Tinie Tempah is back e lo fa in grande stile. Dopo mesi, anni di attesa, è finalmente uscita la sua ultima fatica YOUTH. Successivamente a Demonstration e dopo il suo progetto Junk Food, il nuovo album si presenta come un disco maturo. Più degli altri. Testi meno superficiali, più sentiti e dalle vibrazioni tropicali/jamaicane il cantante inglese, che per anni è stato l’uomo più elegante secondo GQ, torna alle origini ispirando l’ultimo lavoro ai ritmi e ai grandi che hanno ispirato la sua infanzia. Importanti anche le collaborazioni, di spicco le tracce Text From Your EX con TINASHE e Not For The Radio con MNEK.
LAÏOUNG
di Federico Ledda
È da tempo ormai che il mondo dell’hip hop è bombardato dalla musica trap. Dagli Stati Uniti all’Italia, da Travi$ Scott a Sfera Ebbasta, sono sempre di più gli artisti che emergono grazie a questa nuova contaminazione dell’hip hop. Sia chiaro, nuova per l’Italia, “normale” ormai per gli States. Lo sa bene Laïoung, il “personaggino” che trovate sulla copertina di The Eyes Fashion. Classe 1992, nato a Bruxelles da mamma sierraleonese e papà pugliese, Giuseppe Bockaire Consoli questo il vero nome, sta davvero facendo parlare di sé. Partiamo dall’inizio.
Fammi un esempio
HELLO GREEN FASHION WEEK!
Patrocinata dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con UNFCCC e organizzata da GD Major e dall’associazione no-profit FSA (Fashion Service Association), Green Fashion Week ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della sostenibilità e promuovere il percorso che l’industria della moda deve seguire per soddisfare gli obiettivi sottoscritti dai 193 paesi membri dell’ONU con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
GFW intende essere un punto di riferimento sui temi moda e sostenibilità, sia per gli esperti del settore che per chiunque abbracci la causa. L’iniziativa coinvolge stilisti e aziende internazionali che intendono promuovere il concetto di sostenibilità attraverso le loro collezioni e i loro prodotti, realizzati con materiali e processi produttivi sostenibili da un punto di vista ambientale, sociale ed economico. Tali collezioni sono la prova di come la moda ecosostenibile non debba scendere a compromessi con lo stile e l’eleganza. Green Fashion Week, infatti, fin dalla sua prima edizione ha raccolto aziende che volevano trasmettere stile, eleganza ed eccellenza nel campo del lusso, del comfort e del benessere, utilizzando materiali sostenibili.
In particolare, GFW si impegna a coniugare la qualità dei suoi prodotti con una profonda attenzione per la sostenibilità, ciò significa non solo l’adozione di strategie e processi produttivi che abbiano un impatto ambientale minimo, ma anche, cosa forse più importante, la ricerca di nuovi materiali e soluzioni innovative che migliorino la competitività dell’industria della moda in un mercato sempre più attento ai temi della sostenibilità e della circolarità delle risorse.
La prossima edizione di Green Fashion Week si terrà negli Stati Uniti dal 30 Marzo al 5 Aprile 2017. Los Angeles e Las Vegas saranno i protagonisti indiscussi di questa avventura green, che mira a diffondere consapevolezza sull’impatto della moda sull’ambiente, grazie a sei giorni di sfilate, eventi, feste, servizi fotografici, video, incontri, proiezioni e cortometraggi, in location uniche e sorprendenti.
A CHAT WITH THE WHITE MILANO CO-FOUNDER
di Federico Ledda
Creare una realtà importante e significante per la moda di tutto il mondo non è da tutti. Lo sa bene Brenda Bellei, co-fondatrice del White, il salone collaterale alla fashion week milanese che di anno in anno diventa una manifestazione sempre più rilevante. Il White sceglie per ogni stagione i brand emergenti e non più interessanti e meritevoli, offrendogli la possibilità di mostrare la loro collezione all’interno dell’evento.
Sono stato invitato a visitare il White per vedere con i miei occhi la freschezza che la fiera sta riuscendo a sviluppare grazie ai sui designer. Insieme a me c’era Brenda Bellei, che mi ha spiegato come si mette in piedi una manifestazione così di rilievo…
Quanto il White è diventato importante per Milano?
Spero tanto. Il salone porta a Milano più di 25mila operatori a edizione. Senza contare gli espositori, collaboratori, stampa etc… Credo che portiamo molto alla città infatti, siamo gli unici ad essere patrocinati dal comune.
Nel corso degli anni il White è diventata una potenza mondiale. In che modo si è sviluppato?
Avevo 28 anni, e insieme a Massimiliano Bizzi abbiamo pensato a creare questa realtà. Sembrava una follia giovanile, mai avremmo pensato arrivasse a questi livelli… Ne siamo molto contenti.
Per che cosa sta ”WHITE”?
Abbiamo voluto scegliere un nome che non fosse un nome fieristico. Essenziale. Un po’ Margiela (ride, ndr.)
Quai sono stati i punti di forza che vi hanno portato fin qui?
Senza dubbio la passione e la dedizione per quello che facciamo. Facciamo tanta ricerca, scouting. Questo è importante. Sin dal primo giorno abbiamo sempre cercato di dare tutti noi stessi.
Come avviene lo scouting?
Viaggiamo tantissimo, in tutto il mondo. Visitiamo le fashion week internazionali, da quelle più importanti, a quelle più piccole e sconosciute. Andiamo nei negozi, visitiamo le altre fiere. Abbiamo poi un bacino di richieste che cresce sempre a dismisura. Da scouting e richieste selezioniamo i brand più consoni e li invitiamo al salone.
Qual è la metrica di giudizio per selezionare i brand?
Abbiamo una commissione composta di giornalisti e buyer. Insieme cerchiamo di studiare il brand in tutte le sue sfaccettature come ad esempio, la sua distribuzione, la copertura della stampa, in quali negozi è presente etc. Se invece il brand è emergente, incontriamo lo stilista, guardiamo gli schizzi…Abbiamo un team di tutoring che ci aiutano a capire e aiutano lo stilista stesso, a emergere.
Qual è il futuro del White?
Renderlo un prodotto sempre più internazionale. Stiamo lavorando tantissimo all’estero, portando brand internazionali, abbiamo brand Cinesi, Belga, Georgiani. Ci piacerebbe renderlo sempre di più una finestra sul mondo.
GRETA SCARANO – HER
di Federico Ledda
Eccoci, non siamo scomparsi. The Eyes Fashion esiste ancora.
La scelta di uscire con un ritardo di metà mese, è stata dettata dal fatto che in copertina ci trovate lei: Greta Scarano. Attrice di un talento disarmante, sta ricevendo sempre più consensi da parte del cinema italiano. Vincitrice di un nastro d’argento come miglior attrice non protagonista in Suburra, Scarano sta vivendo un periodo estremamente occupato. Da oltre un anno al cinema, prima con Suburra, poi con La Verità Sta In Cielo e adesso con Smetto Quando Voglio – Masterclass, abbiamo incontrato Greta in una giornata di pausa tra un progetto e l’altro. Estremamente simpatica e dolce (al cinema fa sempre ruoli forti, ndr.) ci ha raccontato com’è la sua vita e cosa si prova a essere sempre più richiesta…
Hai sempre seguito, sin da giovanissima, la tua passione per la recitazione, che ti ha portato perfino a studiare in Alabama. Quali sono state le differenze maggiori che hai trovato, lavorando nel teatro italiano e quello americano?
Ho vissuto in Alabama all’età di 16 anni. Lì ho frequentato il teatro nell’ambito dell’high school, portando in scena due spettacoli. Posso quindi più che altro parlare della mia esperienza scolastica, che è stata intensa. La principale differenza con l’Italia è che il teatro e la recitazione sono materie scolastiche e come tali vengono trattate. Naturalmente sono materie molto amate perché gli studenti mettono in scena spettacoli che poi vengono proposti in concorsi statali, competendo con altre scuole. È stimolante far parte di una realtà che mette l’arte, la recitazione e il teatro al centro della vita degli studenti. Sarebbe bello se potesse essere così anche in Italia: fornire una preparazione artistica agli studenti delle scuole dell’obbligo stimolandone la creatività e la sensibilità, permetterebbe di formare professionisti del nostro settore molto presto. Mi capita spesso di essere contattata da ragazzi che vorrebbero fare gli attori o i registi, ma non sanno da dove cominciare.
Non tutti lo sanno, ma hai anche studiato batteria e percussioni. Quanto la musica influisce nella vita?
La musica cambia sempre tutto. Duramente l’adolescenza, la mia vita era fatta di cd e dvd. Li collezionavo. Mia madre mi diceva che un giorno o l’altro sarei andata in giro vestita di album perché non compravo altro. Recentemente ho lavorato con Stefano Mordini, abbiamo girato un film insieme. Stefano porta la musica sul set e chiede a tutti di lasciarsene ispirare, perché ogni scena ha una sua temperatura, un suo ritmo, proprio come le canzoni. E le scene prendono subito vita. Il set è coinvolto in questo nuovo processo creativo che si nutre dell’energia di tutti.
Mumford&Sons, First Aid Kit, M83, Janis Joplin, Fabrizio De André, Lady Gaga, The Black Eyed peas, Kanye West, Lucio Dalla e mille altri.
La tua strada nel cinema è solo all’inizio, ma hai già interpretato importanti ruoli. Qual è il processo che ti porta dentro un personaggio? Quanta Greta c’è dentro i tuoi personaggi?
Prima leggo la sceneggiatura, cerco di capire che film è e che personaggi racconta. Cerco di capire gli archi emotivi dei personaggi, imparo le battute a memoria, le provo da sola. Poi chiedo al regista, mi confronto con tutti i reparti che mi aiutano nella creazione del personaggio. Lavoro quindi a stretto contatto con il costumista, il truccatore, il parrucchiere, cerco riferimenti, non faccio che pensare a come sarà il mio personaggio. Poi cerco di dimenticare tutto, arrivo sul set e lavoro sull’istinto, sulla ricerca di qualcosa a cui non avevo pensato prima, provo a farmi sorprendere dai miei colleghi attori, mi cibo di tutto quello che mi circonda e uso tutto quello che mi viene messo a disposizione. Di solito, più o meno, faccio così. C’è tanto di me nei personaggi che interpreto, sarebbe impossibile evitarlo.
Qual è il ruolo che hai interpretato alla quale sei più affezionata?
Sono affezionata a tutti i personaggi che ho interpretato, ma ad ognuno in modo diverso.
Cosa pensi del cinema italiano? Quali sono i registi che apprezzi di più?
Vorrei vedere le sale piene di pubblico, vorrei vedere film ambiziosi e coraggiosi. Ripongo molta fiducia nelle nuove generazioni. Amo Garrone, Sorrentino e Mordini perché sono dei visionari. Amo Veronesi che adora i suoi personaggi e si dedica con passione agli attori che sceglie.
Il cinema americano è un’industria che genera enormi ricavi. C’è uno star system che smuove le masse. Noi abbiamo vissuto di rendita per molti anni, poi abbiamo iniziato a deludere e oggi paghiamo il prezzo della sfiducia del pubblico nei confronti del cinema italiano. Ma c’è la voglia di riconquistarla. Io, da parte mia, non voglio mai deludere chi viene al cinema a vedere un film dove ho lavorato. Dobbiamo ricucire il rapporto con gli spettatori e dobbiamo ricominciare ad investire seriamente nell’industria cinematografica raddrizzando una serie di storture che la bloccano. Dobbiamo stimolare le nuove generazioni a nutrirsi di cinema.
Sei nata e cresciuta a Roma, quali sono i tre posti che più ti piace frequentare quando sei là?
Adoro le ville di Roma, villa Pamphili su tutte. Amo mangiare in un buon ristorante e fare lunghe passeggiate notturne, Roma è più facile di sera. Amo andare a vedere un film al nuovo Sacher.
Ho appena di finito di girare un film per la TV diretto da Stefano Mordini su Emanuela Loi, la prima donna poliziotto uccisa dalla mafia. Emanuela faceva parte della scorta di Borsellino ed è morta nella strage di via d’Amelio. Uscirà su Canale 5 in autunno. Non vedo l’ora. A maggio dovrebbe uscire una serie che ho girato per Rai 3, ma non posso ancora parlarne.
COSMO MEANS HYPE
di Federico Ledda
Una cosa è certa: vedere Cosmo live è un’esplosione di energia clamorosa. Il concerto più che sold out di ieri sera ai Magazzini Generali di Milano lo ha confermato. Estrema potenza non solo da parte di Cosmo e dei suoi, ma anche dal pubblico che diciamocelo, era (in parte) il vero spettacolo. Il live si presenta come un live ben strutturato, con la band che non smette di suonare le basi elettroniche che tanto lo stanno contraddistinguendo nel mercato italiano. Scaletta iniziata con Cazzate e proseguita con il “masterpiece” L’ultima Festa con tanto di crowd surfing e di fan sul palco. Dal vivo Cosmo non ha limiti e dà tutto sé stesso. Da vedere assolutamente.
HYUN MI NIELSEN’ BACKSTAGE SS17 HAUTE COUTURE – PARIS
Pictures by: h7o7Films (Hadi Moussally & Olivier Pagny). For more: www.h7o7Films.com & www.HadiMoussally.com
KUKI DE SALVERTES – A LIFE IN FASHION
di Federico Ledda
È il 25 gennaio e sono a Parigi in occasione della settimana dell’Haute Couture. Sono appena stato al Ritz per assistere ad una sfilata e adesso mi sto dirigendo verso la Joyce Gallery ai Jardin du Palais Royal. Sono da poco passate le 17 e su Parigi sta scendendo il sole. Vedere il Palais Royal al tramonto è qualcosa di speciale per un romantico come me.
Sto andando all’anteprima della mostra “La Vie Dans La Mode” dove intervisterò il suo autore Kuki De Salvertes. Kuki non è né un pittore, né un fotografo, né uno stilista né tanto meno, uno scultore. È un PR di moda, uno dei più grandi. In Francia rappresenta quelle facce autorevoli che cerchi tra la folla per capire se l’evento è andato bene.
La sua carriera inizia a 19 anni, quando conosce praticamente per sbaglio un giovane Franco Moschino che lo vuole subito nella sua squadra. In poco tempo diventa per il brand, il capo delle pubbliche relazioni in Francia. Da lì la vita frenetica di Kuki è decollata: Dior, Comme des Garçons, non c’è stato un brand in Francia che tra gli anni 80 e i primi 2000 che non si sia affidato a lui. L’anteprima di una mostra? Sì. Nel corso di questi anni, sin dai sui inizi, De Salvertes ha avuto la passione di fotografare le persone che lo circondavano. Amici, colleghi; bastava una polaroid, una usa e getta ed era subito magia. La sua risposta quando gli chiedo da dove viene questa passione? “Chi non ama fotografare i suoi amici e poi riderci su?”. Certo. Solo che i suoi amici includono Raf Simons, Kate Moss e Suzy Menkes.
Cosa rappresenta questa mostra?
E’ una celebrazione dei miei 35 anni nel mondo della moda. Sono arrivato a Parigi nel 1980, avevo 17 anni. Dopo due anni iniziai a lavorare per Comme des Garcons. In tutti questi anni mi ha sempre colpito la gente che mi circondava. Ai miei occhi appare tutt’ora estremamente bella, interessante.
Quale di questi scatti ricordi più con piacere?
Dietro di te c’è n’è uno che feci a Isabella Blow. E’ stata la mia migliore amica per molti anni. Dal 1995 al 2002, per essere preciso. Abbiamo vissuto persino insieme a Parigi, mi manca molto.
Ne vedo anche una di Franco Moschino, come sei arrivato a lavorare per lui?
Dopo essermi trasferito a Parigi dalla Provenza, durante i miei studi e i primi approcci con le agenzie di comunicazione conobbi una delle mie muse. Nicole Ciano, nipote di Benito Mussolini che all’epoca era a capo di un ufficio stampa. Averla conosciuta rivoluzionò completamente la mia vita, le diede colore. Felicità. Nicole frequentava la high society di Parigi, e anche quella italiana. Una sera organizzò una cena e tra gli invitati c’era anche Franco, che mi presentò. Dopo un anno e vari incontri iniziai a lavorare per Moschino, avevo 22 anni.
Andando avanti nella galleria, ne trovo una anche di Vivienne Westwood…
Dopo sette anni lasciai Moschino per lavorare infatti, per Vivienne Westwood. Nel 2002 invece aprì finalmente la mia agenda di comunicazione, TOTEM. E’ stato un periodo meraviglioso della mia vita, che sono fortunato a rivivere tutt’ora grazie a queste fotografie.
Se dovessi definire questa mostra con una parola quale useresti?
Vita.
Perché?
Perché oltre a essere frammenti della mia vita, è un termine perfetto per rappresentare il valore che hanno avuto questi anni per me. Sono stati vitali.
ALBERT WATSON – THE ICON
Dalla foto storica ritraente Steve Jobs utilizzata perfino da Apple, al poster di Kill Bill, siamo tutti familiari con i lavori di Albert Watson. Fotografo scozzese che dalla fine degli anni 70 ha creato vere e proprie opere d’arte che hanno rivoluzionato il mondo della fotografia per sempre. Alfred Hitchcock, Queen Elizabeth, 2Pac, Jay Z, Kate Moss, David Bowie, sono solo alcuni dei personaggi con cui Watson ha collaborato nel corso degli anni. Quello che rende la sua fotografia così riconoscibile, è il tratto essenziale, semplice, con il quale ritrae tutti i suoi soggetti.
Siamo stati al Museo della Permanente dove Watson stava lavorando alla preparazione della preview di KAOS, la sua mostra che sarà presentata poi al Palais De Tokyo di Parigi. Estremo perfezionista, il fotografo ha personalmente curato ogni singolo dettaglio della mostra. Dalle musiche (alcune dalla serie Gomorra, ndr.) alla disposizione delle opere.
Come mai decidere di fare una preview a Milano di una mostra che sarà invece a Parigi?
Sì, la mostra completa sarà a Parigi, ma tornerà poi a Milano e aprirà al pubblico. Adesso ci sono solo 40 opere ma al suo ritorno saranno 300.
In quale modo hai deciso le 300 stampe e le 40 per la preview?
Ho cominciato da una selezione di 1000 immagini. Organizzandole in gruppi sono riuscito a eliminarne 100 e poi altre 100. Da quelle 800 la scelta è stata dura ma con calma sono arrivato a 300. Una volta selezionate, per esserne certo ho controllato ancora quelle eliminate. Sceglierne poi 40 per la preview è stato estremamente istintivo
Da dove deriva il titolo Kaos?
Rappresenta semplicemente la frenesia che ha avuto un periodo della mia vita. Mi trovavo alla Couture Week di Parigi e un momento dopo al Cairo per scattare i pezzi di Tutankhamon. In Scozia a fotografare paesaggi, e poi a Hollywood a lavorare al poster di Kill Bill. Quello che fotografavo era caotico. Era moda, erano diamanti, erano paesaggi. Poteva essere tutto. Ecco da dove viene il termine. Rappresenta la mia vita.
Cosa preferisci fotografare di solito?
Se lavoro per due settimane con delle modelle, sono contento se poi devo stare in studio a scattare still life. Mi permette di staccare la mente e di concentrarmi su oggetti inanimati. Di solito cerco di alternare ogni mio lavoro in modo da avere sempre lo stesso piacere per ogni progetto.
Qual è stata la persona con cui hai lavorato, che più ti ha ispirato?
Ce ne sono state diverse. Mi è piaciuto molto lavorare con Jeff Koons. E’ intellettuale, sofisticato e divertente come un bambino. E’ davvero intelligente. Ogni volta che ho la possibilità di passare del tempo con lui, è sempre un’esperienza unica. Un’altra persona che mi è piaciuta particolarmente è stata 2Pac.
David Bowie?
Una persona estremamente premurosa e di un’intelligenza disarmante. Un grande attore. Era capace a interpretare qualsiasi personaggio davanti all’obiettivo. Ho imparato tanto da lui. Un’altra persona che mi ha colpito tanto è stata Marilyn Manson.
Come mai?
Prima di diventare cantante era un mimo. In realtà si chiama Brian, ha creato Marilyn Manson per sfuggire dal mondo reale. L’ha fatto in un modo estremo, fuori dagli schemi. Geniale.
Che cambiamenti hai notato da quando hai iniziato a lavorare come fotografo?
Adesso è tutto molto più spontaneo. In tanti hanno una macchina fotografica e tutti hanno un telefono che scatta fotografie. Mi piace tantissimo l’iPhone. Ti permette di scattare in modo semplice e immediato. Inoltre credo abbia avvicinato molte più persone alla fotografia.
Possiamo quindi dire che la fotografia è diventata mainstream?
Credo che sia ovunque. Per creare una grande fotografia hai comunque bisogno di una reale macchina fotografica e soprattutto, di saperla utilizzare. Vedo tanti fotografi improvvisati ultimamente. Lo fanno sembrare facile come guardare la tv…
E’ cambiato il tuo modo di fotografare?
Sì, ma non nel modo in cui credi. Una macchina fotografica digitale o a pellicola, non fa differenza per me. La digitale è come se fosse un auto sportiva mentre quella a pellicola è come la Rolls Royce. Sono diverse. La cosa interessante secondo me, è come sono cambiati i computer. Adesso puoi manipolare la realtà come un pittore può controllare l’olio su una tela. E’ davvero affascinante.
JULIEN FOURNIE’ BACKSTAGE SS17 HAUTE COUTURE – PARIS
Pictures by: h7o7Films (Hadi Moussally & Olivier Pagny). For more: www.h7o7Films.com & www.HadiMoussally.com
Siamo stati nel backstage della sfilata Haute Couture di Julien Fournié a Parigi. Lo stilista ha presentato la prossima Primavera-Estate nello storico Oratoire Du Louvre. Sofisticata bellezza mischiata a estrema femminilità, hanno fatto dello stilista un’icona ammirata perfino da Victoria’s Secret, che spesso collabora con lo stilista per le sue sfilate.
LINDSEY PELAS: AMERICA’S SWEETHEART
di Federico Ledda
Si chiama Lindsey Pelas e con il suo corpo mozzafiato (tutto naturale, ci tiene a precisare, ndr.) sta facendo innamorare tutto il mondo del web. Cresciuta in una fattoria a Ruston, nel Louisiana, Lindsey ha sin da sempre il sogno di fare carriera e di trasferirsi a Los Angeles. Durante il liceo crea una bucket list con i punti: –Trasferirsi a Los Angeles, –Diventare Playmate. Finita la scuola infatti, armata di coraggio, riesce a trasferirsi a LA. Appena arrivata, quasi per caso, viene invitata a una festa nella Playboy Mansion, dove incontra il campione di poker-Instagram Star Dan Bilzerian che rimane estasiato dalla sua bellezza e decide di promuoverla come influencer. Da lì a poco ottiene una parte al fianco di Bruce Willis in Extraction e, indovinate un po’? A maggio 2014 riesce a diventare la covergirl di Playboy. Grazie a Instagram e ai Social Network in generale, Lindsey è sempre più in ascesa e sarà anche la star della seconda stagione di Famously Single, reality molto seguito negli Stati Uniti.
Com’è stato crescere in Louisiana per spostarsi poi in una realtà più grande, come quella di Los Angeles?
Crescere a Ruston è stata un’esperienza unica. Arrivare a Los Angeles con la semplicità che mi è stata insegnata dai miei genitori nel sud, mi ha veramente fatto apprezzare le piccole cose. Adoro vivere in una città così grande dove tutti pensano cose diverse. E’ un’ispirazione continua.
Puoi descrivere Los Angeles a qualcuno che non ci è mai stato? E’ davvero il posto dove i sogni si avverano?
LA è la città dei sognatori. Il clima è praticamente perfetto, il panorama è mozzafiato. Sono le persone che ci vivono però, a renderla così unica. Tutti hanno una storia diversa. Quello che li accomuna è la passione che mettono nelle cose che fanno. E’ bellissimo.
Sei mai stata in Italia?
Purtroppo no! Ma non vedo l’ora di venirci. Tutti dicono che è pazzesca.
Ti definisci un influencer?
Credo che sia inevitabile, sì.
Fai parte del cast della seconda stagione di Famously Single su E!. Come è andata?
Mi frequentavo con un ragazzo inglese. Non era una cosa stabile. Lui era nel cast della prima stagione, ed è stato contattato anche per la seconda. La produzione sapeva del nostro rapporto, che ormai era finito, e ha voluto invitare anche me. Dopo un po’ di tentennamenti, ho deciso di buttarmi. E’ stato surreale parlare dei nostri sentimenti davanti a così tante telecamere.
In che modo credi che i Social Media abbaino cambiato le nostre vite? Quanto invece, hanno cambiato la tua?
La mia l’hanno cambiata completamente! Grazie ai Social ho avuto e sto avendo tutt’ora enormi opportunità che di sicuro non mi sarebbero mai arrivate. Dalla mia vita amorosa al mio lavoro da modella, passando a quello in televisione, ci sono stati cambiamenti abissali. Non nego che ci sono lati negativi, come in ogni cosa, ovviamente. I Social sono una finestra sul mondo e se siamo abili ad usarli, possono davvero cambiarci la vita.
Com’è una tua giornata tipo?
Non esiste! Ogni giorno è diverso per me. Può essere che rimanga dodici ore nel deserto per un servizio fotografico, che giri un video musicale o che faccia riunioni tutto il giorno e che la sera vada a un evento. I’m all over the place.
So che sei molto coinvolta in progetti di beneficienza…
Negli ultimi anni, a Natale ho prestato volontariato aiutando i bambini meno fortunati. L’organizzazione che preferisco è Babes In Tonyland che si occupa tutto l’anno di raccogliere soldi per donare durante le feste natalizie giochi a bambini meno fortunati. Babes In Tonyland ha anche un’altra divisione, che si occupa di finanziare organizzazioni più piccole specializzate nel soccorso di animali indifesi.
CHEF RUBIO – FISH CHIP
Solitamente, nelle introduzioni delle mie interviste, cerco sempre brevemente di spiegare chi è l’intervistato. Ma veramente, chi non conosce Chef Rubio? Al secolo Gabriele Rubini, guadagna popolarità grazie al programma sullo street food Unti e Bisunti. Da lì il boom, che lo fa approdare di recente su Canale 9 con l’irriverente programma Il Ricco e Il Povero. Impegnato anche in diverse attività benefiche, quello che emerge conoscendolo di persona è il suo cuore grande. Grande quanto la sua passione per il Rugby che lo accompagna da tutta la vita. Gabriele è anche il commentatore a bordo campo durante i match del torneo Sei Nazioni, in diretta questo mese su Canale NOVE. Dove potevamo portarlo quindi, se non a fare due lanci?
Chi è Chef Rubio? Dove finisce il personaggio e, dove inizia Gabriele?
Chef Rubio è Gabriele. Si alternano. Quando c’è bisogno di sfacciataggine esce Rubio, quando invece deve emergere discrezione, ci pensa Gabriele. Adesso è diventata però una cosa abbastanza ibrida, non c’è praticamente più distinzione tra i due. Prima c’era una necessità di racconto che con la crescita è diventata appunto, meno importante.
Se dovessi descriverti con una parola?
Ossimoro. Sono fatto di contrasti.
La tua passione principale quindi? Cucina o Rugby?
La cucina è una necessità vitale. Il Rugby è uno sport che mi rimarrà dentro tutta la vita.
Ti ha segnato?
Più che segnato mi ha formato.
Sei l’inviato a bordo campo del Sei Nazioni. E’ la prima volta che ti viene affidato un simile compito?
E’ la prima volta che mi dedico totalmente a questo. E’ una bella esperienza.
Come la stai affrontando?
Di sicuro non con il dolcevita! (Siamo sul set e siamo pronti a scattare, ndr.) L’affronto tranquillamente, conoscendo buona parte dei giocatori. Anzi, con alcuni di loro c’è un grande rapporto di amicizia da anni. Quando sono a bordo campo, cerco di fare emergere il loro lato umano, non tanto quello da giocatori.
Ami viaggiare. Il tuo ultimo programma Il Ricco e il Povero è infatti, basato anche su questo. Quanto cambia la mentalità viaggiare?
Credo si nasca con l’attitudine al viaggio. Di sicuro crescendo la si affina. Sin da ragazzino ho avuto la passione di andare in giro, di scoprire posti, cultura e persone diverse da me.
Qual è la meta dove andare almeno una volta nella vita?
Nuova Zelanda, Islanda o Azzorre. Sono le migliori realtà paesaggistiche che abbia mai visto. Sicuramente la Nuova Zelanda è più completa ed è quella dove ho più ricordi. L’Islanda e le Azzorre hanno dei paesaggi che sono quasi fantascientifici dalla bellezza. E’ impossibile sceglierne solo una. Da vedere tutte e tre. Assolutamente.
Il posto dove non andare mai?
Cuba. Ci sono stato di recente. E’ un discorso molto complesso che non si riuscirebbe a riassumere in una risposta. E’ un’isola in cui qualcuno ha giocato con il popolo e lo ha reso schiavo. E lo è tutt’ora. Non incoraggerei un sistema del genere andandoci a fare il turista.
Quali sono i tuoi gusti musicali?
Vengo dal Metal, cresco in parallelo con Punk e Grunge, interessandomi poi all’hip hop e al mondo rap. Ho sempre sentito tutto. Avendo adesso amicizie che cantano in gruppi hip hop, rock, indie etc. mi viene spontaneo ascoltare ancora di più ogni genere musicale. Non mi precludo nulla. C’è tanta bella roba, ma c’è pure tanta ‘monnezza.
Dopo il torneo cosa farai?
Sicuramente tanto lavoro. Ho tanti progetti da continuare e da terminare. Non sarà un momento di riposo. Riposare è difficile quando il tuo lavoro è la tua passione.
HEY ROSSELLA BLINDED! WHAT’S IN YOUR TOUR BAG?
di Federico Ledda
E’ di Milano, ma sta conquistando tutto il mondo con i suoi sick beat. Lei è Rossella Blinded: professione deejay o, come direbbe Fatty Wap: trap queen. E’ proprio così che si descrivere al meglio Rossella. Definita uno dei prodotti più interessanti in uscita dall’Italia, la deejay è anche speaker radiofonica. La potete sentire su Bass Island Radio, la radio Drum n Bass per eccellenza. Molti sono stati gli ospiti con la quale Rossella ha avuto a che fare, tra cui Flux Pavillion e Borgore. Reduce dal suo primo tour americano abbiamo sbirciato dentro la sua tour bag, ecco i suoi musi have!
Adidas Originals SST Track Metal Jacket
Adoro Adidas da una vita e questa track jacket è perfetta sia da usare quando sto suonando o facendo il soundcheck nei locali più freddi oppure come una giacca stilosa quando esco la sera o durante il giorno!
Questi capi per me sono essenziali per due ragioni. Primo per dare un tocco femminile ai miei outfit quando suono. Secondo per tutte le volte che trovo una palestra in hotel e posso approfittarne per fare yoga o allenarmi, il materiale di cui sono fatti è unico e ha una flessibilità e leggerezza mai vista!
THE BEST FROM HAUTE COUTURE SS17
È terminata ieri la settimana dell’Haute Couture di Parigi, durante la quale si è presentata la Spring Summer 2017. Dalle passerelle, attraverso i vari stili dei brand, è emerso un filone comune: stupire. Stupire con estrema eleganza, come ha saputo fare Alexis Mabille, Valentino e Galia Lahav. Stupire con opulenza come è stato per Guo Pei o, andare completamente contro tendenza presentando una collezione vera, sincera, come ha fatto Demna Gbasalia per VETEMENTS. Ecco i dodici migliori look secondo The Eyes Fashion.
GREEN DAY DESTROYED MILAN
di Federico Ledda
Concerto epico quello tenutosi sabato dai Green Day a Milano. Uno show rivoluzionario, ispirato a Revolution Radio, loro ultimo album uscito lo scorso ottobre.
È stato tutto perfetto, curato nei minimi dettagli. Perfino il warm up era grandioso e, soprattutto, semplice. Bohemian Rapsody a tutto volume. È bastato questo e l’aiuto di un coniglio-mascotte viola gigante a caricare la folla a dovere prima dell’arrivo della band. Lo show è durato oltre due ore, e ha percorso la storia della band attraverso i brani storici come “Basket Case” e “Holiday”, oltre a quelli dell’ultimoa fatica. I Green Day sono formidabili, specialmente grazie a Billie Joe, il front man e instancabile talento. Per due ore nette suona senza nemmeno una pausa. Salta. Corre. Canta, perfettamente. Interagisce. Eccome se interagisce! Invita i fan sul palco, li fa cantare e poi buttare con dei divertenti crowd surfing e ad una fortunata regala pure la sua chitarra, dopo averla scelta per suonare la durante “She”.
Nella scaletta non sono mancate nemmeno le cover come Satisfaction dei Rolling Stones e la travolgente Shout degli Isely Brothers. Bellissimo l’omaggio a George Michael con l’esecuzione dell’intro di “Careless Whisper” da parte del sassofonista della band. Lo show ha chiuso con American Idiot, prima di un encore acustico da parte di Billie. La band tornerà a suonare in Italia questa estate, affrettatevi!
MAKE THE EYES FASHION GREAT AGAIN!
È tempo di cambiare musica.
E’ il proposito principale di The Eyes Fashion per il nuovo anno. Siamo cresciuti. Sono cresciute le persone che credono in questo progetto, e sono cresciuti anche i lettori. Per numero ed età.
La scelta di iniziare il 2017 senza soggetti in copertina, è una decisione coraggiosa, ma voluta con determinazione. Una scelta di evoluzione.
Lo strillo “Make The Eyes Fashion great again“, fa infatti il verso al più noto slogan di campagna elettorale utilizzato dal, purtroppo, nuovo presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump. Gli ultimi mesi dello scorso anno non sono stati facili per il mondo intero che, oltre alla Trump-presidenza, ha visto spegnersi tante icone musicali che da sempre hanno influenzato l’espressione artistica del magazine e, più nel profondo, di tutti .
Serviva quindi una nuova rinascita: a new beginning tanto per stare in tema.
Per rendere The Eyes Fashion great again, ci impegneremo tanto, e tanti saranno i cambiamenti.
Aspettatevi tutto. Non aspettatevi niente.
Federico Ledda
Hello Sem&Stènn!
Eleganza, fashion e buona musica. E’ questo il mix perfetto creato dal duo che sta facendo impazzire e ballare tutta la nightlife milanese e non solo. Con la loro musica Sem&Stènn stanno riuscendo a trasmettere un nuovo messaggio di unità e di parità farcito con musica prodotta in modo impeccabile. Gli abbiamo conosciuti fuori dal concerto di Dua Lipa e ci hanno catturato con la loro musica!
Come nascono Sem&Stènn?
Nasciamo nel lontano 2006, conoscendoci in un blog di musica, quando praticamente uscivamo dalla scuola materna. Nel 2011 ci incontriamo (finalmente) fisicamente a Milano, dove sboccia l’amore e ci trasferiamo per studiare e lavorare. Da li a poco è emersa timidamente la voglia di fare musica insieme. Ci iscriviamo al corso di Electronic Music Production, in NABA. In occasione di una festa dell’Accademia ci troviamo per la prima volta una console davanti per fare un djset di fronte a un centinaio di persone. Non avevamo mai pensato all’idea di fare i dj, eravamo li per imparare a produrre. Pur non conoscendo il 90% dei tasti di quella macchina è andata discretamente bene e ci siamo divertiti molto. Pensavamo che, finché non avessimo pronte delle nostre produzioni, potesse essere un modo carino per condividere la nostra musica. Da li si sono presentate diverse occasioni. Poco meno di due anni fa abbiamo preso in mano la nostra tastiera midi e avevamo capito che era il momento giusto di fare la nostra musica.
Quanto la cultura pop influenza la vostra musica?
Siamo noi stessi fatti di sostanza pop. Essere pop spesso è una pessima nomea, come se si fosse cheap, banali, o meno “arte” . Molti artisti si distaccano da questo attributo, quasi inorriditi. A noi non dà fastidio, anzi. In realtà essere pop, e farlo bene, è difficile, richiede capacità di rinnovarsi, di trovare ispirazioni nuove ogni volta, di soddisfare un pubblico molto più ampio. Il pop non è tutto per noi, c’è anche dell’altro, in realtà c’è un po’ di tutto. Nel momento di produzione ci si muove d’istinto e il risultato finale non sai bene da dove venga…ma sai che l’hai fatto tu.
Il vostro duo nasce a Milano. Altre città che vi ispirano?
Abbiamo avuto la possibilità di viaggiare poco, a dire il vero. Ma sicuramente, ragionando per immaginari, direi New York – se ci fosse una macchina del tempo che ci riportasse a fine degli anni ’70, con il boom della DiscoMusic, la nascita del Vogueing e della Black Music, ancora meglio – e Parigi, per lo scenario di musica elettronica contemporaneo che ammiriamo molto.
Che musica influenza maggiormente il vostro sound?
Il nostro album celebra la nostra identità e come tale ha qualche rimando agli anni ’80, ma anche alla scena dance dei primi anni ’90 e a quella elettronica del nuovo millennio. E’ di grande ispirazione il Synth pop degli anni ’80, la musica elettronica francese e quella nord-europea di artisti come i Pet Shop Boys, Depeche Mode, Basement Jaxx, Robyn, Sebastian, MGMT, Years & Years, Daft punk e molti altri.
Partirà un tour del vostro progetto?
Siamo in fase di programmazione. Molto presto annunceremo le prime date. Nel frattempo, usciranno i remix di Baby Run e Jewels&Socks. E’ stato bello collaborare con altri produttori e sentire i nostri brani mescolarsi con nuovi sound.
Photographer: Jusher Avain
Styling & Make Up: Pablo Garcia, Ignacio Muñoz
ROSE VILLAIN IN ITALIAN PSYCHO
Di chi è la voce ammaliante che canta insieme a Salmo nel suo ultimo singolo Don Medellín? Chi sentendo la canzone, o magari, vedendo il video non si è posto questa domanda almeno una volta? Il video, che su YouTube ha raggiunto oltre tre milioni di visualizzazioni in sole due settimane, vanta la collaborazione di un volto fresco, nuovo. Il suo nome è Rose Villain, è del 1989, di Milano e vive a New York. Abile nello scrivere si sta facendo conoscere per l’originalità dei suoi testi che insieme a degli arrangiamenti cosmici la rendono di rilevanza internazionale. Per adesso ha rilasciato due canzoni sul suo canale VEVO: ”Get The Fuck Out Of My Pool” e ”Gheisha”. The Eyes Fashion l’ha incontrata per capire meglio chi è e qual è il suo background. Per farlo però le abbiamo fatto interpretare una nuova versione di Patrick Bateman, protagonista di American Psycho, suo film preferito.
Si sa ancora poco su chi è Rose Villain. Racconta chi sei, Rose Villain è il tuo vero nome?
Il mio vero nome è Rosa ma fin da piccola mi chiamano tutti Rose, colpa di Titanic. Villain invece viene dal nome di una cover band punk che avevo a Los Angeles, The Villains e, alla Ramones, avevo assegnato a tutti il cognome.
Sei di Milano ma vivi a New York, come ci sei arrivata?
Appena dopo il liceo mi sono iscritta al conservatorio di musica di LA. Poi, dopo qualche anno, ho fatto studi di teatro e musical a Broadway e mi sono innamorata di NY, dove vivo da sette anni.
Quali sono le differenze più grandi tra l’Italia e l’America? So che è sbagliato chiedertelo, ma dove ti senti a casa?
Mi sento a casa a NYC. Sono cresciuta a Milano ma le vere esperienze le ho fatte lì: casa da sola, lavoro, musica, amore… l’italia è un gioiellino tra cibo, natura e città, davvero unica. New York, che è molto diversa dal resto dell’America, è un centro pulsante di ambizione, energia e passione. In Italia manca un po’ la morsa ma in America manca un po’ la cultura.
Come è iniziata la tua carriera? Che tipo di collaborazione c’è con Machete?
Sono un paio d’anni che scrivo pezzi con producer americani ma, finché non ho incontrato a Manhattan l’italianissimo Sixpm, il mio producer, non ho trovato il mio suono. Lui ha veramente capito chi sono, cosa voglio trasmettere e ha trasformato le mie idee in musica. Infatti mi ci sono fidanzata. Tramite lui ho iniziato a registrare alcuni pezzi negli studi Machete ed è nata una bella sinergia: in Italia mi rappresentano loro.
Ti sei fatta conoscere dal mondo rilasciando “Get the fuck out of my pool”, “Geisha”, e ora la collaborazione “Don Medellín” con Salmo. Qual è il processo di nascita di una tua canzone?
Inizio sempre da un concept, un titolo che spesso è suscitato da sogni, immaginari, film e libri. Mi piacciono il pulp e l’horror, il kitsch e l’eleganza, e ogni pezzo deve essere bilanciato alla perfezione come una ricetta.
Qual è la risposta che sta dando il pubblico alla tua musica? Da dove arriva il maggiore supporto?
Beh, devo dire che ho l’approvazione di molti. Sono molto felice che si sia capito che voglio fare qualcosa di grande ed eventualmente portare in italia una ventata di internazionalità. Su Spotify i maggiori ascolti arrivano dagli USA, da Hong Kong e dal Brasile.
Hai di recente dichiarato di avere firmato un contratto con Universal Europa, what’s next?
Eh, adesso inizio a farmela sotto. Lavoreremo un paio di singoli, probabilmente GTFOOMP per primo e verrà spinto in tutta Europa. Germania, Francia, UK si alleano per la terza guerra “musicale”.
Cosa significa per te essere la covergirl del mese di dicembre di The Eyes Fashion?
È la mia prima copertina, quindi The Eyes Fashion rimarrà nel mio cuore e se faccio il botto vero rimarrà nella storia!
WHEN VANS MEETS TOY STORY
Vans, il marchio di scarpe e abbigliamento sportivo dallo stile unico, celebra i personaggi originali del film d’animazione Toy Story nella sua nuova collezione firmata Toy Story Disney•Pixar. Un omaggio ai giochi preferiti di Andy nell’ampio assortimento di calzature per adulti e bambini, oltre a capi d’abbigliamento e accessori per le prossime vacanze.
Toy Story debutta nel 1995, affascinando generazioni di bambini e famiglie in tutto il mondo con le avventure di un gruppo di giocattoli che si animano quando gli adulti non sono presenti. Vans ripercorre le nostalgiche dinamiche fra i personaggi principali del film, Sheriff Woody, Buzz Lightyear e il loro gruppo di amici, in un’esclusiva collezione di calzature, abbigliamento e accessori.
Vesti i panni di Buzz Lightyear, lo space ranger dello Star Command, grazie alle Sk8-Hi Reissue! Indossa questo paio a luci spente e vedrai stelle e decorazioni illuminarsi al buio! I fan Disney•Pixar potranno sfoggiare il loro look Buzz Lightyear personale con il modello Old Skool, realizzato con tomaie in pelle bianca e verde, in tinta con la tuta spaziale di Buzz. Guardale da vicino e scoprirai le viti decorative disegnate a mano, gli occhielli colorati e la suola viola tono su tono.
La collezione Toy Story Disney•Pixar di Vans sarà disponibile a partire dal 29 novembre online e negli store europei di Vans oltre che sullo store online di lifestyle leader nel mondo YOOX.
WITHOUT PLACEBO I’M NOTHING
Ieri sera a Milano si è svolto uno dei concerti più attesi di tutta la stagione: quello dei vent’anni di carriera dei Placebo.
Live celebrativo per festeggiare ”il loro compleanno” come Brian Molko e soci hanno definito più volte durante la serata, è stato uno show con la quale il titolo del loro ultimo disco, un best of, si sposa benissimo: ”A Place For Us To Dream”, e così è stato.
Lo show è durato oltre due ore, e la scaletta è stata un viaggio che ha fatto sognare i numerosi fan. La setlist, iniziata con ”Pure Morning” e finita con la cover di Kate Bush ”Running Up That Hill”, ha anche saputo sorprendere con canzoni come ”Space Monkey” e ”Without You I’m Nothing” che la band non eseguiva dal vivo da tempo, ma c’è stato tempo anche per le loro hit più famose come ”Special K” e ”Bitter End”.
Il concerto è stato uno show fatto bene, quasi impeccabile, come non se ne vedevano da tempo. Si vede che la band non ha perso la passione, così come non la hanno persa i fan che hanno cantato dalla prima all’ultima parola.
La promessa di Molko è stata quella di tornare con il prossimo tour, noi ci speriamo.