









di Federico Ledda
Oggi #THEEYESFASHION vi presenta ZUNO, camaleontico rapper italiano che a breve farà tanto parlare di sé. Classe 1998, all’anagrafe Mattia Zuno, inizia a sputare le prime rime quando è ancora in fasce, portando la sua musica e i suoi testi a una maturità disarmante nonostante la sua tenera età – ”Devo fare diciotto anni a settembre” – ci racconta. Con il supporto di Machete Crew, etichetta che ha lanciato artisti come Salmo e Nitro e con quello di Roccia Music di Marracash, ZUNO, ha già lanciato tre singoli e uno street album in free download. L’abbiamo incontrato in occasione del nuovo pezzo ”Odiare Di Nuovo”, in uscita oggi!
In che modo l’hip hop ha caratterizzato la tua infanzia?
Ho iniziato ad avvicinarmi alla musica verso i 14 anni, in prima superiore. Da quel momento in poi la mia vita è stata man mano inglobata completamente dalla musica… anno dopo anno, fino ad arrivare a oggi che è il principale pensiero e impegno di ogni giornata.
A chi ti ispiri?
Vengo ovviamente condizionato ogni giorno da mille sonorità, generi ed artisti diversi perchè è normale che sia così. Credo che sia anche perché a 17 anni si è facilmente influenzabili. Il mio obbiettivo è però avere un mio stile. Farsi riconoscere è fondamentale, non diventerai mai nessuno se quello che fai è già stato fatto.

di Federico Ledda






di Liliana Riva

Bentornati amici!
Nella scorsa puntata avevo accennato al fatto che avrei ricominciato a scrivere ad Aprile…e lo so lo so che è Maggio e sono in ritardo e vi vedo tutti lì con quei ditini puntati stile santa inquisizione MA avevo anche detto che avrei scritto quando e se il sole fosse rispuntato in quel di Londra (consecutio temporis giusta si?). Ecco, siccome il sole non si è visto fino a 10 giorni fa mi sento di essere nel giusto amici quindi ritirate le vostre J’ACCUSE e ci si vede ad una puntata di quarto grado un’altra volta.
Facendo un rapido recap del mio ultimo anno mi sono resa conto di aver preso un botto di voli e li ho anche contati (ho finito gli esami pensate quante infinite opzioni ho per perdere tempo). Non vi dirò quanti sono perché ovviamente non me lo ricordo e figuriamoci se mi rimetto a contarli. Chi sono la cantante con la erre moscia della sigla di ‘’Paso Adelante’’? NO.
Quindi ho deciso di parlarvi oggi di *rullo di tamburi*: IL DISAGIO DA AEREO.

Vivendo a Londra sono nell’ eterno stato sociale da piccola fiammiferaia super povera come ben sapete, e quindi il mio pane quotidiano sono i voli Ryanair a/r a 30£ in giorni a caso e in aeroporti che atterrare a Malta è quasi più comodo.
Partiamo dalla premessa che io non giudico nessuno (AHAHAHAHAHAH) però davvero raga facciamocela a farcela che prendere un aereo non è come scalare il monte Everest.
Ma andiamo per gradi perché il disagio lo si percepisce appena varchi le porte scorrevoli dell’aeroporto.
STEP 1: Il controllo di sicurezza per il bagaglio a mano
Questa è la fase in cui VOI amici, dotati di un minimo di senso comune azionate il radar per individuare i dementi da evitare, cosi da garantirvi un quasi piacevole volo.
Due le categorie di persone da evitare come la peste:
STEP 2: Il gate
Essere un’esperta di voli low-cost significa essere consapevole di due cose 1) che viaggerai solo col bagaglio a mano che per le leggi della natura sarà di dimensione di un carro armato 2) in qualsiasi ora del giorno e della notte il volo che hai scelto sarà sistematicamente TUTTO PIENO. E quindi direte voi? E QUINDI LA TUA NUOVA MISSIONE NELLA VITA SARA’ QUELLA DI ARRIVARE PRIMA AL GATE PER NON FARTI IMBARCARE I TUOI 80 KILI DI VALIGIA DA QUELLE DISSENNATRICI MEGLIO CONOSCIUTE COME HOSTESS DI VOLO.
Perché se ci perdo giornate intere a fare il Tetris nel mio bagaglio a mano mettendo anche nel sacchettino 5x5cm 8 litri di roba COL CAZZO CHE LA MIA VALIGIA FINISCE IN STIVA BITCH!!!
STEP 3: Il volo
A parte il signore ciccione che occupa il tuo sedile, quello della tua vicina e quello delle 3 file dietro che CHIARAMENTE è seduto vicino a te, una nuova e affascinante categoria di persone allietano i miei voli ultimamente: LE FASHION BLOGGER.
Il teorema della fashion blogger secondo il mio modesto parere recita così: il livello di popolarità di una blogger è inversamente proporzionale alla capture “influencer” nella bio di Instagram. ENFATTI le influencerzzzz VERE viaggiano Alitalia con gran fighi al loro fianco e borsoni di pelle con le iniziali, non su Easyjet con speedy boarding per darsi un tono.
Le fashion blogger finte fighe invece le vedi in aereo struccate, con cappuccio in testa, occhiali da sole E felpone grigio topo preso su Asos Marketplace mentre si aggirano nell’ombra. Roba che Lupin SPOSTATEEE. Poi però quanto atterri apri i loro profili social e vedi foto di nuvole rosa, tramonti pazzeschi, oceani cristallini con un’inquadratura che TOH! non si vede la scritta Ryanair. BUSTEEEED!
Un saluto mitiche siete le mie prefe.
STEP 4: Il controllo passaporti
Esci dall’ aereo, inizi a camminare verso l’uscita…dopo un primo momento di calma apparente ecco che quello affianco a te accelera, camminata da podista per non dare nell’occhio, trotto, galoppo, e via scatta “la corsa matta”. Spintoni, gente che cade, valige per terra, documenti volanti, bambini dispersi…il tutto perché se abiti in UK LO SAI cosa c è in fondo a quel lungo corridoio di cui non vedi mai la fine, l’incubo di tutti i viaggiatori, il CONTROLLO PASSAPORTI.
Dopo quei i 10 chilometri di fila e quelle 2 ore di vita perse è il tuo turno.
Avanzi verso il gabbiotto, il tipo ti guarda impassibile, tu cerchi di essere normale ma ti senti sotto pressione manco all’ orale di maturità, inizi a sudare freddo, ti guardi in giro nervosamente, il tuo chip del passaporto machevvelodicoaffare non funziona e bisogna digitare a mano, il tipo ti scruta con aria sospettosa, guarda la foto del documenti, ti guarda in faccia e tu sei brutta manco cristo dopo i 3 giorni del sepolcro. Nel frattempo il tempo passa e la gente ti odia, il tuo livello di stress sale a livello Britney 2007 e non sei più in grado di articolare una frase in inglese tanto che alla semplicissima domanda “perché sei qui a Londra?” la tua risposta è…………………“K, K, un’altra K e il simbolo di Batman”.


E’ active ready la SS16 firmata Wrangler, che punta tutto su un tipo di denim confortevole e flessibile senza rinunciare però al fit dei leggendari jeans americani.
Nella linea Active Ready sono presenti alcuni modelli stagionali creati con il sistema Coolmax che vede l’utilizzo di fibre, ispirate alla tecnologia studiata per lo sport.
Questo particolare tessuto si asciuga velocemente e protegge dai cambaimenti climatici, siano essi il caldo o il freddo.

di Federico LeddaSi presenta come una ventata d'aria fresca ''Se Avessi Un Cuore'', il nuovo lavoro completamente electro pop della cantautrice Annalisa in uscita il 20 maggio. Realizzare cinque album in sei anni è un rischio che non tutti si possono permettere. Si è invece spinta a tanto Annalisa, riuscendo a realizzare il suo disco più completo, il SUO progetto, dove ha curato ogni singolo dettaglio. Dal design dell'artwork realizzato insieme a Laura Battista, ai testi del disco, tutti completamente scritti da lei a parte ''Potrei Abituarmi'' o ''Used To You'' scritta dalla camaleontica Dua Lipa (famosa in tutto il mondo per il successo ''Be The One'') e arrangiata in italiano da Annalisa insieme all'artista britannica. ''Se Avessi Un Cuore'' è un disco leggero, dai ritmi incalzanti e inusuali per l'artista di Savona che siamo sicuri, le farà fare una svolta alla sua carriera. L'abbiamo incontrata pochi giorni fa a Milano eccitata dall'uscita del suo nuovo album, ecco cosa ci ha raccontato...
Cinque album in sei anni, in che modo questo è diverso dagli altri?
Ogni album mi ha permesso di crescere e di fare un percorso graduale portandomi a un sound più elettronico e conforme ai suoni della scena pop americana.
Nell’album c’è anche ”Il Diluvio Universale”, brano che hai portato quest’anno a Sanremo…
”Il Dilvuio Universale” io lo vedo come un’opera unica, che per ragioni di logica è stata inserita nel disco. E’ un po’ il perno che unisce quello che è stato a quello che è ”Se Avessi Un Cuore”.
In che modo credi che la leggerezza traspaia dal disco?
Penso che esca soprattutto in un brano che si chiama ”leggerissima”, dove in sostanza cerco di dare valore alla leggerezza in quanto capacità di lasciarsi alle spalle qualcosa… Di mollare la presa, che non significa perdere, ma arrendersi in modo sereno.
Nel brano ”Potrei Abituarmi” c’è una collaborazione con Dua Lipa, in che modo l’hai conosciuta?
Mi è stata presentata nei corridoi di Warner, l’etichetta discografica di entrambe. Capita spesso di conoscere gli altri artisti che passano di lì, ma con lei è subito scattata una scintilla particolare, ci siamo trovate.
Insieme al suo gruppo di scrittura, con la quale scrive i suoi brani hanno scritto questa canzone ”Used To You”, che Dua mi ha poi proposto. Ci abbiamo lavorato su per renderla più mia, e così è diventata ”Potrei Abituarmi”.


L’estate è alle porte, e con sé lo è anche la stagione dei festival.
Ecco i 6 festival con le line up più interessanti del mondo, fasce prezzo e città coinvolte. Signore e signori, per voi la guida di #TheEyesFashion ai festival da non perdere per nessuna ragione.











Non solamente uno speaker ma un vero e proprio stile di vita.
E’ così che si presenta la novità della casa danese Vifa. Il nuovo arrivato nella linea Nordic si chiama OSLO, speaker portatile bluetooth dal design minimale e dalle linee pulite, che non rinuncia però a un suono ottimale, per un ascolto pari a un’esperienza che lascia il segno.
Oslo unisce la qualità allo stile, grazie alla scocca di tessuto prodotta da Kvadrat, leader manifatturiero e tessile europeo.
Il podrotto è disponibile in giallo, blu oceano, ice blue, grigio scuro, e grigio chiaro. Voi come lo scegliete?

di Federico Ledda

JD.COM, la più grande piattaforma di retail in Cina (e la prima che si batte contro la contraffazione), ha lanciato durante lo scorso salone del mobile di Milano, la prima piattaforma dedicata su JD Mall attraverso la quale i marchi internazionali di arredamento, potranno arrivare a vendere a milioni di consumatori cinesi i loro prodotti. Abbiamo incontrato il presidente di JD.com a Milano, durante l’evento di lancio della piattaforma: per l’occasione, 10 designer italiani e cinesi, hanno realizzato 10 uniche stanze dedicate a progetti collaborativi per promuovere il meglio del design italiano in Cina. Il colosso dell’e-commerce vuole dare una forte spinta al design italiano per un mercato potenziale di oltre 155 milioni di suoi clienti.

In che modo JD.com è riuscito a diventare così importante?
La vendita al dettaglio è sempre stata molto debole in Cina, quindi, la creazione di JD.com è stata una necessità. Sin dall’inizio ci siamo battuti per mantenere l’autenticità e la qualità dei nostri prodotti, entrando in una fetta di mercato diversa rispetto a quella solita cinese, diventando così sinonimo di lealtà per i nostri clienti, che sono cresciuti a vista d’occhio.

In che modo è nata la ‘’Home Furnishing Platform’’?
La ‘’Home decorazioni’’ e l’arredamento più in generale, sono due tra le categorie che si stanno sviluppando più velocemente nel nostro sito, grazie anche ai brand internazionali che si stanno appoggiando a noi per la vendita dei loro prodotti. Accontentare il consumatore medio cinese, non è per niente facile, in quanto è abituato a degli standard alti e di qualità. Ma ce la stiamo mettendo tutta. Nella piattaforma sono già presenti oltre 15,000 brand inclusi Harbor House, Ashley, Kuhn Rikon e Fissare, Zojrushi.
In che modo avete scelto i brand per questo progetto?
Scegliamo i brand o i designers che sappiano incorporare la creatività alla praticità.
Cosa pensi dei designer italiani?
I designer italiani sono conosciuti a livello globale per la loro vena artistica. Il progetto è stato una grande opportunità per mettere insieme gli artisti più talentuosi, a quelli che invece riflettono la cultura cinese. E’ stata un’opportunità unica, che speriamo tutti ricapiti!
Cosa c’è nel futuro di JD.com?
In questo momento abbiamo 155milioni di clienti attivi, e ci auguriamo che diventino sempre di più! Il nostro impegno a proporre solo prodotti di alta qualità, fanno di noi dei perfetti partner per le compagnie italiane che guardano al territorio asiatico.

di Federico Ledda

Ieri sera all’Alcatraz di Milano, abbiamo assistito a una vera e propria celebrazione: quella dei Moderat.
Il gruppo tedesco si è esibito a Milano in occasione dell’uscita del loro nuovo disco III. Dal suono crudo e ipnotico, il live della band si è presentato come un perfetto connubio tra passato e presente amalgamato perfettamente in una setlist da urlo.
Da urlo era anche il parterre dell’Alcatraz, per l’occasione COMPLETAMENTE sold out.
I Moderat dal vivo meritano, così come merita anche il loro tecnico luci e il visual designer che insieme alla band è riuscita a regalare uno spettacolo capace di coinvolgere tutti i sensi.
di Federico Ledda
In occasione del salone del mobile 2016, BRIONVEGA, l’iconico brand di design divenuto noto a livello mondiale a inizio degli anni 60 per il suo industrial style sopra le righe, ha presentato allo spazio BASE di Via Tortona il nuovo arrivato in famiglia: WEARiT, speaker bluetooth – accessorio fashion realmente indossabile. La direzione artistica è stata affidata a Michael Young leggenda del design inglese che negli ultimi vent’anni è riuscito ad affermarsi a livello globale come una delle figure principali nel suo campo, grazie all’unicità delle sue opere realizzate nel suo studio di Hong Kong.
Come ci si sente a essere a Milano durante una settimana importante come quella del design?
E’ bello essere qui! Tutti i miei vecchi amici lo sono, ci veniamo sempre da 25 anni ed è bello vedere come sono cambiate le cose.
Quali sono le differenze più grandi che noti?
Prima era un’iniziativa davvero ristretta… Esponevano poche aziende, e il pubblico era solamente del settore. Sento che invece oggi ci sia una rivoluzione in atto, che il nostro lavoro inizi a interessare sempre di più a un vasto numero di persone estranee al nostro mondo. Bellissimo.
Cosa pensi dei designer italiani?
Li amo. Da sempre l’Italia e designer italiani influenzano tutto il mondo. Specialmente brand come Brionvega. Sai, dopo la seconda guerra mondiale c’è stato lo sviluppo di molti materiali che utilizziamo tutt’oggi, e Brionvega insieme ad altri brand italiani, è stato tra i primi ad utilizzarli per i loro prodotti.
Com’è avere il proprio studio a Hong Kong e vivere in un continente completamente diverso dal tuo?
Quando sono partito, ho deciso di andare in Asia perché ero incuriosito dal loro mondo. Trovo affascinanti i due poli opposti che spaccano il paese tra tecnologia d’avanguardia, e tradizioni culturali che vanno avanti da secoli. Credo che mi abbia permesso di crescere come designer facendomi diventare ciò che sono oggi.
Come descriveresti il tuo stile?
Sai, in questi 25 anni di carriera, mi è stata posta questa domanda migliaia di volte. Ad essere onesti, non ne ho idea. Credo che evolva in base alla mia crescita professionale, in base a quello che sento nel momento in cui creo qualcosa. Non mi definirei mai minimal, credo più un visual designer.
Che cosa ispira i tuoi lavori?
La serenità…Il concetto di felicità. Quello che potrebbe fare felici altre persone.
La musica ti aiuta nell’ispirazione?
Certamente. In questo periodo ascolto moltissimo i Brian Jonestown Massacre.
Come sei arrivato a lavorare con Brionvega?
Avevo in passato già utilizzato la tecnologia Bluethoot per diversi progetti, credo che questo sia piaciuto al team di Brionvega, con la quale è subito nata una perfetta sinergia che ha poi aiutato la creazione del WEARiT ts217. Credo che ci siano pochi brand nel mondo che sono stati capaci a creare esattamente dei prodotti in base alle esigenze del cliente e Brionvega è senza dubbio uno di quelli.
A che cosa ti sei ispirato per la creazione di questo progetto?
Nasce tutto da una mia interpretazione del leggendario Brionvega ts207, che negli anni 60 lanciò una vera e propria rivoluzione. Abbiamo quindi deciso di dargli nuova vita, rendendolo al passo con i tempi.

di Federico Ledda
La coverstory di aprile vede come protagonisti i LANDLORD, eclettica band protagonista dell’ultima edizione di X Factor. Sin da subito loro grandi sostenitori, abbiamo deciso di omaggiarli con la copertina di THE EYES FASHION. Per quale motivo proprio loro? Perché sono diversi, sono interessanti, e hanno qualcosa da dire.
Il gruppo di Rimini ha di recente lanciato ASIDE, loro album di debutto. Il disco si presenta come un caldo abbraccio confortante che unisce elettronica pura a malinconico pop, regalando così all’ascoltatore un turbinio d’emozioni diverse… Oltre a un ottimo disco. Freschi d’uscita del primo singolo ”Get By” li abbiamo incontrati a Milano, dove tra uno scatto e l’altro ci hanno raccontato l’inizio del loro viaggio…
















Photographer MARILU’ VENDITTI, LUCA ERBETTA
Graphic designer CRISTINA BIANCHI
From an idea of CLARA LA ROSA, MARILU’ VENDITTI
Talents Daniel Solomei @ Elite Models Milano ; Aleksandra Zivancev @ Wave Management
Hair FILIPPO DEL BOCA
Make Up EMANUELA CARICATO
Styled by CLARA LA ROSA
Location ALZAIA 192
La tristezza di un amore finito, ma amore per chi? L’ambiguità dei colore rosa non ci aiuta a capire se si tratti di travestimento o di impersonificazione. A seconda dei casi, cambia l’identità della persona amata. L’assenza è tale che il personaggio della nostra storia non si vergogna di mostrare il proprio lato sensibile e, forse, femminile, oppure finisce solo con l’impersonare l’amore perduto. Forse una donna, per via del rosa? Possiamo divertirci ad immaginarlo e credere ciò che più ci aggrada.





Photographer GIULIO CAVICCHINI
From an idea ofSILVIA MACCHIONI
Hair and Make Up LAURA MARTUCCI
Styled by SILVIA MACCHIONI
di Federico Ledda photo Posermag
Ispirante. E’ semplicemente questo che viene in mente scambiando due parole con Silvia Ferrari, la fondatrice della Ferrari Fashion School, accademia che da 15 anni tenta di fare la differenza dando ai suoi alunni solide basi garantendoli un futuro in uno degli ambienti più chiusi di tutti: quello della moda.
Aperta a ottobre una sede nella capitale della moda, la nuova residenza meneghina della scuola si posiziona nel Savona Fashion District, il quartiere dove design e fashion si incontrano. Questo fa sì che gli studenti siano sin da subito coinvolti in un ambiente reale e inebriante che gli permetterà di crescere professionalmente preparandosi ai bisogni del commercio in questo momento.
“La Moda Italiana è famosa in tutto il mondo. Noi esportiamo stile, creatività, abilità e qualità – ci racconta Silvia Ferrari, Fondatrice e Direttrice dell’istituto, durante la presentazione delle attività della scuola – Questo patrimonio, che tutto il mondo ci invidia e riconosce, deve essere trasmesso alle nuove generazioni attraverso una formazione specialistica in grado di trasferire agli allievi il Sapere e il Saper fare”.
L’offerta formativa di Ferrari Fashion School si sviluppa in Corsi Professionali la cui durata può variare da 1 a 3 anni e Master di Specializzazione Post Diploma, finalizzati a formare figure altamente specializzate che operino nel settore della Moda e del Lusso.
Per saperne di più visita il sito ufficiale.






di Liliana Riva foto di: Liliana's own iPhone
Febbraio, sono finite le feste, abbiamo detto addio a pranzi e cene di 20 portate e ora via di digiuno forzato e tisane a base di terra e bacche. L’ università è ricominciata, con conseguente mal di vivere. Fortunatamente è passato anche San Valentino e le nostre home page di FB sono finalmente libere da rose multicolor pucciate nel cioccolato e pizze tuttiigusti+1 con alimenti vari che formano la scritta TI AMO. Febbraio, fa ancora freddo, qua a Londra fa un freddo che manco all’Ice bar di Stoccolma e quindi è un mese di merda. Per me in particolare è anche il mese dell’anno più atteso perché mi consente di lamentarmi su TUTTO e TUTTI avendo un discreto consenso popolare. Accogliamo sul palco cari amici il tanto atteso MESE DEL LAMENTO.
Dopo sei mesi in quel di Londra, ho potuto costatare che la vita non è tutto rosa e fiori. Non trovare mai le fette biscottate da Sainsbury’s è una delle più grandi sfide che la vita mi abbia mai sottoposto e, soprattutto, mi sono rassegnata al fatto che non troverò MAI il punto di grigio perfetto per il mio copripiumone così da avere la perfetta camera stile Pinterest. THE STRUGGLE IS REAL e ne siamo pienamente coscienti.
Ma non perdiamo altro tempo e diamo il via alla carrellata delle 5 cose che odio di Londra, così sti 3 minuti in mia compagnia passano in fretta.
Una delle cose che odio di più di Londra è il tempo (Ma dai?). Essendo meteoropatica più di un gatto, la mia psiche risente veramente un casino del tempo londinese caratterizzato da un susseguirsi infinito di pioggerellina/leggera brezza/cielo grigio/UN raggio di sole segno dell’altissimo/bora di Trieste/apocalypse now/sereno. Il tutto in un tempo massimo di 8 minuti.
Lo stesso fa il mio umore che passa da livello “Pimpa” a livello “Izma” (vedi: le follie dell’imperatore) in 0,7 secondi netti. E direte voi: “Ma cretina perché sei andata a vivere a Londra?”. La risposta è una e una sola: TOPSHOP. (e voi allora direte “Aaaaaaahhhh” con cenno di approvazione)
Londra non è una città, Londra è una regione. Ci sono 9 zone concentriche, le prime 2 sono considerate “centro”, il resto io lo considero al pari della terra di mezzo. Ora, vi faccio un esempio: per andare da una parte all’altra della città passando da zona 2 ovest a zona 2 est ci si mette in metro un 50 minuti tutti. Per andare in università in zona 6 (che a rigor di logica è al pari di Mordor) dal centro ci metto un’ora e un quarto. Ripeto per le file in fondo alla sala se vi è sfuggito, UN ORA E UN QUARTO.
E ok che figata la metro di Londra fatta a tubo “uuuuu so exciting”, ma io in quel tempo vado da Milano in montagna. In quelle 3 ore di a/r io vado in Spagna, dove per altro (VEDI SOPRA) c’è anche più sole.
Quindi sì, vai a vivere a Londra, ma sappi che metà del tuo tempo liberò lo passerai su un mezzo pubblico.
Da buona milanese imbruttita, non sopporto la gente che cammina lenta, come se fosse perennemente in passeggiata sul lungomare di Chiavari, o ad una processione di paese. Allora le cose sono due: o fratelli ci diamo le mani e diciamo il padre nostro tutti insieme, o vi dovete levare che IO ho da fare.
Che poi magari non è neanche vero, magari sto solo andando a scroccare il cappuccino da Waitrose vicino casa MA NON IMPORTA. Io ggna faccio, mi irrita nelle viscere proprio. Agire come se si dovesse perennemente salvare il mondo il milanese ce l’ha nel sangue so, “What did you expect?”
Nonostante sia la patria della Regina Elisabetta e dei suoi deliziosi tailleur color pastello così avant-gard, il Regno Unito si aggiudica il primo premio nella categoria “breaking Amish 2016” grazie ai suoi must-have lavandini.
Non troverete mai un lavandino come dio comanda in cui si ha il potere di passare da acqua calda ad acqua fredda contemplando tutte le sfumature di temperature possibili. No, QUA NO. Qui ci sono due lavandini distinti e staccati, uno per l’acqua fredda e uno per la calda. Le scelte quindi sono due: o ti provochi un’ustione di 18esimo grado, o vai di paralisi ibernando. Leonardo DiCaprio in ”The Revenant”, I FEEL YOU.
Cominciamo col dire che mi sono un po’ rotta le palle di studiare, ma questo lo sapevamo già da quando, a 10 anni a scuola, spacciavo permessi falsi di uscita come caramelle. Other then that, ci sono diverse cose delle università inglesi che mi irritano e che non comprendo; più di tutte, la loro disarmante abilità nel trattarti da ritardato per cose basilari e lasciarti al tuo destino per cose realmente importanti.
Mi spiego meglio: nel mio piano di studi per ogni corso serio di master, ne ho altri 3 di supporto per dementi. E la cosa si fa anche divertente perché sembra un videogioco a livelli, che so, un SuperMario Bros da 16 crediti.
Per vincere il gioco e arrivare al corso serio, devi prima superare il corso introduttivo, preceduto dal corso “come si legge una slide”, preceduto dal corso “cos’è un corso universitario”, preceduto dal corso “cos’è un’ università” … e via dicendo in un vortice senza fine.
Se poi però OSI chiedere al professore, che STELLINO ti ha SOLO assegnato un saggio di 458459 parole, indicazioni su come si fa, non otterrai nessuna risposta. Nel suo silenzio tombale misto a indifferenza, sarai pure in grado di sentire il suono del vento fare corrente nel tuo cervello.
Seguirà un post con le cose che amo di Londra, probabilmente ad Aprile. Quando ci sarà il sole e una temperatura decente o forse quando sarò abbastanza ricca da non dover più prendere la metro, quindi BOM ci riaggiorniamo nel giorno del mai.

di Federico Ledda
Reduce dall’ultimo festival di Sanremo concluso solo pochi giorni fa, Arisa si prepara a partire con il suo nuovo viaggio musicale, che la consacra come vera e propria sognatrice.
Dopo la prima partecipazione al festival, che l’ha vista trionfare tra le nuove proposte nel 2009 con ”Sincerità”, arrivare seconda con ”La Notte” nel 2012, trionfare nuovamente nel 2014 con ”Controvento” e dopo l’anno scorso al fianco di Carlo Conti, Emma Marrone, e Rocio Mugnoz come co-conduttrice, quest’anno Arisa ha deciso di ritornare sul palco dell’Ariston, presentando ”Guardando Il Cielo” brano scritto tempo fa e che per l’artista è una vera e propria preghiera che l’ha aiutata nei momenti bui.
Il brano dà nome anche al nuovo album della cantautrice lucana che lei stessa definisce ”un disco basato sulla fiducia” e che effettivamente si presenta come il più maturo della sua carriera, riuscendo a parlare di temi che spaziano dall’amore al dolore; dalla passione alla speranza e l’universo.
Varie sono le tracce interessanti del disco, a partire da ”Voce”, il brano d’apertura dell’album, che per Arisa rappresenta una richiesta d’aiuto dopo una perdita importante. Il brano più forte è però ”L’amore Della Mia Vita”. Eterea e sentita ballata riguardo gli amori che non muoiono, ma che ti segnano anche quando sono finiti. Curiosa è anche ”Una Notte Ancora”, il primo brano dance della cantante, prodotto da Don Joe dei Club Dogo e Andres Diamond.
Il disco è disponibile in tutti i digital store ed è provato al 100% dal team di The Eyes Fashion!

di Federico Ledda

Nati nel 2007, i Deluxe sono un collettivo francese inizialmente composto da cinque amici provenienti dalle strade di Aix-En-Provence, dove si divertivano ad esibirsi in lunghe improvvisazioni da strada. E’ proprio grazie a questa esperienza che la band ha acquisito la spontaneità e l’entusiasmo che esprime sul palco durante le esibizioni. Liberamente ispirati ai grandi maestri dello swing, dell’hip hop, del jazz e del funk, i Deluxe creano una ricetta musicale unica nel suo genere, un groove che li ha portati in pochissimo tempo all’apice del successo in Francia, dove sono delle vere e proprie star, grazie anche ai numerosi concerti alle spalle e alle numerose collaborazioni. Scoperti dalla rinomata label Man Records, dopo il successo del disco di debutto nel 2013, ”The Deluxe Family Show”, i Deluxe sono pronti a tornare con ”Stachelight’‘, il nuovo album uscito il 22 gennaio 2016. Per la band è un periodo davvero frenetico, ma siamo comunque riusciti a strappargli due parole riguardo la loro storia e il nuovo album. Ecco cosa ci hanno raccontato!
Come ci si sente a tornare sulle scene?
Ci si sente bene! Siamo ansiosi di iniziare la promozione del nostro nuovo album, e ancora di più di andare in tour!
Quali sono le maggiori differenze tra questo nuovo disco e il precedente?
La più grande differenza è che durante la lavorazione di questo nuovo lavoro, è stato tutto molto più organizzato, e siamo stati più abili a prendere le decisioni che potessero formare un buon disco: continuavamo a ripeterci che dovevamo tenerlo semplice e sofisticato. Abbiamo buttato giù ogni beat e idea che avevamo in testa, arrivando a creare 50 potenziali tracce. Dopo mesi di lavorazione, siamo arrivati a sceglierne 25 e poi siamo arrivati alle 15 tracce decisive. Ovviamente, l’aiuto dei featuring è stato essenziale per dare più magia dove necessario.
Qual è la traccia alla quale siete più affezionati?
Credo sia ”A l’heure oû” che per noi è un vero e proprio sogno impossibile diventato realtà!Realizzare questa traccia ci ha fatti rendere conto che credere a pieno nei tuoi sogni, può far realizzare qualsiasi cosa! Come in un film Disney!
Com’è stato lavorare con un’artista del calibro di NNEKA?
E’ stato un vero e proprio onore! Siamo da sempre suoi grandi ammiratori, e abbiamo avuto l’onore di conoscerla al Printemps de Bourges lo scorso anno. La cosa veramente pazzesca, è stata entrare nel nostro camerino e trovare un foglio scritto da lei, con tutti i suoi contatti per organizzare una possibile collaborazione! Da pazzi!
Quando tornerete in tour?
Inizieremo a marzo! Ci stiamo preparando ad un intenso anno di musica e viaggi!