THE RETURN OF SAINT GERMAIN

di Matteo Brazzelli

St-Germain

THE EYES FASHION, insieme a ”Techno Intellettuale” ha incontrato St. Germain.

Insieme scopriremo quali fattori, dopo quindici anni di “apparente” inattività, hanno spinto l’artista al ritorno sulla scena con la creazione del suo nuovo album “Real Blues”.
La sua particolare visione della musica e delle proprie opere con le loro motivazioni, particolarità ed innovazioni.
Scopriremo i processi e le difficoltà che si celano dietro all’ideazione e composizione di un album di questa portata: la continua ricerca, le difficoltà, gli imprevisti, i vicoli cechi, lo studio, i viaggi e l’autoperfezionamento; ma sopratutto emergerà il concetto di amore per la musica e per i suoi suoni, la romantica dedica della dell’artista che con infinito amore immola la propria vita all’arte.

A quindici anni di distanza dal successo del tuo ultimo album “Tourist” assistiamo al tuo ritorno sulla scena con la composizione di “Real Blues”. Cos’è successo in tutti questi anni e cosa ti ha spinto a tornare proprio in questo periodo?
Tourist fu un grande successo ma allo stesso tempo molto complicato ed impegnativo, fu un’esperienza gratificante ma molto stancante da cui è stata necessaria una pausa.
In questi anni comunque ho sempre lavorato a stretto contatto con la musica: nel 2004 ho fatto uscire l’album del mio trombettista e nel 2005 tenni un grande concerto in Cina.
Il bisogno e la voglia di iniziare nuovamente quel lungo processo di studio e ricerca necessario per creare musica avvenne, però, solo nel 2006: in circa un anno avevo creato un nuovo album ma mi accorsi che il risultato era una sorta di “Tourist 2” e per questo non ero affatto soddisfatto; decisi di ricominciare da capo con il preciso scopo di introdurre delle sonorità nuove; creare qualcosa di unico.
Per raggiungere il mio obiettivo sentii il bisogno di partire alla ricerca di nuove sonorità, mi diressi quindi in Africa, ed in particolare in Ghana dove purtroppo mi resi subito conto dell’incompatibilità tra i suoni autoctoni e quelli elettronici.
Ancora una volta ripartii quindi da zero, mi diressi nel nord africa, nello stato del Mali, dove trovai ciò che cercavo tra i “cacciatori del Mali”, dei guerrieri indigeni le cui sonorità mi affascinarono incredibilmente e che subito riconobbi come compatibili con le mie.
Iniziai quindi solo nel 2009, dopo 3 anni di ricerca, la mia effettiva produzione artistica.
Ora la principale sfida fu trovare musicisti in grado di riprodurre queste particolari sonorità, il mio desiderio era ovviamente quello di mantenere i miei storici musicisti ma essi non erano logicamente in grado di riprodurre fedelmente suoni tanto complessi, non convenzionali e nuovi; decisi quindi di integrare al gruppo dei musicisti africani con i loro tipici strumenti malesi.

Perché la scelta di questa nazione, perché il Mali? Cosa ti ha musicalmente catturato? È possibile vi sia stato un influsso dato dalla grande presenza di questo popolo sul suolo parigino?
No resta una questione puramente di gusto personale.
È una scelta derivante dall’esperienza vissuta con questi musicisti: è necessario vederli e sentirli suonare per poter comprendere, questo è infatti anche il motivo per cui saranno presenti nei live, noterete che possiedono una tecnica, a cui non siamo abituati, totalmente diversa da quella europea.
La scelta è stata fondamentalmente dettata da ciò che ho visto in loro nel momento in cui suonavano, ne sono rimasto ammaliato.

Quali sono i principali strumenti presenti in “Real Blues”?
Principalmente due: La “Kora”: una piccola arpa malese un po’ più stretta di quella convenzionale e “l’Ongoni”, una piccola chitarra allungata fatta con la pelle di capra avente 5 corde.

Siamo molto incuriositi dalla copertina dell’album, qual’è la storia di questa maschera?
Abito nel quartiere di Montmatre, a Parigi; una mattina, uscendo di casa, mi imbattei in un’installazione artistica: una maschera, da quel giorno iniziai a ritrovarla in giro per il quartiere, ne restai molto affascinato e decisi quindi di conoscerne l’artista.
Una volta entrati in contatto ed instaurato un rapporto decisi che sarebbe stata un’ottima soluzione per la copertina del mio album, gli feci quindi fare un calco del mio volto.

Cosa provi all’idea di tornare sul palco? Come sarà organizzato?
Sul palco saremo io e sette musicisti, come ho detto, i miei storici di “Tourist” e quelli africani.
(sorride) Al momento sono ancora un po agitato all’idea e non posso dire di essere totalmente pronto all’esperienza ma lo sarò presto! Sono davvero molto felice di iniziare quest’avventura!

Come sei riuscito a non piegarti alle regole del mercato? Ci vuole coraggio per ricominciare da capo, ricercando una propria visione della musica e della sua perfezione tramite viaggi e ricerca.
Questo è il mio modo di lavorare, credo sia anche l’unico per un prodotto di qualità, Tourist ha funzionato esattamente per questo, ho utilizzato lo stesso metodo; il prodotto deve innanzitutto assomigliarmi, mi deve appartenere ed io per primo ne devo essere soddisfatto.
Il mercato musicale europeo è inoltre ormai troppo densamente popolato e le sonorità tendono a ripetersi, è difficile imbattersi in qualcosa di fondamentalmente innovativo ed è questo che ho cercato di evitare.

In effetti la scena artistica elettronica europea si è evoluta molto negli ultimi quindici anni, è ormai sempre meno di nicchia e possiamo dire stia raggiungendo livelli di distribuzione immensi, credi questo possa in qualche modo influenzarti da produttore?
Sicuramente oggi è più facile per tutti provare a produrre ed entrare in contatto con questo mondo ma questo non ha assolutamente intaccato il mio modo di farlo, credo che per un buon prodotto siano necessari tanto tempo, tanto studio e molta fatica; mi ci sono voluti dieci anni per raggiungere le sonorità che cercavo.
Effettivamente l’industria musicale oggi impone tempi più stretti a discapito della qualità, fortunatamente io ho il privilegio di poter lavorare in un certo modo e con i miei tempi, resto quindi, alla fine, indipendente dalle pressioni del mercato in funzione di un prodotto che sia, prima di tutto, di alto livello per me.

Ti facciamo un’ultima domanda: hai qualche consiglio da offrire a neo-produttori che sognano di far conoscere la loro arte?
É una domanda complessa, non ho consigli particolari se non la consapevolezza della mole di lavoro, della sua difficoltà e dei numerosi fallimenti, credo comunque la qualità fondamentale sia l’onestà; è fondamentale essere sempre sé stessi per essere innovativi ed in grado di distinguersi, io stesso i primi anni gli ho vissuti nel mio studio a lavorare tutto il giorno.
È inoltre normale, all’inizio, prendere ispirazione e copiare dagli altri artisti ma solo per perfezionarsi; poi bisogna portare sé stessi nella musica, altrimenti non vi sarà mai un livello artistico degno di questo nome.

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