizzazione che si occupa dei diritti di persone di diversi colori ed etnie, o sessualità, do libero acceso ai miei canali così che possano diffondere la loro voce.

Poi?
Mi piace fare esperimenti sociali. Credo nella differenza tra gender e sesso. Il sesso è quello che ti caratterizza in base a come nasci. Sei una donna se hai la vagina, sei un uomo se hai il pensa. Il gender è invece quello che completa la tua persona. Chi è che può definire quello che siamo se non noi stessi? Dovremmo essere liberi di poter scegliere noi stessi cosa essere, se essere uomini o donne. Dovremmo essere apprezzati e definiti in base a quello che scegliamo di essere, non a quello che dovremmo essere. Io sono io, tu sei tu e non ci sarà mai un’altra persona così.

Cosa pensi di Beyoncé? E del suo essere femminista?
Sono fermamente convinta che le donne esistano perché la società ci ha separate definendoci donne in base a quello che abbiamo nelle mutande. Io non credo nei corpi, credo nell’essere. Mi definisco un’esistenzialista, ognuno è com’è e non dovrebbe essere definita donna solo per un paio di tette. Le femministe combattono l’oppressione del genere femminile all’interno di alcune culture denunciandolo, cercando l’equazione dei sessi. Rispetto davvero tanto tutto questo. Così come ammiro Beyoncé che utilizza la sua rilevanza per fare del bene. Sta facendo un lavoro incredibile.

Parlando del tuo lavoro, ti trovi più a tuo agio indossando vestiti maschili o, vestiti femminili?
Con quelli socialmente definiti da uomo. Perché puoi fare come ti pare. Con quelli da donna hai da rispettare degli standard: fianchi, seno, taglia etc… Sono più a mio agio indossando menswear, ma quando mi vesto a donna mi sento potente. Forte. E’ divertente perché quando mi vesto da donna, la gente creda che sia un transgender, pensano: ”starà diventando una donna? Starà diventando un uomo? Quale direzione starà prendendo?”

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THE EYES SUGGEST: DAILY PAPER x LOCO DICE

di Alfredo Tomasi
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Loco Dice, all’anagrafe Yassine Ben Achour, è considerato da anni uno dei dj più forti in tutto il mondo. Il toro scatenato non si è però affermato solo in campo musicale, vanta infatti anche grande seguito nel mondo della moda e dello styling: è appunto uno tra i pochi performer techno del globo che ha in passato collaborato con brand del calibro di Carhartt e Adidas.

Il 22 luglio Daily Paper ha lanciato sul mercato la serie limitata DAILY PAPER x LOCO DICE… Si tratta di tshirt e track pants di colore nero con banda laterale rossa arricchita da scritta e logo in nero applicati sul petto. Lo stile dei due outfit è piuttosto minimal con chiari riferimenti alle mode in voga negli anni novanta. La linea è sportiva e catchy, assolutamente allineata alle esigenze attuali del fashion game. 20108230_10155386523646217_2196948958352297798_n

Daily Paper non ha bisogno di presentazioni, da anni top player nel mercato dello streetwear, fondato nel 2010 da tre ragazzi olandesi, i capi e le scelte stilistiche mostrano forti influenze dalla cultura africana. Il lancio della collaborazione ha avuto luogo ad Amsterdam nel flagship store di Daily Paper all’interno del quale erano disponibili in vendita 150 pezzi della linea, il tutto accompagnato dal dj set di Loco Dice e di Benny Rodrigues e Frizzo, due tra i tanti dj del roster di Desolat, etichetta discografica di proprietà del deejay tunisino.

Per apprezzare al meglio le sue gesta dietro alla console durante questa calda estate suggeriamo il party HYTE: sicuramente uno tra i must ibizenchi con cadenza settimanale all’Amnesia. L’evento racchiude in sè svariate identità danzanti: la proposta musicale è racchiusa attorno a un mix di suoni, le cui colonne portanti sono la techno e la house. Nel club room le sonorità sono più dark e cupe, si esibiscono maestri della console come Chris Liebing, Monika Kruse, Ellen Allien, Steve Rachmad, Pan-Pot e molti altri. La situazione varia in terrazza, dove il padrone è appunto Loco Dice, figura trainante del party. La proposta musicale è più vicina a sonorità house e tech house e  fino alle prime luci del mattino si possono apprezzLW5A5779are personaggi del calibro di Black Coffee, Henrik Schwarz, Dubfire, Cuartero, Kenny Dope e tanti altri, tutti pronti ad animare la famosa terrace. Per quattri mercoledì HYTE ospita anche il party londinese FUSE, festa dal gusto cool ma allo stesso tempo sperimentale le cui figure di spicco sono Enzo Siragusa, Rossko, Archie Hamilton e Seb Zito. Ogni mercoledì, dalle 23, tra moda, musica e magia.

FOOT LOCKER X SOFIA RICHIE

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Foot Locker – leader globale nel retail di scarpe, apparel e accessori che si ispirano allo sport – annuncia a livello europeo il lancio di adidas Originals INIKI con Sofia Richie.
INIKI è un nuovo modello dalla silhouette runner che mostra un incrocio futuristico, studiato tra il passato e il presente. Con un design dallo stile retrò, il modello INIKI è stato ripreso dagli archivi del brand ed è stato rivisitato con una suola BOOST che gli dona un tocco classico, ma moderno allo stesso tempo. La parte superiore ha un design pieghevole grazie alla linguetta integrata, mentre l’iconico color blocking, insieme alle tre righe, rende la sneaker un autentico modello adidas Originals.

INIKI è una creazione nata da un clash tra un upper retrò e una suola moderna. Un’evoluzione in termini di stile, senza compromessi e innovativa. Quando le culture della musica, della moda e dell’arte si uniscono simultaneamente, le folle si scontrano per creare nuovi movimenti. Questa è l’energia che rispecchia la Londra di 40 anni fa e allo stesso l’energia che vive oggi. E questo concetto è ciò in cui INIKI trova il suo terreno fertile.

Il lancio di INIKI segna l’inizio di una partnership tra adidas, Foot Locker e Sofia Richie. La partnership che è iniziata questo aprile, continuerà per tutto l’anno, con una gamma di colori più ampia che verrà presentata prima a giugno e poi a settembre.

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IT’S ECO, IT’S GREEN FASHION WEEK!

di Federico Ledda
pictures by Alessandro Levati

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La moda può essere eco sostenibile? E’ questa la domanda che si è posto Guido Dolci, fondatore della Green Fashion Week, la prima settimana della moda che strizza l’occhio all’ambiente. Giunta alla quinta edizione, avvenuta tra la California e il Nevada lo scorso aprile, la settimana della moda ha visto sfilare brand emergenti e non, che utilizzano esclusivamente materiali e tessuti che non danneggiano il nostro ambiente perché come diceva un antico detto indiano: ”Questa terra non l’abbiamo ereditata dai nostri padri, l’abbiamo presa in prestito dai nostri figli”.

Beverly Hills, Death Valley Junction e Las Vegas sono state le suggestive location scelte per questa edizione. I fortunati ospiti sono stati a vero e proprio contatto con la natura grazie a location mozza fiato come la distesa di sale in Nevada, il deserto della California o, il parco nazionale della Death Valley. Il tutto condito dalle presentazioni delle nuove collezioni degli stilisti partecipanti.

Il team di The Eyes Fashion ha seguito l’iniziativa e ha catturato alcuni momenti dei backstage delle sfilate e degli shooting. La Green Fashion Week è in costante sviluppo, per rimanere sempre aggiornati visitate: www.greenfashionweek.org

More to come.

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MADE IN AMERICA – SARAH DUQUE LOVISONI

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Il mese di aprile è stato per noi un momento importante. L’abbiamo speso tutto alla conquista della West Coast. Tanti gli impegni e tanti i contenuti sviluppati per voi, il primo di cui vi parliamo, è la serie MADE IN AMERICA. Durante le prossime settimane vi presenteremo la nostra visione degli Stati Uniti, attraverso scatti di alcuni dei personaggi che più ci hanno fatto innamorare di questo paese.

La coverstory è dedicata a Sarah Duque Lovisoni, femme fatale che ha fatto innamorare tre paesi interi. Il Venezuela, che è quello da dove proviene, l’Italia che è quello dove ha mosso i primi passi e appunto l’America, dove ha trovato la stabilità. Quello che mi ha colpito di Sarah è stata la sua voglia costante di rinnovarsi, senza limitarsi mai. Infatti la sua carriera partita in Italia come modella/showgirl, l’ha portata oggi a Los Angeles, dove è diventata interior designer, fondando la compagnia SDL Design.

L’uragano Sarah è unstoppable e continua a macinare idee diverse nella testa. Le abbiamo chiesto in quale zona volesse portarci per scattare, ha scelto la spiaggia di Venice Beach, il quartiere Bohémien di Los Angeles.

To know Her better: Instagram – @Sarahduquel, @sdldesign_us

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LAÏOUNG

di Federico Ledda

Copertina Facebook
È da tempo ormai che il mondo dell’hip hop è bombardato dalla musica trap. Dagli Stati Uniti all’Italia, da Travi$ Scott a Sfera Ebbasta, sono sempre di più gli artisti che emergono grazie a questa nuova contaminazione dell’hip hop. Sia chiaro, nuova per l’Italia, “normale” ormai per gli States. Lo sa bene Laïoung, il “personaggino” che trovate sulla copertina di The Eyes Fashion. Classe 1992, nato a Bruxelles da mamma sierraleonese e papà pugliese, Giuseppe Bockaire Consoli questo il vero nome, sta davvero facendo parlare di sé. Partiamo dall’inizio.

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Erano mesi che ci frullava per la testa di scattare un’artista di questo movimento. Tante erano le idee, ma come tali sono rimaste. Tempo fa mi compare su Spotify “Quello Che Voglio”, il singolo di Laïoung. Bam. Punto. Ne sono rimasto folgorato. Ho iniziato a seguire i suoi passi, ad annusarlo, a capire se potesse davvero essere interessante o se invece era solo un altro bluff dell’industria. Sono inciampato poi su “Ave Cesare” il suo primo album in italiano e su “Giovane Giovane” il singolo con Izi e Tedua. Folgorato. La storia di questo artista è pazzesca. Lui si definisce nomade e così mi piace pensarlo quando sento la sua roba. Cittadino del mondo, il ragazzone di quasi due metri ha vissuto in Francia, Canada, Stati Uniti, Belgio e Inghilterra. Grazie a questo, credo, ha sviluppato un’internazionalità unica nel suo genere, pubblicando ”Ave Cesare”, il suo primo disco in italiano, dopo averne già fatti tre in inglese. Il 21 di questo mese uscirà il suo nuovo disco, il primo sotto SONY e come se non bastasse è anche uscito il nuovo singolo “Vengo dal basso” con la collaborazione di Gué Pequeno.
Laïoung è unstoppable: scrive, produce e soprattutto, usa l’autotune con responsabilità.
Abbiamo portato lo tsunami nel collettivo ZAM dove per un pomeriggio ha veramente potuto fare “quello che voglio”. Cantava, ballava, suonava, faceva le flessioni… Mai mi sono divertito tanto a lavorare con un’artista e mai sono stato tanto ispirato da (quasi) un mio coetaneo.

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Hai una storia che nonostante la tua età, è già enorme. Quanto il tuo percorso ha influito sulla tua musica?
Ho cominciato a sentire quello che andasse in Italia a settembre 2016 dopo avere speso un anno in Canada. Quando ero là, ispirato, ho prodotto il disco “Ave Cesare”, il mio primo in italiano.

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Lo so, in due cazzo di settimane. È pazzesco.
Dovevo andare ad Atlanta da Toronto, ma non mi era stato concesso il visto.  Avevo lo spazio mentale per realizzarlo. Sentivo che fosse arrivato il momento di dire la mia. Ho rispolverato “Senza Nessun Dubbio” che avevo scritto nel 2014, ho lavorato ad altri sette pezzi, li ho mixati, masterizzati e poi l’ho “buttato” online. Finalmente in Italia ho pensato, ha cominciato ad andare il sound alla quale lavoro da nove anni. Finalmente parliamo la stessa lingua. Sono contento e sono molto ispirato da tutto quello che esce. Non vivevo in Italia per il semplice fatto che non venivo ancora capito. Adesso sono qui.

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Sei il fondatore della RRR Mob, il collettivo musicale che mette insieme i ragazzi di seconda generazione. Da dove nasce il progetto? 
Nasce nel 2012. Viene alla luce perché essendo io un nomade, ho famiglia ovunque. Ho cercato di portare in Italia dell’internazionalità musicale attraverso appunto, questo collettivo di giovani talenti che come me hanno una storia importante.

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Come hai scelto i membri?
RRR significa Real Recognize Real (Vero riconosce vero, ndr.). Conosco un sacco di artisti che spaccano ma che non sono veri. Quanto ci tieni davvero a spaccare, quanto sei disposto a sacrificare la tua vita per fare musica, è quello che a me interessa. Se sei bravo viene dopo, ma deve esserci cuore in ciò che fai.

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Fammi un esempio

Mi piace definire i ragazzi della RRR come i miei piccoli Frankenstein. Izi Noice, è il mio Frankenstein. La sua voglia di fare musica, molto ispirata dall’America e dalla Francia, mi ha motivato ad aiutarlo a mettere molta elettricità musicale nella sua dimensione. È quello che successivamente è successo con gli altri ragazzi che formano il movimento.

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Il 21 di questo mese esce il tuo secondo disco in italiano, dimmi di più 
Saranno due dischi. Uno sarà la ristampa di Ave Cesare. Con anche “Giovane Giovane”, e “Quello Che Voglio”. Ci sarà anche un nuovo disco con otto inediti che si chiamerà “Veni Vidi Vici”, e conterrà anche “Vengo Dal Basso” con Gué.

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Com’è stata la realizzazione di Veni Vidi Vici?
Ho prodotto dalla prima alla diciottesima canzone. In una ho collaborato con un’artista di Lecce che, tra l’altro è appena uscito il suo album dove ho collaborato con quattro produzioni e due featuring. Mi sono anche occupato della masterizzazione e del mixing.

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Chi è che ti ispira?
Per non focalizzarmi su cosa succede solo oggi, posso dirti che mi ispira tantissimo Lil Wayne.

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Come mai proprio lui?
Lil Wayne è il padre di un sacco di rapper. È grazie a lui se oggi l’autotune sta diventando cultura. Wayne ha iniziato a usare questo strumento perché non ha la migliore delle voci. Una volta disse: “non ho una delle voci migliori che possiate sentire, ma voglio fare le migliori canzoni che possiate sentire”. Questo concetto mi ha sempre ispirato.
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Parli diverse lingue. Quando pensi, in che lingua lo fai?
Bella domanda! Diciamo che dipende dall’ultima conversazione che ho avuto. Se parlo con mio padre, con te, penso in italiano, se parlo coni mio fratello, penso in inglese, se sono in Spagna, penso in spagnolo.

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E quando invece pensi un pezzo?
Quando penso a un pezzo, penso a una hit. Cerco di renderla il migliore possibile. Quando la realizzo penso sempre a coinvolgere chi l’ascolta, voglio che anche chi di solito non canta non riesca a stare fermo… Adesso sono in Italia e quindi produco in italiano, mi esce naturale.

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HELLO GREEN FASHION WEEK!

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Patrocinata dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con UNFCCC e organizzata da GD Major e dall’associazione no-profit FSA (Fashion Service Association), Green Fashion Week ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della sostenibilità e promuovere il percorso che l’industria della moda deve seguire per soddisfare gli obiettivi sottoscritti dai 193 paesi membri dell’ONU con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

GFW intende essere un punto di riferimento sui temi moda e sostenibilità, sia per gli esperti del settore che per chiunque abbracci la causa. L’iniziativa coinvolge stilisti e aziende internazionali che intendono promuovere il concetto di sostenibilità attraverso le loro collezioni e i loro prodotti, realizzati con materiali e processi produttivi sostenibili da un punto di vista ambientale, sociale ed economico. Tali collezioni sono la prova di come la moda ecosostenibile non debba scendere a compromessi con lo stile e l’eleganza. Green Fashion Week, infatti, fin dalla sua prima edizione ha raccolto aziende che volevano trasmettere stile, eleganza ed eccellenza nel campo del lusso, del comfort e del benessere, utilizzando materiali sostenibili.

In particolare, GFW si impegna a coniugare la qualità dei suoi prodotti con una profonda attenzione per la sostenibilità, ciò significa non solo l’adozione di strategie e processi produttivi che abbiano un impatto ambientale minimo, ma anche, cosa forse più importante, la ricerca di nuovi materiali e soluzioni innovative che migliorino la competitività dell’industria della moda in un mercato sempre più attento ai temi della sostenibilità e della circolarità delle risorse.

La prossima edizione di Green Fashion Week si terrà negli Stati Uniti dal 30 Marzo al 5 Aprile 2017. Los Angeles e Las Vegas saranno i protagonisti indiscussi di questa avventura green, che mira a diffondere consapevolezza sull’impatto della moda sull’ambiente, grazie a sei giorni di sfilate, eventi, feste, servizi fotografici, video, incontri, proiezioni e cortometraggi, in location uniche e sorprendenti.

 

A CHAT WITH THE WHITE MILANO CO-FOUNDER

di Federico Leddawhite-835

Creare una realtà importante e significante per la moda di tutto il mondo non è da tutti. Lo sa bene Brenda Bellei, co-fondatrice del White, il salone collaterale alla fashion week milanese che di anno in anno diventa una manifestazione sempre più rilevante. Il White sceglie per ogni stagione i brand emergenti e non più interessanti e meritevoli, offrendogli la possibilità di mostrare la loro collezione all’interno dell’evento.

Sono stato invitato a visitare il White per vedere con i miei occhi la freschezza che la fiera sta  riuscendo a sviluppare grazie ai sui designer. Insieme a me c’era Brenda Bellei, che mi ha spiegato come si mette in piedi una manifestazione così di rilievo…

Quanto il White è diventato importante per Milano?
Spero tanto. Il salone porta a Milano più di 25mila operatori a edizione. Senza contare gli espositori, collaboratori, stampa etc… Credo che portiamo molto alla città infatti, siamo gli unici ad essere patrocinati dal comune.

Nel corso degli anni il White è diventata una potenza mondiale. In che modo si è sviluppato?
Avevo 28 anni, e insieme a Massimiliano Bizzi abbiamo pensato a creare questa realtà. Sembrava una follia giovanile, mai avremmo pensato arrivasse a questi livelli… Ne siamo molto contenti.

Per che cosa sta ”WHITE”?
Abbiamo voluto scegliere un nome che non fosse un nome fieristico. Essenziale. Un po’ Margiela (ride, ndr.)

Quai sono stati i punti di forza che vi hanno portato fin qui?
Senza dubbio la passione e la dedizione per quello che facciamo. Facciamo tanta ricerca, scouting. Questo è importante. Sin dal primo giorno abbiamo sempre cercato di dare tutti noi stessi.

Come avviene lo scouting?
Viaggiamo tantissimo, in tutto il mondo. Visitiamo le fashion week internazionali, da quelle più importanti, a quelle più piccole e sconosciute. Andiamo nei negozi, visitiamo le altre fiere. Abbiamo poi un bacino di richieste che cresce sempre a dismisura. Da scouting e richieste selezioniamo i brand più consoni e li invitiamo al salone.

Qual è la metrica di giudizio per selezionare i brand?
Abbiamo una commissione composta di giornalisti e buyer. Insieme cerchiamo di studiare il brand in tutte le sue sfaccettature come ad esempio, la sua distribuzione, la copertura della stampa, in quali negozi è presente etc. Se invece il brand è emergente, incontriamo lo stilista, guardiamo gli schizzi…Abbiamo un team di tutoring che ci aiutano a capire e aiutano lo stilista stesso, a emergere.

Qual è il futuro del White?
Renderlo un prodotto sempre più internazionale. Stiamo lavorando tantissimo all’estero, portando brand internazionali, abbiamo brand Cinesi, Belga, Georgiani. Ci piacerebbe renderlo sempre di più una finestra sul mondo.

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GRETA SCARANO – HER

di Federico LeddaCopertina Orizzontale

Eccoci, non siamo scomparsi. The Eyes Fashion esiste ancora.
La scelta di uscire con un ritardo di metà mese, è stata dettata dal fatto che in copertina ci trovate lei: Greta Scarano. Attrice di un talento disarmante, sta ricevendo sempre più consensi da parte del cinema italiano. Vincitrice di un nastro d’argento come miglior attrice non protagonista in Suburra, Scarano sta vivendo un periodo estremamente occupato. Da oltre un anno al cinema, prima con Suburra, poi con La Verità Sta In Cielo e adesso con Smetto Quando Voglio – Masterclass, abbiamo incontrato Greta in una giornata di pausa tra un progetto e l’altro. Estremamente simpatica e dolce (al cinema fa sempre ruoli forti, ndr.) ci ha raccontato com’è la sua vita e cosa si prova a essere sempre più richiesta…

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Hai sempre seguito, sin da giovanissima, la tua passione per la recitazione, che ti ha portato perfino a studiare in Alabama. Quali sono state le differenze maggiori che hai trovato, lavorando nel teatro italiano e quello americano?
Ho vissuto in Alabama all’età di 16 anni. Lì ho frequentato il teatro nell’ambito dell’high school, portando in scena due spettacoli. Posso quindi più che altro parlare della mia esperienza scolastica, che è stata intensa. La principale differenza con l’Italia è che il teatro e la recitazione sono materie scolastiche e come tali vengono trattate. Naturalmente sono materie molto amate perché gli studenti mettono in scena spettacoli che poi vengono proposti in concorsi statali, competendo con altre scuole.  È stimolante far parte di una realtà che mette l’arte, la recitazione e il teatro al centro della vita degli studenti. Sarebbe bello se potesse essere così anche in Italia: fornire una preparazione artistica agli studenti delle scuole dell’obbligo stimolandone la creatività e la sensibilità, permetterebbe di formare professionisti del nostro settore molto presto. Mi capita spesso di essere contattata da ragazzi che vorrebbero fare gli attori o i registi, ma non sanno da dove cominciare.

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Non tutti lo sanno, ma hai anche studiato batteria e percussioni. Quanto la musica influisce nella vita?
La musica cambia sempre tutto. Duramente l’adolescenza, la mia vita era fatta di cd e dvd. Li collezionavo. Mia madre mi diceva che un giorno o l’altro sarei andata in giro vestita di album perché non compravo altro. Recentemente ho lavorato con Stefano Mordini, abbiamo girato un film insieme. Stefano porta la musica sul set e chiede a tutti di lasciarsene ispirare, perché ogni scena ha una sua temperatura, un suo ritmo, proprio come le canzoni. E le scene prendono subito vita. Il set è coinvolto in questo nuovo processo creativo che si nutre dell’energia di tutti.
Che musica ascolti? Cosa c’è nelle tue playlist?
Mumford&Sons, First Aid Kit, M83, Janis Joplin, Fabrizio De André, Lady Gaga, The Black Eyed peas, Kanye West, Lucio Dalla e mille altri.foto-67
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La tua strada nel cinema è solo all’inizio, ma hai già interpretato importanti ruoli. Qual è il processo che ti porta dentro un personaggio? Quanta Greta c’è dentro i tuoi personaggi?
Prima leggo la sceneggiatura, cerco di capire che film è e che personaggi racconta. Cerco di capire gli archi emotivi dei personaggi, imparo le battute a memoria, le provo da sola. Poi chiedo al regista, mi confronto con tutti i reparti che mi aiutano nella creazione del personaggio. Lavoro quindi a stretto contatto con il costumista, il truccatore, il parrucchiere, cerco riferimenti, non faccio che pensare a come sarà il mio personaggio. Poi cerco di dimenticare tutto, arrivo sul set e lavoro sull’istinto, sulla ricerca di qualcosa a cui non avevo pensato prima, provo a farmi sorprendere dai miei colleghi attori, mi cibo di tutto quello che mi circonda e uso tutto quello che mi viene messo a disposizione. Di solito, più o meno, faccio così. C’è tanto di me nei personaggi che interpreto, sarebbe impossibile evitarlo.

Qual è il ruolo che hai interpretato alla quale sei più affezionata?
Sono affezionata a tutti i personaggi che ho interpretato, ma ad ognuno in modo diverso.

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Cosa pensi del cinema italiano? Quali sono i registi che apprezzi di più?
Vorrei vedere le sale piene di pubblico, vorrei vedere film ambiziosi e coraggiosi. Ripongo molta fiducia nelle nuove generazioni. Amo Garrone, Sorrentino e Mordini perché sono dei visionari. Amo Veronesi che adora i suoi personaggi e si dedica con passione agli attori che sceglie.

Avendo studiato tra gli Stati Uniti e l’Italia, quali sono le differenze maggiori che adesso, da professionista, noti tra il cinema italiano e quello a stelle e strisce?
Il cinema americano è un’industria che genera enormi ricavi. C’è uno star system che smuove le masse. Noi abbiamo vissuto di rendita per molti anni, poi abbiamo iniziato a deludere e oggi paghiamo il prezzo della sfiducia del pubblico nei confronti del cinema italiano. Ma c’è la voglia di riconquistarla. Io, da parte mia, non voglio mai deludere chi viene al cinema a vedere un film dove ho lavorato. Dobbiamo ricucire il rapporto con gli spettatori e dobbiamo ricominciare ad investire seriamente nell’industria cinematografica raddrizzando una serie di storture che la bloccano. Dobbiamo stimolare le nuove generazioni a nutrirsi di cinema.

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Sei nata e cresciuta a Roma, quali sono i tre posti che più ti piace frequentare quando sei là?

Adoro le ville di Roma, villa Pamphili su tutte. Amo mangiare in un buon ristorante e fare lunghe passeggiate notturne, Roma è più facile di sera. Amo andare a vedere un film al nuovo Sacher.
Su cosa stai lavorando in questo momento?
Ho appena di finito di girare un film per la TV diretto da Stefano Mordini su Emanuela Loi, la prima donna poliziotto uccisa dalla mafia. Emanuela faceva parte della scorta di Borsellino ed è morta nella strage di via d’Amelio. Uscirà su Canale 5 in autunno. Non vedo l’ora. A maggio dovrebbe uscire una serie che ho girato per Rai 3, ma non posso ancora parlarne.foto-39

KUKI DE SALVERTES – A LIFE IN FASHION

di Federico Ledda
KUKI DE SALVERTES - RAF SIMONS -
Kuki De Salvertes and Raf Simons

È il 25 gennaio e sono a Parigi in occasione della settimana dell’Haute Couture. Sono appena stato al Ritz per assistere ad una sfilata e adesso mi sto dirigendo verso la Joyce Gallery ai Jardin du Palais Royal. Sono da poco passate le 17 e su Parigi sta scendendo il sole. Vedere il Palais Royal al tramonto è qualcosa di speciale per un romantico come me.
Sto andando all’anteprima della mostra “La Vie Dans La Mode” dove intervisterò il suo autore Kuki De Salvertes. Kuki non è né un pittore, né un fotografo, né uno stilista né tanto meno, uno scultore. È un PR di moda, uno dei più grandi. In Francia rappresenta quelle facce autorevoli che cerchi tra la folla per capire se l’evento è andato bene.
La sua carriera inizia a 19 anni, quando conosce praticamente per sbaglio un giovane Franco Moschino che lo vuole subito nella sua squadra. In poco tempo diventa per il brand, il capo delle pubbliche relazioni in Francia. Da lì  la vita frenetica di Kuki è decollata: Dior, Comme des Garçons, non c’è stato un brand in Francia che tra gli anni 80 e i primi 2000 che non si sia affidato a lui. L’anteprima di una mostra? Sì. Nel corso di questi anni, sin dai sui inizi, De Salvertes ha avuto la passione di fotografare le persone che lo circondavano. Amici, colleghi; bastava una polaroid, una usa e getta ed era subito magia. La sua risposta quando gli chiedo da dove viene questa passione? “Chi non ama fotografare i suoi amici e poi riderci su?”. Certo. Solo che i suoi amici includono Raf Simons, Kate Moss e Suzy Menkes.

Isabella Blow by Kuki
Isabella Blow by Kuki

Cosa rappresenta questa mostra?
E’ una celebrazione dei miei 35 anni nel mondo della moda. Sono arrivato a Parigi nel 1980, avevo 17 anni. Dopo due anni iniziai a lavorare per Comme des Garcons. In tutti questi anni mi ha sempre colpito la gente che mi circondava. Ai miei occhi appare tutt’ora estremamente bella, interessante.

Quale di questi scatti ricordi più con piacere?
Dietro di te c’è n’è uno che feci a Isabella Blow. E’ stata la mia migliore amica per molti anni. Dal 1995 al 2002, per essere preciso. Abbiamo vissuto persino insieme a Parigi, mi manca molto.

Ne vedo anche una di Franco Moschino, come sei arrivato a lavorare per lui?
Dopo essermi trasferito a Parigi dalla Provenza, durante i miei studi e i primi approcci con le agenzie di comunicazione conobbi una delle mie muse. Nicole Ciano, nipote di Benito Mussolini che all’epoca era a capo di un ufficio stampa. Averla conosciuta rivoluzionò completamente la mia vita, le diede colore. Felicità. Nicole frequentava la high society di Parigi, e anche quella italiana. Una sera organizzò una cena e tra gli invitati c’era anche Franco, che mi presentò.  Dopo un anno e vari incontri iniziai a lavorare per Moschino, avevo 22 anni.

Andando avanti nella galleria, ne trovo una anche di Vivienne Westwood…
Dopo sette anni lasciai Moschino per lavorare infatti, per Vivienne Westwood. Nel 2002 invece aprì finalmente la mia agenda di comunicazione, TOTEM. E’ stato un periodo meraviglioso della mia vita, che sono fortunato a rivivere tutt’ora grazie a queste fotografie.

Se dovessi definire questa mostra con una parola quale useresti?
Vita.

Perché?
Perché oltre a essere frammenti della mia vita, è un termine perfetto per rappresentare il valore che hanno avuto questi anni per me. Sono stati vitali.

Kuki with Olivier Theyskens
Kuki with Olivier Theyskens
Veronique Branquinho and Suzy Menkes
Veronique Branquinho and Suzy Menkes

ALBERT WATSON – THE ICON

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Dalla foto storica ritraente Steve Jobs utilizzata perfino da Apple, al poster di Kill Bill, siamo tutti familiari con i lavori di Albert Watson. Fotografo scozzese che dalla fine degli anni 70 ha creato vere e proprie opere d’arte che hanno rivoluzionato il mondo della fotografia per sempre. Alfred Hitchcock, Queen Elizabeth, 2Pac, Jay Z, Kate Moss, David Bowie, sono solo alcuni dei personaggi con cui Watson ha collaborato nel corso degli anni. Quello che rende la sua fotografia così riconoscibile, è il tratto essenziale, semplice, con il quale ritrae tutti i suoi soggetti.
Siamo stati al Museo della Permanente dove Watson stava lavorando alla preparazione della preview di KAOS, la sua mostra che sarà presentata poi al Palais De Tokyo di Parigi. Estremo perfezionista, il fotografo ha personalmente curato ogni singolo dettaglio della mostra. Dalle musiche (alcune dalla serie Gomorra, ndr.) alla disposizione delle opere.

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Come mai decidere di fare una preview a Milano di una mostra che sarà invece a Parigi?
Sì, la mostra completa sarà a Parigi, ma tornerà poi a Milano e aprirà al pubblico. Adesso ci sono solo 40 opere ma al suo ritorno saranno 300.

In quale modo hai deciso le 300 stampe e le 40 per la preview?
Ho cominciato da una selezione di 1000 immagini. Organizzandole in gruppi sono riuscito a eliminarne 100 e poi altre 100. Da quelle 800 la scelta è stata dura ma con calma sono arrivato a 300. Una volta selezionate, per esserne certo ho controllato ancora quelle eliminate. Sceglierne poi 40 per la preview è stato estremamente istintivo

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Da dove deriva il titolo Kaos?
Rappresenta semplicemente la frenesia che ha avuto un periodo della mia vita. Mi trovavo alla Couture Week di Parigi e un momento dopo al Cairo per scattare i pezzi di Tutankhamon. In Scozia a fotografare paesaggi, e poi a Hollywood a lavorare al poster di Kill Bill. Quello che fotografavo era caotico. Era moda, erano diamanti, erano paesaggi. Poteva essere tutto. Ecco da dove viene il termine. Rappresenta la mia vita.

Cosa preferisci fotografare di solito?
Se lavoro per due settimane con delle modelle, sono contento se poi devo stare in studio a scattare still life. Mi permette di staccare la mente e di concentrarmi su oggetti inanimati. Di solito cerco di alternare ogni mio lavoro in modo da avere sempre lo stesso piacere per ogni progetto.

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Qual è stata la persona con cui hai lavorato, che più ti ha ispirato?
Ce ne sono state diverse. Mi è piaciuto molto lavorare con Jeff Koons. E’ intellettuale, sofisticato e divertente come un bambino. E’ davvero intelligente. Ogni volta che ho la possibilità di passare del tempo con lui, è sempre un’esperienza unica. Un’altra persona che mi è piaciuta particolarmente è stata 2Pac.

David Bowie?
Una persona estremamente premurosa e di un’intelligenza disarmante. Un grande attore. Era capace a interpretare qualsiasi personaggio davanti all’obiettivo. Ho imparato tanto da lui. Un’altra persona che mi ha colpito tanto è stata Marilyn Manson.

Come mai?
Prima di diventare cantante era un mimo. In realtà si chiama Brian, ha creato Marilyn Manson per sfuggire dal mondo reale. L’ha fatto in un modo estremo, fuori dagli schemi. Geniale.

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Che cambiamenti hai notato da quando hai iniziato a lavorare come fotografo?
Adesso è tutto molto più spontaneo. In tanti hanno una macchina fotografica e tutti hanno un telefono che scatta fotografie. Mi piace tantissimo l’iPhone. Ti permette di scattare in modo semplice e immediato. Inoltre credo abbia avvicinato molte più persone alla fotografia.

Possiamo quindi dire che la fotografia è diventata mainstream?
Credo che sia ovunque. Per creare una grande fotografia hai comunque bisogno di una reale macchina fotografica e soprattutto, di saperla utilizzare. Vedo tanti fotografi improvvisati ultimamente. Lo fanno sembrare facile come guardare la tv…

E’ cambiato il tuo modo di fotografare?
Sì, ma non nel modo in cui credi. Una macchina fotografica digitale o a pellicola, non fa differenza per me. La digitale è come se fosse un auto sportiva mentre quella a pellicola è come la Rolls Royce. Sono diverse. La cosa interessante secondo me, è come sono cambiati i computer. Adesso puoi manipolare la realtà come un pittore può controllare l’olio su una tela. E’ davvero affascinante.

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JULIEN FOURNIE’ BACKSTAGE SS17 HAUTE COUTURE – PARIS

Pictures by: h7o7Films (Hadi Moussally & Olivier Pagny).
For more: www.h7o7Films.com & www.HadiMoussally.com

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Siamo stati nel backstage della sfilata Haute Couture di Julien Fournié a Parigi. Lo stilista ha presentato la prossima Primavera-Estate nello storico Oratoire Du Louvre. Sofisticata bellezza mischiata a estrema femminilità, hanno fatto dello stilista un’icona ammirata perfino da Victoria’s Secret, che spesso collabora con lo stilista per le sue sfilate.

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LINDSEY PELAS: AMERICA’S SWEETHEART

di Federico Ledda10599718_744598118939031_7436881501259473847_n

Si chiama Lindsey Pelas e con il suo corpo mozzafiato (tutto naturale, ci tiene a precisare, ndr.) sta facendo innamorare tutto il mondo del web. Cresciuta in una fattoria a Ruston, nel Louisiana, Lindsey ha sin da sempre il sogno di fare carriera e di trasferirsi a Los Angeles. Durante il liceo crea una bucket list con i punti: –Trasferirsi a Los Angeles, –Diventare Playmate. Finita la scuola infatti, armata di coraggio, riesce a trasferirsi a LA. Appena arrivata, quasi per caso, viene invitata a una festa nella Playboy Mansion, dove incontra il campione di poker-Instagram Star Dan Bilzerian che rimane estasiato dalla sua bellezza e decide di promuoverla come influencer. Da lì a poco ottiene una parte al fianco di Bruce Willis in Extraction e, indovinate un po’? A maggio 2014 riesce a diventare la covergirl di Playboy. Grazie a Instagram e ai Social Network in generale, Lindsey è sempre più in ascesa e sarà anche la star della seconda stagione di Famously Single, reality molto seguito negli Stati Uniti.

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 Com’è stato crescere in Louisiana per spostarsi poi in una realtà più grande, come quella di Los Angeles?
Crescere a Ruston è stata un’esperienza unica. Arrivare a Los Angeles con la semplicità che mi è stata insegnata dai miei genitori nel sud, mi ha veramente fatto apprezzare le piccole cose. Adoro vivere in una città così grande dove tutti pensano cose diverse. E’ un’ispirazione continua.

Puoi descrivere Los Angeles a qualcuno che non ci è mai stato? E’ davvero il posto dove i sogni si avverano?
LA è la città dei sognatori. Il clima è praticamente perfetto, il panorama è mozzafiato. Sono le persone che ci vivono però, a renderla così unica. Tutti hanno una storia diversa. Quello che li accomuna è la passione che mettono nelle cose che fanno. E’ bellissimo.

Sei mai stata in Italia?
Purtroppo no! Ma non vedo l’ora di venirci. Tutti dicono che è pazzesca.

Ti definisci un influencer?  
Credo che sia inevitabile, sì.
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Fai parte del cast della seconda stagione di Famously Single su E!. Come è andata?
Mi frequentavo con un ragazzo inglese. Non era una cosa stabile. Lui era nel cast della prima stagione, ed è stato contattato anche per la seconda. La produzione sapeva del nostro rapporto, che ormai era finito, e ha voluto invitare anche me. Dopo un po’ di tentennamenti, ho deciso di buttarmi. E’ stato surreale parlare dei nostri sentimenti davanti a così tante telecamere.

In che modo credi che i Social Media abbaino cambiato le nostre vite? Quanto invece, hanno cambiato la tua?
La mia l’hanno cambiata completamente! Grazie ai Social ho avuto e sto avendo tutt’ora enormi opportunità che di sicuro non mi sarebbero mai arrivate. Dalla mia vita amorosa al mio lavoro da modella, passando a quello in televisione, ci sono stati cambiamenti abissali. Non nego che ci sono lati negativi, come in ogni cosa, ovviamente. I Social sono una finestra sul mondo e se siamo abili ad usarli, possono davvero cambiarci la vita.

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Com’è una tua giornata tipo?
Non esiste! Ogni giorno è diverso per me. Può essere che rimanga dodici ore nel deserto per un servizio fotografico, che giri un video musicale o che faccia riunioni tutto il giorno e che la sera vada a un evento. I’m all over the place. 

So che sei molto coinvolta in progetti di beneficienza…
Negli ultimi anni, a Natale ho prestato volontariato aiutando i bambini meno fortunati. L’organizzazione che preferisco è Babes In Tonyland che si occupa tutto l’anno di raccogliere soldi per donare durante le feste natalizie giochi a bambini meno fortunati. Babes In Tonyland ha anche un’altra divisione, che si occupa di finanziare organizzazioni più piccole specializzate nel soccorso di animali indifesi.

CHEF RUBIO – FISH CHIP

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Solitamente, nelle introduzioni delle mie interviste, cerco sempre brevemente di spiegare chi è l’intervistato. Ma veramente, chi non conosce Chef Rubio? Al secolo Gabriele Rubini, guadagna popolarità grazie al programma sullo street food Unti e Bisunti. Da lì il boom, che lo fa approdare di recente su Canale 9 con l’irriverente programma Il Ricco e Il Povero. Impegnato anche in diverse attività benefiche, quello che emerge conoscendolo di persona è il suo cuore grande. Grande quanto la sua passione per il Rugby che lo accompagna da tutta la vita. Gabriele è anche il commentatore a bordo campo durante i match del torneo Sei Nazioni, in diretta questo mese su Canale NOVE. Dove potevamo portarlo quindi, se non a fare due lanci?

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Chi è Chef Rubio? Dove finisce il personaggio e, dove inizia Gabriele?
Chef Rubio è Gabriele. Si alternano. Quando c’è bisogno di sfacciataggine esce Rubio, quando invece deve emergere discrezione, ci pensa Gabriele. Adesso è diventata però una cosa abbastanza ibrida, non c’è praticamente più distinzione tra i due. Prima c’era una necessità di racconto che con la crescita è diventata appunto, meno importante.

Se dovessi descriverti con una parola?
Ossimoro. Sono fatto di contrasti.

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La tua passione principale quindi? Cucina o Rugby?
La cucina è una necessità vitale. Il Rugby è uno sport che mi rimarrà dentro tutta la vita.

Ti ha segnato?
Più che segnato mi ha formato.

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Sei l’inviato a bordo campo del Sei Nazioni. E’ la prima volta che ti viene affidato un simile compito?
E’ la prima volta che mi dedico totalmente a questo. E’ una bella esperienza.

Come la stai affrontando?
Di sicuro non con il dolcevita! (Siamo sul set e siamo pronti a scattare, ndr.) L’affronto tranquillamente, conoscendo buona parte dei giocatori. Anzi, con alcuni di loro c’è un grande rapporto di amicizia da anni. Quando sono a bordo campo, cerco di fare emergere il loro lato umano, non tanto quello da giocatori.

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Ami viaggiare. Il tuo ultimo programma Il Ricco e il Povero è infatti, basato anche su questo. Quanto cambia la mentalità viaggiare?
Credo si nasca con l’attitudine al viaggio. Di sicuro crescendo la si affina. Sin da ragazzino ho avuto la passione di andare in giro, di scoprire posti, cultura e persone diverse da me.

Qual è la meta dove andare almeno una volta nella vita?
Nuova Zelanda, Islanda o Azzorre. Sono le migliori realtà paesaggistiche che abbia mai visto. Sicuramente la Nuova Zelanda è più completa ed è quella dove ho più ricordi. L’Islanda e le Azzorre hanno dei paesaggi che sono quasi fantascientifici dalla bellezza. E’ impossibile sceglierne solo una. Da vedere tutte e tre. Assolutamente.

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Il posto dove non andare mai?
Cuba. Ci sono stato di recente. E’ un discorso molto complesso che non si riuscirebbe a riassumere in una risposta. E’ un’isola in cui qualcuno ha giocato con il popolo e lo ha reso schiavo. E lo è tutt’ora. Non incoraggerei un sistema del genere andandoci a fare il turista.

Quali sono i tuoi gusti musicali?
Vengo dal Metal, cresco in parallelo con Punk e Grunge, interessandomi poi all’hip hop e al mondo rap. Ho sempre sentito tutto. Avendo adesso amicizie che cantano in gruppi hip hop, rock, indie etc. mi viene spontaneo ascoltare ancora di più ogni genere musicale. Non mi precludo nulla. C’è tanta bella roba, ma c’è pure tanta ‘monnezza.

Dopo il torneo cosa farai?
Sicuramente tanto lavoro. Ho tanti progetti da continuare e da terminare. Non sarà un momento di riposo. Riposare è difficile quando il tuo lavoro è la tua passione.

 

 

HEY ROSSELLA BLINDED! WHAT’S IN YOUR TOUR BAG?

di Federico Ledda
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E’ di Milano, ma sta conquistando tutto il mondo con i suoi sick beat. Lei è Rossella Blinded: professione deejay o, come direbbe Fatty Wap: trap queen. E’ proprio così che si descrivere al meglio Rossella. Definita uno dei prodotti più interessanti in uscita dall’Italia, la deejay è anche speaker radiofonica. La potete sentire su Bass Island Radio, la radio Drum n Bass per eccellenza. Molti sono stati gli ospiti con la quale Rossella ha avuto a che fare, tra cui Flux Pavillion e Borgore. Reduce dal suo primo tour americano abbiamo sbirciato dentro la sua tour bag, ecco i suoi musi have!

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Adoro Adidas da una vita e questa track jacket è perfetta sia da usare quando sto suonando o facendo il soundcheck nei locali più freddi oppure come una giacca stilosa quando esco la sera o durante il giorno!

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Dolly Noire Black Beanie Pom Black
Ho sempre freddo (sul serio… tranne ad agosto diciamo…) e raramente riesco ad uscire fuori di casa senza un beanie. Quello che uso e amo di più in questo periodo è quello nero di Dolly Noire. Super caldo e super in tono con il mio stile street.

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Nike Air Zoom Pegasus Black/Gold
Amo sentirmi comoda quando cammino o quando sono in tour tra aerei e treni da prendere. Anche quando suono cerco questo comfort, salto sempre, in continuazione e le Nike Pegasus sono tra le mie sneakers preferite. Potrei saltare per ore con queste ai piedi e le uso molto spesso anche in palestra!
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Puma Net Top Sweater Black
Questo top della puma unisce il comfort ad un stile street wear pazzesco! Quando esco lo uso con una gonna, solitamente con quelle al ginocchio, o con i leggins quando suono. Super fresh in entrambi i casi.
Schermata 2017-01-30 alle 18.44.37Sapopa Emana Leggins Black  and Poppy Bra Black.
Questi capi per me sono essenziali per due ragioni. Primo per dare un tocco femminile ai miei outfit quando suono. Secondo per tutte le volte che trovo una palestra in hotel e posso approfittarne per fare yoga o allenarmi, il materiale di cui sono fatti è unico e ha una flessibilità e leggerezza mai vista! 

 

 

THE BEST FROM HAUTE COUTURE SS17

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È terminata ieri la settimana dell’Haute Couture di Parigi, durante la quale si è presentata la Spring Summer 2017. Dalle passerelle, attraverso i vari stili dei brand, è emerso un filone comune: stupire. Stupire con estrema eleganza, come ha saputo fare Alexis Mabille, Valentino e Galia Lahav. Stupire con opulenza come è stato per Guo Pei o, andare completamente contro tendenza presentando una collezione vera, sincera, come ha fatto Demna Gbasalia per VETEMENTS. Ecco i dodici migliori look secondo The Eyes Fashion.

Alexis Mabille, Fashion Show, Couture Collection Spring Summer 2017 in Paris
Alexis Mabille
Galia Lahav, Fashion Show Couture Collection Spring Summer 2017 in Paris
Galia Lahav
Maison Margiela, fashion show, Couture, Spring Summer, 2017, Paris, NOWFASHION
Maison Margiela
Vetements, fashion show, Ready To Wear Collection, Fall Winter, 2017, Paris, NOWFASHION
VETEMENTS
Guo Pei, Couture, Spring Summer 2017 in Paris
Guo Pei
Valentino, Couture, Spring Summer 2017 in Paris
Valentino
Dior Cuture Collection Spring Summer 2017 Paris Fashion Week NYTCREDIT: Gio Staiano / NOWFASHION
Dior
Celia Kritharioti, Fashion Show, Couture Collection Spring Summer 2017 in Paris
Celia Kritharioti
Julien Fournié, Fashion Show Couture Collection Spring Summer 2017 in Paris
Julien Fournié
Chanel, Couture, Spring Summer 2017 Fashion Show in Paris
Chanel
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Ziad Najad
Viktor & Rolf, Couture, Spring Summer 2017 in Paris
Viktor & Rolf