LA FINESTRA DI ANNALISA

di Federico Ledda

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È senza dubbio la cantante italiana del momento, e la vincitrice morale dell’ultima edizione di Sanremo, il festival della canzone italiana più importante di sempre. THE EYES FASHION ha incontrato Annalisa, fragile e carismatica cantante che dopo la scuola di Amici di Maria de Filippi di strada ne ha fatta, riuscendo a far diventare il suo ultimo successo “Una Finestra Tra le Stelle” disco d’oro, e le date del suo tour imminente quasi completamente SOLD OUT. Potevamo quindi farci scappare l’occasione di cercare di capire la chiave del suo successo?

Hai da poco finito l’esperienza Sanremese, com’è andata?
Bene! Sono molto contenta soddisfatta! E’ stata una bella settimana, al di là delle tensioni, è stato divertente! C’era un’atmosfera positiva, forse perché anche con gli altri cantanti ci si conosceva meglio, e quindi eravamo più a nostro agio.

Che cosa è cambiato dalla volta precedente?
Non lo so! Sicuramente io sono maturata. Ho notato anche una diversità nella situazione che mi circondava, mi sono davvero divertita!

Sei diventata nota al pubblico grazie alla partecipazione in Amici di Maria de Filippi. Quanto pensi che questo abbia influito sulla tua carriera?
Amici ha influito perché se non ci fosse stato io non sarei qui. E’ stata la mia prima porta aperta sul mondo della musica vera. Vera nel senso che avevo comunque già i miei progetti e la mia band, ma era sempre una battaglia per arrivare a fine mese; non avrei mai potuto vivere solo di questo. Amici è stata la prima occasione, l’inizio di un vero e proprio percorso.

Sei arrivata al tuo quarto disco, il primo in cui le canzoni a scriverle sei stata tu. Quali sono state le differenze che hai riscontrato nel lavorare a un album molto più intimo rispetto agli altri?
Questo disco si potrebbe definire quello della maturità! Diciamo che dopo un periodo a interpretare i pezzi degli altri ho deciso di tornare alle origini, portando sul palco le mie parole e i miei sentimenti. Alle origini perché in realtà è da quando ho quattordici anni che scrivo musica. Quindi sono solamente ritornata al mio approccio istintivo, quello che mi completa. Infatti sento ”Splende”, il mio ultimo disco, molto più mio rispetto agli altri, perché mi rappresenta al 100%.

Durante la serata delle cover, a Sanremo, hai deciso di cantare ”Ti Sento” dei Matia Bazar, come mai proprio questa scelta?
Ho deciso proprio questa canzone, perché oltre a piacermi da impazzire, volevo cantare una canzone nota, scegliere un pezzo che cantassero tutti, dalle persone in sala a quelle a casa, e ”Ti Sento” è proprio così: la sanno tutti.

Hai di recente collaborato con Raige per il brano ”Non Dimenticare (Mai)”. Come è accaduto?
Sia io che Raige siamo sotto etichetta Warner Music, e l’estate scorsa abbiamo fatto insieme il tour delle radio; cioè, io con la mia canzone, e lui con la sua, andavamo in giro dentro un pullmino stile ”Gruppo Vacanza Piemonte” per promuovere i nostri pezzi nelle radio. Ci siamo legati, abbiamo chiacchierato un sacco, e da lì, dal rapporto che si è creato, abbiamo deciso di fare un pezzo insieme. E’ stato un incontro a metà strada, non lui che si è avvicinato al mio mondo, e non io al suo. E’ stata una cosa paritaria, uscita davvero bene secondo me!

Come vedi il mondo dell’hip hop? Ti interessa?
Il rischio quando a volte ti avvicini per collaborazioni a mondi diversi dal tuo, è quello di rischiare di fare cose che non c’entrano con te o con la tua strada, bisogna quinidi stare attenti a questo. Se potessi collaborare ancora con la stessa sensibilità con la quale è stata fatta ”Dimenticare (mai)”, perché no?

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WTF??? – #3 – DIECI COSE RANDOM DA FARE NELLA VITA

di Ludovica Borzelli (http://www.belou.wtf/)

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A chi non è mai capitato di annoiarsi così tanto da cercare su Google “Cosa fare quando si è annoiati”? Il problema è che i risultati di una ricerca del genere sono sempre banalissime proposte del tipo: “Metti a posto la casa”, “Vai dal parrucchiere”, “Gioca a solitario”, “Vai a fare una passeggiata”, “Taglia le unghie al gatto”, “Aiuta la nonna a cercare la dentiera” e cose del genere. Divertimenti apocalittici, insomma. O, ancora peggio, sono cose impossibili da fare, come per esempio: “Compra un canarino e insegnagli a ruttare”. Qualche giorno fa, allora, ho deciso di modificare la mia ricerca Google e scrivere “Cose stupide da fare”; ho scoperto un mondo. Dunque ho selezionato per voi le dieci cose più demenziali, anti-noia e semplici da realizzare tra quelle che ho trovato. Enjoy!

1. Entrare in un ascensore affollato e dire: “Vi chiederete perché vi abbia riuniti tutti qui oggi”.

2. Salire su un tram e spiegare le procedure di sicurezza di volo fingendo di essere una hostess

3. Indicare una persona e gridare: “SEI UNO DI LORO!”, dopodiché scappare in preda al panico.

4. Tenere aperte le porte dell’ascensore dicendo di star aspettando un amico, per poi lasciarle chiudere dopo qualche secondo esclamando: “Ehilà, Claudio! Allora, com’è andata?”.

5. Ordinare una pizza tre minuti prima di Capodanno e, una volta arrivata, rimproverare il ragazzo delle consegne dicendogli: “Dannazione, ma quanto ci avete messo?! L’ho ordinata un anno fa!”.

6. Comprare una ciambella e lamentarsi con il barista del fatto che sia bucata.

7. Andare all’IKEA, nascondersi in un armadio e, quando qualcuno lo apre, dire con tono misterioso: “Benvenuto a Narnia”.

8. In un museo, davanti a un dipinto o a una statua, iniziare a parlare con il soggetto dell’opera come se vi stesse affidando una missione.

9. Entrare da Burger King e chiedere indicazioni per arrivare al McDonald’s più vicino.

10. Vestiti in maniera eccentrica, fermare una persona per strada e chiederle che anno sia. Aspettare la risposta e poi esclamare esaltati: “Ha funzionato!”, scappando via. Se avete trovato il coraggio di farne qualcuna, raccontatemi com’è andata!  E che la noia non sia con voi.

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Birdman, la birra, la Marvel e la merda

di Luca Rivolta

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Oggi si cambia registro, niente recensioni, o meglio niente lodi. Solo critiche. E non ci abbasseremo a parlar male di Hunger Games (“ma cosa dici, ha una trama e una colonna sonora bellissima” – classica bimbaminchia di età compresa tra i 14 e i 22 anni), né tanto meno 50 sfumature di grigio (“ma cosa dici, hai una mente chiusaaa” – classica bimbaminchia di età compresa tra la pubertà e la menopausa). Tutti film per donne, casualmente (“ma cosa dici, il mondo è bello grazie alle donneee” – qualsiasi bimbominchia di qualsiasi sesso ed età). In realtà volevo buttar dentro in questa lista di esempi anche Italiano medio, solo che è un film che fa schifo anche alle donne quindi niente, non avrei potuto fare la mia esilarante battuta misogina.

Oggi si parla male di Iron Man. Di tutti e tre eh. E anche di Capitan America, di Avengers, di Spiderman, di The Amazing Spiderman, ma anche di roba della DC, come Man of Steel e tutto il resto. No di Batman no, è un caso a parte. E neanche dei Guardiani della Galassia, che è fico. E non voglio parlarne male a caso, tanto per parlarne, come si fa di solito. Capiamoci subito, penso ci sia una sostanziale differenza tra questi film e tutto quello schifo che passa nei multisala. Ammetto di essere io il primo ad andare a vedere tutti i film dei supereroi, complice la vicinanza del Cinema, le sere svogliate, e forse la mancanza di accettazione della società per chi si fa di droghe pesanti. E mi diverto anche magari. Ma non si può elevare certe pellicole a qualcosa di degno di nota o “fico”. Perché saranno anche bei film, ma rimangono merda. E ok, non sono merde brutte, ma capite benissimo che non si può ritenere soddisfacente qualcosa che è una bellamerda. Se devo scegliere tra fico, bellamerda e merdabrutta, è ovvio che scelgo fico. Si potrebbe star ore a parlarne. Sono film curati, buona Regia, buoni dialoghi, ottime scene d’azione ed effetti speciali, spesso anche gli attori non sono niente male. Niente è niente male, il che significa che niente impressiona. Non rimane niente, non colpisce niente. Sono come una Heineken. A tutti piace la Heineken, bambini, vecchi, le stesse sopracitate donne che guardano 50 sfumature di grigio. Ma una volta che hai finito la tua 33, cosa ti è rimasto? Non hai neanche un accenno di ebbrezza, non ti è rimasto niente del sapore. Sì anche la Heineken è una bellammerda.

E non ce l’ho con Hollywood, diciamo che si è fatto perdonare: ha partorito questo mezzo capolavoro, Birdman, un film che parla male del cinema e nello specifico dei supereroi e della critica, mentre eleva ad un livello superiore il teatro. Porca paletta, chi se lo sarebbe mai aspettato che avrebbe vinto l’oscar. Apro e chiudo subito la parentesi, non penso che sia un prodotto commerciale ideato per vincere premi, ma era scontatissimo che fosse destinato a vincere, è un film che parla di Cinema, e ne parla alla gente del Cinema. E Hollywood sentiva nel profondo questa necessità, doveva restituire questi infiniti milioni di incassi ottenuti grazie alla varia bellamerda. Alla fine, da che mondo è mondo, i produttori inseguono i soldazzi. Non penso sia giusto prendersela con loro, penso che la vera critica vada fatta a noi. Non pretendo un’inversione di quello che sta succedendo adesso, è chiaro che un Boyhood non possa riempire una sala più di quanto lo faccia un Thor, e per carità tutto il mondo dei fumetti ha un suo perché. È che al giorno d’oggi, è davvero difficile, se non su internet, riuscire anche solo a parlare, e spesso a vedere certe cose. E certo, le colpe sono dei multisala, che non li trasmettono, o lo fanno per brevi periodi, e dei vari Media, che spingono solo ciò che ha una facile presa sulla massa. Ma prima di tutto la colpa è nostra, di tutti: nessuno pretende che vi impegnate socialmente per cambiare il mondo, ma solo di cambiare voi stessi, e in minima parte. Insomma, bevetevela la vostra Heineken, ma cercate di non essere delle merde, né belle né tanto meno brutte.

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CHARLI XCX – A CHAT WITH THE LONDON QUEEN

di Federico Ledda
foto Alessandro Levati

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Rompere gli schemi della musica pop è davvero difficile, sicuramente non un’impresa da tutti i giorni. E’ questa la missione che sta compiendo Charli XCX, impavida hitmaker classe 1992, che con la sua sincerità estrema e sopra le righe sta continuando a sfornare un successo dopo l’altro Boom Clap, Break The Rules, e la più recente Doing It, con la sua connazionale Rita Ora.

E’ anche dietro ad enormi successi quali Fancy con Iggy Azalea e I Love It delle Icona Pop, dove oltre a prestare la sua voce, il pezzo l’ha anche scritto.

L’abbiamo incontrata nel backstage del PRISMATIC WORLD TOUR di Katy Perry, colossale tour nella quale è opening act; e abbiamo parlato del suo ultimo disco SUCKER, dei suoi successi e della sua vita.

Signore e signori, CHARLI XCX.

Boom Clap, poi Break The Rules e adesso Doing It! Innanzi tutto, come stai? Ti aspettavi un successo così enorme?
Non mi sono mai aspettata niente a dire il vero! Ho sempre fatto musica principalmente per me stessa, il fatto che poi alla gente piaccia o meno, non è affar mio. Sono contenta che la risposta sia positiva, trovo sia fantastico essere in tour e fare tappa in posti così diversi tra di loro, con persone che prestano davvero attenzione a te, e alla tua musica, e che condividono il tuo messaggio.

Sono molto colpito da SUCKER, davvero, trovo che sia uno dei dischi più interessanti, in ambito pop degli ultimi anni. E’ stato difficile conciliare testi forti e sinceri come i tuoi con l’industria del pop?
Quando mi sono messa a scrivere questo disco, ho deciso di buttare fuori tutto quello che non ho detto nei precedenti, senza fare compromessi con nessuno. Non ho mai scritto un pezzo per fare piacere a qualcun altro, ho sempre scritto solo per fare del piacere a me stessa. Sono molto egoista in questo.

Quali sono le differenze tra Sucker e il tuo precedente album True Romance?
True Romance è un disco molto più malinconico, timido e misterioso… se fosse un colore sarebbe sicuramente il viola; SUCKER, invece, è come un pugno in faccia… è pericoloso, è aggressivo, è selvaggio, sicuramente sarebbe un rosso acceso, o un rosa shocking. Diciamo che True Romance era molto più dolce come lavoro, mentre questo invece è molto più… stronzo. (ride ndr)

Qual è la canzone del disco alla quale sei più legata?
Sono indecisa, probabilmente sono due: la prima è di sicuro Sucker… Perché dico vaffanculo talmente tante volte che diventa terapeutico cantarla. Parla dell’industria musicale e delle mie esperienze fino ad ora in quel mondo, è praticamente un grandissimo dito medio a tutto e a tutti. L’altra è invece Need Ur Luv, che è la canzone più romantica e soft del disco. Queste due perché sono un ottimo contrasto tra di loro.

Hai scritto innumerevoli hit di successo, tra cui ”I Love It” per le Icona Pop. Come mai hai scelto di dare una canzone con quel potenziale a qualcun altro?
Quando ho scritto I Love It, era una canzone che mi piaceva molto, ma che non sentivo mia. Appena l’ho proposta alle Icona Pop, e gliel’ho sentita cantare, non avevo dubbi: era la canzone perfetta per loro. Sono davvero contenta che gli sia piaciuta.

In questo periodo sei in tour con Katy Perry: come mai un’artista con già all’attivo tre album, ha deciso di diventare l’opening act di qualcun altro?
La proposta è arrivata nel pieno della popolarità di Boom Clap; ho accettato per avere la possibilità di far conoscere la mia musica a un pubblico più vasto, così da poter fare crescere anche la mia fanbase. Inoltre adoro Katy, ogni sera mette in piedi uno show che è indescrivibile, e mi permette di usare tutto il palco per il mio set… E’ motivo di orgoglio per me stare là sopra prima di lei!

Hai di recente lavorato con Lorde alla colonna sonora dell’ultimo Hunger Games, com’è stato lavorare con lei?
E’ stato bello! Non abbiamo proprio lavorato insieme a della musica, ma diciamo che mi ha più che altro istruito su come voleva che fosse il mio pezzo, essendo la direttrice artistica della colonna sonora. Tuttavia è stato fantastico, ci siamo capite fin da subito, lei voleva che facessi qualcosa di differente, di inaspettato, e io volevo creare qualcosa che desse un tocco in più alla colonna sonora. Sono una sua grande fan, è davvero una persona intelligente, che da tutta se stessa per l’arte.

Se dovessi scegliere tre canzoni che secondo il tuo gusto sono le più belle di sempre, quali sceglieresti?
Britney Spears – Piece of Me
Lou Reed – Satellite of Love
Bow Wow Wow – I Want Candy

Qual è stata la cosa più divertente che un fan ha fatto per te?

I miei fan sono davvero dolcissimi! Mi hanno comprato tantissime copie del profumo di Justin Bieber, talmente tanti che me ne porto delle boccette sempre con me! Ce l’ho anche adesso addosso. Una volta un gruppo di fan mi ha regalato un bambolotto gonfiabile a grandezza naturale di Justin Bieber completamente tatuato in tutto il corpo, pure nel pene!! (ride a crepapelle ndr) La cosa ancora più divertente è che durante il tour americano, la bambola è venuta con noi!

Ma come mai tutto su Justin Bieber?!
Non ne ho idea!!! Ho solamente detto che mi piace la sua musica, non sono ossessionata da lui, apprezzo il suo percorso musicale! Ma adoro i miei fan e quello che fanno per me, sono davvero dolcissimi!
Quando tornerai in Italia?
Spero presto! Vorrei tornare a suonarci con il mio tour da headliner… Molto probabilmente nell’inverno di quest’anno!

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DEEP INTO SOKO

image1di Federico Ledda

Fragile, introspettiva e sincera. Sono questi i tre principali elementi che caratterizzano SOKO, la sua musica, e più nel dettaglio il suo ultimo album ”My Dreams Dictate My Reality”.
SOKO, all’anagrafe Stéphanie Sokolinski, nata a Bordeaux, in Francia nel 1986, inizia a far parlare di se e della sua musica nel 2006, quando quasi per gioco, registra in camera sua, con il suo telefono una traccia dal titolo ”I’ll Killer Her”, che carica poi su MySpace. Nemmeno il tempo di rendersene conto, il video musicale del brano, diventa talmente virale da arrivare a tre milioni di visualizzazioni.

Da allora SOKO di strada ne ha fatta: ha pubblicato un EP, un album dal titolo ”I Thought I Was An Alien” dalla quale ha estratto il singolo ”We Might Be Dead By Tomorrow” diventando un successo planetario, è diventata testimonial della SS 2014/15 di Just Cavalli, prestato la sua voce a Isabella nel film ”HER” diretto da Spike Jonez, e ha appena lanciato il suo secondo disco”My Dreams Dectate My Reality”, un meraviglioso e insolente viaggio punk attraverso le sue emozioni più profonde, prodotto dal the one and only Ross Robinson, storico produttore dei The Cure, grande fonte di ispirazione per l’album di Stéphanie Sokolinski aka SOKO.

Potevamo quindi farci scappare l’occasione di conoscere più a fondo l’unica vera Punk del nostro secolo?

La prima domanda è quasi lecita: com’è stato lavorare con Ross Robinson?
E’ stato fantastico! E’ come se fosse la definizione fisica di come un produttore dovrebbe essere! Quando cerchi un produttore per il tuo disco, cerchi di avere il meglio basandoti su cosa in precedenza lui ha prodotto, ma una volta contattati la loro domanda era sempre la stessa: ”Che budget hai?”. Ecco, con Ross, è stato completamente diverso, quando l’ho contattato, la prima cosa che mi ha detto è stata: ”Quello che hai fatto da sola, è già perfetto; il mio intento sarà quello di aiutarti a rendere questo processo ancora più speciale e intimo”, e così è stato.

Quali sono le differenze tra ”My Dreams Dictate My Reality”, e il tuo primo disco?
Il primo disco è stato scritto quasi interamente con la chitarra, ed è stato un percorso che ho intrapreso da sola, mentre invece in questo lavoro, ho deciso di smetterla di essere vittima delle mie emozioni cercando di scrivere un album estremamente profondo, ma più ottimista rispetto al precedente; infatti tutte le canzoni sono state scritte con tastiere, batteria, o drum machine, a parte l’ultima, Keaton’s Song, che l’ho scritta con la chitarra.

Com’è essere punk nel 2015?
Non lo so! (ride ndr) E’ difficile descriverlo e descriversi… Cerco solo di essere me stessa e di fare il cazzo che mi va di fare; ho una forte personalità e so bene chi sono. Non sono una ribelle, ma una che non scende a compromessi, che è così perché l’ha deciso, non perché glielo ha imposto qualcuno.

I tuoi sogni dettano veramente la tua realtà? (In riferimento a My Dreams Dictate My Reality)
Sì. In migliaia di modi! Ho sempre avuto una forte relazione con i miei sogni, quando ero piccola, ogni volta che avevo un incubo qualcuno della mia famiglia moriva, quindi sono cresciuta nella convinzione che i miei sogni uccidessero le persone, concetto che è estremamente presente nella canzone ”Oceans Of Tears”… E’ la prima volta che ho trovato il coraggio di parlarne apertamente, e dopo essere cresciuta con questo peso è stato quasi una liberazione. I sogni per me hanno estrema importanza, ad esempio: dovevo trasferirmi a New York da Seattle, ed esattamente la notte prima di partire, ho sognato di trasferirmi a Los Angeles, così il giorno seguente, sono partita per LA, città in cui tutt’ora vivo.

Qual è la canzone più profonda del tuo nuovo disco?
Lo sono tutte, perché non riesco a scrivere se non dal profondo. Tutto quello che scrivo mi rappresenta a pieno, e quando scelgo di parlare in un brano di un argomento preciso, non la smetto fino a quando sono convinta di avere scritto ogni singola cosa a riguardo.

Com’è stato lavorare con Spike Jonez e dare voce a un personaggio di un suo film?
E’ stato completamente inaspettato! Stavo cenando con lui (Spike), quando mi ha chiesto di andare il giorno seguente in produzione a fare qualcosa insieme, e che mi avrebbe mandato del materiale tramite email. Era mezzanotte quando ho ricevuto la mail, e dentro c’erano tre fittissime pagine di copione e il suo messaggio: ”Riesci ad essere domani da me alle 10?” Dopo esserci andata, abbiamo scritto delle altre pagine insieme, entrambi piangevamo… E’ stata una cosa estremamente intensa, lui è il migliore!

Sei sempre in giro per il mondo, dov’è il posto dove ti senti a casa?
LA! Ma cerco di sentirmi a casa in ogni posto dove mi trovi…anche perché non ho una casa! La mia casa è la mia valigia; anche quando sono a Los Angeles, sto dalla mia migliore amica e divido il letto con lei. Quindi cerco di sentirmi a casa ovunque io sia.

Quando tornerai in Italia? Abbiamo bisogno di te!
Ne stavamo parlando giusto poco fa, speriamo il più presto possibile! Mi piacerebbe venire a suonare in Italia, sarebbe epico!

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SAN ANDRES MILANO FW 2015/16

di Federico Ledda
foto Alessandro Levati

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Spazio ai giovani e alle loro prime collezioni nell’ultimo giorno della settimana della moda meneghina. In patrocinio con la Camera Nazionale della Moda, il brand San Andrès presenta una collezione in chiave pop art, rispecchiando l’ironia della cultura moderna in una personalissima visione dell’eleganza, unita anche alla sua voglia di protagonismo, e quasi irriverenza, esprimendo un pensiero dietro na maschera di se stessi, sempre al meglio in ogni momento, dove tutto è permesso ma dove tutto passa in un istante.

Mood Stile 54 di New York, la passerella diventa un dancefloor sulla quale scatenarsi con pellicce patchwork in naunces suadenti di fucsia, bluette, giallo, rosa ed ori energici per un risultato di una ferma proposta di femminilità.

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TER ET BANTINE FW 2015/16

terDi Federico Ledda
Foto di Alessandro Levati

Collezione dai tratti femministi per Ter Et Bantine, che ha trovato ispirazione da Sara Thakral (1914 – 2009), donna indiana dallo spirito contemporaneo, tra le prime ad aver guidato un aereo agli inizi del XXesimo secolo.
Una donna determinata, amante dei viaggi avventurosi che ha creduto nei suoi sogni. Artista, madre, moglie ed un’imprenditrice, parole chiave che descrivono lo spirito moderno delle professioniste del nostro presente, alle quali Kostas Murkudis, direttrice creativa del brand, dedica la sua prima collezione.

Ispirata alle uniformi e agli abiti militari, Kostas, dà vita a una collezione di pratici abiti, ma allo stesso tempo estrememanete chic, capace di catturare la personalità multi-tasking rappresentato dalla donna di TER ET BANTINE. 

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JOHN RICHMOND FW 2015/16

di Federico Ledda
foto Alessandro Levati

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Per il prossimo autunno inverno, John Richmond decide di sfoggiare un’inedita eleganza rock-classica riuscendo a rappresentare perfettamente il giusto compromesso tra l’impronta rock del brand e una ritrovata classe, rivisitata in chiave sofisticata.

Tagli e abrasioni di cashmere, seta e pelle, con texture leopardate, disegni zebrati, dragoni e fiori, stampe geometriche in nero, turchese, burgundy e rosso sangue, impreziositi da dettagli in paillettes, frange e bordi in pelliccia, per una collezione che è quasi un’avventura sensoriale.

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ANGELO MARANI FW 2015/16

di Federico Ledda
foto Marilù Venditti

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Be sexy, and be real.
Collezione estremamente di classe e sensuale, ispirata alla seduzione delle dive del cinema degli anni 60 come Marilyn, Sophia e Silvana. Grande omaggio anche alla diva italiana per eccellenza: Virna Lisi, massimo simbolo di eleganza e seduzione secondo il brand.
Le tre X che rappresentano l’amore diventano tracciati della maglieria in fili flottanti tagliati al vivo per un effetto pelliccia. Il concetto dell’imbottitura ispira il recupero dell’orbace: storico tessuto inno del made in Italy e caratteristico per la collezione.

 

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AIGNER FW 2015/16

di Federico Ledda
foto di Alessandro Levati

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Aigner decide di celebrare i suoi cinquanta anni con un autunno inverno singolare, colorato e ricco di positive vibrations!

Collezione decisamente fresca, dai tessuti invernali, ma dai colori primaverili.
Bavaria, Cervo, e Cybill Bag sono solo tre delle borse studiate per questa collezione ricca di Glamour estremo. Grande attenzione ai dettagli, con look completati da pietre ispirate ai diamanti collocate in posizioni strategiche per grande eleganza sportiva-accattivante, elementi di pelliccia nelle scarpe, nelle acconciature, e ovviamente nelle borse, ma anche praticità espressa in pezzi come biker trousers, giusto compromesso sporty chic.

Il brand vede quindi un inverno femminile, ed elegante, per una donna dal fascino sofisticato.

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CRISTIANO BURANI FW 2015/16

di Federico Ledda
foto Marilù Venditti

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Il nuovo normale.

E’ questo il motto che caratterizza l’autunno inverno 2015 – 2016 firmato Cristiano Burani.
La ricerca di una nuova femminilità declinata in toni sportivi, come filosofia di un vestire cool, understated ma eclettico nei particolari, grazie a un’attitudine casual e metropolitana.

Una donna contemporanea, classica dal vestiario semplice ma ricercato grazie a tessuti dalla texture 3D, ampie gonne a ruota, e plissè a blocchi di colore, total look in maglia a coste con righe irregolari, e pelle plissettata, intersiata e laminata.

A completare il look calzature dal taglio classico e moderno come ankle boots con suola carrarmato in gomma e creeper shoes con frange in pelle.

Una cosa è certa: il normale non è mai stato così interessante.

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BYBLOS MILANO FW 2015/16

di Federico Ledda
foto Alessandro Levati

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Esplosione di colori per l’inverno firmato Byblos che decide di dedicare il prossimo autunno inverno all’arte moderna prendendo spunto dalle influenze di due artisti agli antipodi tra di loro come il poliedrico Tobias Rehberger, e il rivoluzionario Shozo Shimamoto, per provare a proporre una visione classica, ma futuristica della femminilità.

Esplosioni acide di colori come metafora a una collezione che è un manifesto in cui il futuro si scrive in tonalità esasperate e quasi acide, mantenendo però un tocco classico con gli immancabili bianchi e neri.

Le pieghe dei capi di gonne e abiti sono il tocco classico di questa collezione sopra le righe.
Estrema attenzione anche ai dettagli con stampe geometriche fluo all over, e grazie ai ricami e agli scambi metrici con altri tessuti , mantenendo però, una bidimensionalità continua, e uno stile perfettamente sofisticato e in linea con la ”big bang colour couture” marchiata Byblos Milano.

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LUISA BECCARIA FW 2015/16

di Federico Ledda
foto di Marilù Venditti
Elegante, sognante e risoluta. È questa la ricerca di armonia compiuta da Luisa Beccaria per l’autunno inverno prossimo.
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Tessuti tipici maschili  come il pied de poule e la vigogna, caratterizzano la collezione insieme a morbide bluse dalla stampa grafica e ad abiti in organza fil coupé. Le linee si spezzano per dare spazio a geometrie di foglie che ricamano il velluto e si stagliano su morbide gonne dal taglio svasato.
Il grafismo si traduce in drappeggi dall’ispirazione quasi astratta che da ispirazione a tutta la collezione.
I colori percorrono palette cromatiche ispirate alla città e alla natura creando un mix cromatico tra diverse sfumature del blu con intervalli di verde e panna. La sera a fare da protagonista è invece il rosa cipria e l’oro per una donna sempre elegante.

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PHILIPP PLEIN FW 2015/16

di Federico Ledda
foto Alessandro Villa
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Si sa, ormai le sfilate di Philipp Plein sono fatte per stupire non solo con le collezioni sempre estreme e sopra la righe, non solo con le super special guest ricercatissime ma anche con enormi scenografie al di sopra dell’immaginario comune. Dopo un casinò, una base militare, l’interno di un acquario e il ring di un combattimento di MMA, signori e signore Philipp Plein ha creato le sue personali MONTAGNE RUSSE.
Immaginate una passerella gigantesca con nel mezzo delle originalissime montagne russe con tanto di led e logo “PP” sulle carrozze.
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La collezione cerca di seguire lo stesso filone di quella presentata a gennaio per la moda uomo, ovvero: #PLEINWARRIORS, cioè i guerrieri di Philipp Plein, dallo stile sfrontato, forte, sofisticato, ma soprattutto fuori dagli schemi.
Una fall winter strutturata da colori essenziali ed unici quali il bianco, il nero e un tocco di arancione.
Hanno sfilato solo scarpe basse che completavano i look dei vestiti con spacchi laterali vertiginosi, pellicce rivisitate come se fossero magliette da basket, e jogging pants in coccodrillo.
Curiose sono state le sneaker con la suola che si illuiminava stile anni 90.
Ospite d’eccezione Azealia Banks che ha intrattenuto gli invitati con il suo pezzo Heavy Metal And Reflective.
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GENNY FW 2015/16

di Federico Ledda
foto Marilù Venditti
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 Genny ha portato in passerella una sofisticata e seducente atmosfera ispirata all’antico Egitto.
La direzione artistica di Sara Cavazza presenta una collezione fatta di stampe che raffigurano gocce di olio, ricami e motivi jacquard disegnando elementi della natura come segno distintivo di un autunno inverno elegante e sofisticato.
Silhoutte fluide in velluto di seta, dove  abiti in velluto di seta, fanno da sfondo a una collezione ricca di capi spalla avvolgenti, di tailleur in jacquard e gonne in fil coupé bicolore.
Per Genny sarà sicuramente un inverno elegante e sensuale.
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WELCOME TO KATYLAND

di Federico Ledda
foto Alessandro Levati
KATY PERRY's PRISMATIC WORLD TOUR - Milan

Katy Perry
Potremmo tornare a rivivere ciò che è accaduto la scorsa notte? Sembra un sogno, eppure ieri sera a Milano c’è stata l’unica tappa italiana del PRISMATIC WORLD TOUR marchiato Katy Perry. Parole troppo lungimiranti? Lo credevo anch’io prima di aver visto il concerto dal vivo. Il live si presenta come un vero e proprio show studiato per appassionare, divertire e stupire il pubblico; a partire dall’opening act, che non poteva essere che il meglio del meglio, ovvero CHARLI XCX, pop star inglese che conosceremo meglio sul numero di marzo di The Eyes Fashion. Subito dopo l’inglese, la pedana della passerella del palco si è alzata, diventando una piramide di led, e tra urla, luci e fumi, è spuntata  una raggiante KATY PERRY che con la sua ROAR ha rapito un estasiato pubblico che comprendeva, tra gli altri, Jeremy Scott, Anna dello Russo e Fausto Puglisi.

Katy Perry

La prima parte dello show è andata via in un soffio, ma nonostante questo lo spettacolo è andato di bene in meglio proseguendo con la cantante americana, che, cavalcando un cavallo d’oro per la sua DARK HORSE, ha sfoggiato un un look completamente diverso da quello precedente.
Il concerto prosegue, e dopo almeno altri tre cambi termina.

Katy Perry

È stato un live epico sotto tanti aspetti, innanzitutto lo è stato per l’interazione dell’artista con il pubblico, ma anche grazie ai ballerini, ai musicisti, alla scaletta, ai costumi, alle luci, ai fans e soprattutto: al mastodontico palco a forma di piramide che coinvolgeva l’intero Mediolanum Forum.
Katy Perry si è dimostrata una vera e propria performer sapendo riuscire a divertire anche i più scettici. Il PRISMATIC WORLD TOUR è davvero per ogni età e per ogni genere di persona, mai scontato, sempre spumeggiante e sbalorditivo. Da vedere.

Katy Perry

Katy Perry

 

Katy Perry

MOVIE OF THE MONTH: DRIVE

di Luca Rivolta

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Eccoci qui al solito appuntamento cinematografico. Oggi tratteremo di un film del 2011, diretto da Nicolas Winding Refn, interpretato da Ryan Gosling, vincitore a Cannes per la miglior regia: Drive.

E la domanda è sempre la solita: perché spacca? Ovviamente anche la risposta è la solita: boh.

Per chi non ne avesse neanche mai sentito parlare, non è un film spazzatura stile Fast And Furious, non c’entra davvero nulla. Il ruolo di pilota è marginale al fine della pellicola. O meglio, la trama è ovviamente sviluppata sulle azioni del protagonista, tutto ruota intorno al pilota, ma come suggerisce il titolo, la guida è solo uno degli aspetti, quello più visibile, quasi un travestimento; infatti la parola drive significa anche motivazione, impulso, ma soprattutto piantare, ficcare, basti pensare all’ultima scena.

Molto brevemente: il pilota, di cui non viene rivelato il nome, lavora come meccanico in un’officina, oltre che fare lo stuntman part-time e l’autista per rapine. Si innamora della vicina, proprio mentre gli si apre una finestra che gli permette di entrare a far parte di un campionato automobilistico. All’improvviso, a causa di una serie di eventi quasi fortuiti si ritrova sua malgrado immischiato in un affare di mafia. Come spesso accade nei film trattati in questa rubrica, non è la trama ad attirare: tutte cose già viste un miliardo di volte in un miliardo di film. La prima cosa che colpisce è lo stile del protagonista. Grandi meriti a Ryan Gosling; è risaputo, prendete un fico della madonna, fatelo dirigere da un regista con delle buone idee, e sbam, personaggio dell’anno. La prima peculiarità che salta all’occhio, oltre alla fichezza ovviamente, sono i silenzi. Tutti i personaggi gli parlano e lui, silenzio. Al massimo un cenno col capo. Del tipo che si passa metà del film a urlare “RISPONDIGLIII”, ma una volta superato questo blocco ci si accorge che è in perfetta linea con il personaggio. Nella prima fase del film, quest’aspetto del personaggio fa molto assomigliare la pellicola a “Lost in Translation”, probabilmente per questa storia d’amore che non riesce a diventare una storia fisica, ma non per questo non intensa, con questi silenzi riempiti dalle musiche quasi psichedeliche. Nella seconda fase viene lasciato più spazio alle scene di violenza, rivelando la duplice personalità del pilota, che comunque non abbandona mai la sua pacatissima tranquillità. È come se due cose opposte raggiungessero un punto di equilibrio, dove si mischiano senza distinguersi. Come detto prima, in un film di silenzi, il lavoro lo fanno le musiche. La colonna sonora , dove spiccano nomi come Riz Ortolani (il migliore dei migliori), Kavinsky e Cliff Martinez, con suoni molto synth e martellanti, si sposa magnificamente con le sequenza in una Los Angeles vista da un’altra prospettiva, meno caotica ma ugualmente cruda e spietata.

Il tutto crea un’atmosfera veramente assurda, quasi inspiegabile, un misto di sensazioni contrastanti. Ogni singolo aspetto del film aggiunge quel tocco di cupa pacatezza, dalla colonna sonora, alla scelta dell’uso delle luci, ai titoli di cosa. Qualcosa che rimane dentro.

Drive spacca perché ti rimane dentro, dal primo momento, dalla sequenza iniziale a quella finale. E anche la mattina dopo. Uno di quei film a cui basta pensarci per farti riaffiorare quelle sensazioni. Da guardare per capire.

Telesplash – Una poesia scanzonata

 di Johnny Dalla Libera
 foto di Alessandro Levati
 Special thanks to: Ohibò Milano

Oggi abbiamo incontrato i Telesplash in occasione del loro live all’Ohibò di Milano dove avranno modo di presentare il loro terzo disco intitolato ‘’Non è più poesia’’, un titolo ingannevole, perché è vero che la loro personalità è scanzonata, come dicono loro, un po’ spensierata e leggera, tuttavia nonostante la leggerezza sono arrivati ad una produzione davvero matura sia nei testi che nell’alta qualità dei suoni merito di un ottimo lavoro di squadra in studio di registrazione.
Ora meglio lasciar parlare loro e la loro musica.

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Siete rientrati in studio per incidere ‘’Non è più poesia’’, un disco con un sound ed una formazione rinnovati: com’è stato l’affiatamento artistico della band?
Marco (Cantante): Non è stato facilissimo perché ognuno ha i propri gusti, tuttavia i tre quarti del gruppo coincidono e poi è bello passare il tempo a discutere in sala prove sulle nostre idee. Un fattore della nostra impronta è anche quello, appunto, che ognuno arriva con un proprio bagaglio culturale musicale alle spalle e contribuisce alla creazione di un sound nuovo.

Le musiche sono molto curate sia nel sound che nelle melodie, dalle linee del basso, ai riff di chitarra. Ma quanto conta per voi il testo di una canzone durante il processo di composizione?
M: Nei dischi precedenti abbiamo approcciato la scrittura dei testi in modo spensierato, per noi hanno priorità le melodie perché essendo filo-britannici conta molto il motivo soprattutto per un ascoltatore non madre-lingua e cerchiamo di curare il suono delle parole. Tuttavia in alcuni pezzi, essendo noi maturati, abbiamo lavorato con cura al testo come in Pioggia e sole. Infine se dovessi mettere su due piatti della bilancia una canzone col testo profondo ma che manca di melodia ed un testo spensierato ma che suona come una bomba noi scegliamo il secondo.

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C’è qualcuno di voi che a livello compositivo è più presente rispetto ad altri membri della band?
M: Prima influiva il batterista, ora mi sto impegnando molto io ma dal momento che l’idea viene proposta alla band col passare del tempo comincia a prendere forme e colori diversi sia come melodie sia come ritmi, quindi alla fine ognuno contribuisce con le proprie pennellate per poter ottenere un ottimo quadro!

La parola d’ordine del disco è divertimento tuttavia avete intitolato il disco ‘’Non è più poesia’’, si riferisce a qualcosa in particolare nelle vostre vite questo titolo?
M: Noi siamo sempre stati molto scanzonati nello stile di vita, chi ci conosce lo sa, però col passare del tempo è difficile convivere all’interno di una band con le divergenze di pensiero. In più Non è più poesia è una frase che si trova all’interno del brano Pioggia e sole che tra l’altro è la canzone che secondo noi meglio rappresenta l’essenza di questo disco. Ci è piaciuta la frase da subito e significa che è finita la pacchia che dobbiamo mettere fine alla scanzonatura col fine di maturare. Comunque la parola d’ordine divertimento rimane, chi partecipa ai nostri live lo sa!

Vantate una collaborazione con Pupo in Freddo, la seconda canzone del disco. Chi è un artista italiano col quale vi piacerebbe collaborare?
M: A me piace tantissimo Jovanotti e a livello di sound è quello più aggiornato e fresco nonostante faccia musica ad alti livelli da molti anni. Se però posso dire più di un nome mi piacerebbe tantissimo Adriano Celentano, basterebbe anche solo la sua voce.

Srano (nome d’arte del chitarrista Mattia Sarno ndr): A me piacerebbe lavorare con Thom Yorke (leader dei Radiohead e degli Atoms For Peace, ma anche protagonista solista ndr) poiché penso sia uno che dedica molto tempo alla cura del suono ed ha composto della musica di qualità.

Robot (Roberto Elia Palazzi Bassista): Essendo un bassista adoro Jovanotti, il suo bassista Saturnino e la sua musica, sarebbe un sogno una collaborazione con lui. Uscendo dall’Italia mi piacciono i Saint Motel che hanno un’ottima base ritmica. Un sound un po’ retrò reso moderno poi sono giovani e stanno meritando il loro successo.

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Ascoltando in modo più approfondito ‘’Non è più poesia’’ non sono riuscito a creare una similitudine tra voi e altre band. Ma quali sono le vostre influenze musicali?
M: Per dirla in modo un po’ grossolano il brit-pop in generale ma non posso non citare i The Beatles. All’unanimità possiamo dire i The Clash, ma il chitarrista arriva da un background Metal anche se non si direbbe, perché si è plasmato bene all’interno della band e siamo tutti molto diversi gli uni dagli altri ed un grande aiuto ce l’ha dato il nostro produttore. Davvero troppo forte l’ultimo disco degli Arctic Monkeys!

R: Macca (soprannome di Sir Paul McCartney ndr) è il mio bassista preferito poiché vengo da una realtà di musica inglese, quindi The Beatles, The Smiths sono le mie ispirazioni e quindi io lavoro molto sugli arrangiamenti e sulle melodie, un po’ meno sul ritmo. Dimenticavo, adoro i Jamiroquai.

S: Amo i The Beatles, i The Cure e i Blur fra le tante band che ascolto. Questi gruppi hanno dei chitarristi che non si limitano a virtuosismi bensì sanno dare il colore giusto alla loro presenza nel brano. Ormai non si suonano più gli assoli di due minuti nei brani moderni.

Mi riferisco solo a Sarno per una curiosità sulle chitarre: quali hai usato per registrare l’album?
S: Ho usato una Gibson Les paul che apparteneva al mi babbo (mio papà ndr), la Fender Stratocaster ma prediligo due chitarre che non possono mancare in tournée la ES 335 e in cima alla classifica c’è la Fender Telecaster: è la prima chitarra elettrica della storia e forse è la più completa! In più ho usato degli effetti che non usavamo prima e degli amplificatori valvolari Vox e Fender!

Qual è la maggiore differenza tra quest’ultimo disco in confronto ai precedenti?
M: A livello di suono siamo maturati tantissimo. Benchè a Bar Milano (disco uscito nel 2010 ndr) io ci sia molto affezionato, poiché ci ha fatti uscire dal nostro piccolo contesto, ascoltando i nostri tre dischi insieme si evince che quest’ultimo è più maturo riguardo alla ricerca del suono, sia nei singoli strumenti sia nel prodotto finale. Grazie anche al nostro produttore abbiamo raggiunto una qualità più elevata e matura.