Per il prossimo autunno inverno, John Richmond decide di sfoggiare un’inedita eleganza rock-classica riuscendo a rappresentare perfettamente il giusto compromesso tra l’impronta rock del brand e una ritrovata classe, rivisitata in chiave sofisticata.
Tagli e abrasioni di cashmere, seta e pelle, con texture leopardate, disegni zebrati, dragoni e fiori, stampe geometriche in nero, turchese, burgundy e rosso sangue, impreziositi da dettagli in paillettes, frange e bordi in pelliccia, per una collezione che è quasi un’avventura sensoriale.
E’ questo il motto che caratterizza l’autunno inverno 2015 – 2016 firmato Cristiano Burani.
La ricerca di una nuova femminilità declinata in toni sportivi, come filosofia di un vestire cool, understated ma eclettico nei particolari, grazie a un’attitudine casual e metropolitana.
Una donna contemporanea, classica dal vestiario semplice ma ricercato grazie a tessuti dalla texture 3D, ampie gonne a ruota, e plissè a blocchi di colore, total look in maglia a coste con righe irregolari, e pelle plissettata, intersiata e laminata.
A completare il look calzature dal taglio classico e moderno come ankle boots con suola carrarmato in gomma e creeper shoes con frange in pelle.
Una cosa è certa: il normale non è mai stato così interessante.
Esplosione di colori per l’inverno firmato Byblos che decide di dedicare il prossimo autunno inverno all’arte moderna prendendo spunto dalle influenze di due artisti agli antipodi tra di loro come il poliedrico Tobias Rehberger, e il rivoluzionario Shozo Shimamoto, per provare a proporre una visione classica, ma futuristica della femminilità.
Esplosioni acide di colori come metafora a una collezione che è un manifesto in cui il futuro si scrive in tonalità esasperate e quasi acide, mantenendo però un tocco classico con gli immancabili bianchi e neri.
Le pieghe dei capi di gonne e abiti sono il tocco classico di questa collezione sopra le righe.
Estrema attenzione anche ai dettagli con stampe geometriche fluo all over, e grazie ai ricami e agli scambi metrici con altri tessuti , mantenendo però, una bidimensionalità continua, e uno stile perfettamente sofisticato e in linea con la ”big bang colour couture” marchiata Byblos Milano.
Elegante, sognante e risoluta. È questa la ricerca di armonia compiuta da Luisa Beccaria per l’autunno inverno prossimo.
Tessuti tipici maschili come il pied de poule e la vigogna, caratterizzano la collezione insieme a morbide bluse dalla stampa grafica e ad abiti in organza fil coupé. Le linee si spezzano per dare spazio a geometrie di foglie che ricamano il velluto e si stagliano su morbide gonne dal taglio svasato.
Il grafismo si traduce in drappeggi dall’ispirazione quasi astratta che da ispirazione a tutta la collezione.
I colori percorrono palette cromatiche ispirate alla città e alla natura creando un mix cromatico tra diverse sfumature del blu con intervalli di verde e panna. La sera a fare da protagonista è invece il rosa cipria e l’oro per una donna sempre elegante.
Si sa, ormai le sfilate di Philipp Plein sono fatte per stupire non solo con le collezioni sempre estreme e sopra la righe, non solo con le super special guest ricercatissime ma anche con enormi scenografie al di sopra dell’immaginario comune. Dopo un casinò, una base militare, l’interno di un acquario e il ring di un combattimento di MMA, signori e signore Philipp Plein ha creato le sue personali MONTAGNE RUSSE.
Immaginate una passerella gigantesca con nel mezzo delle originalissime montagne russe con tanto di led e logo “PP” sulle carrozze.
La collezione cerca di seguire lo stesso filone di quella presentata a gennaio per la moda uomo, ovvero: #PLEINWARRIORS, cioè i guerrieri di Philipp Plein, dallo stile sfrontato, forte, sofisticato, ma soprattutto fuori dagli schemi.
Una fall winter strutturata da colori essenziali ed unici quali il bianco, il nero e un tocco di arancione.
Hanno sfilato solo scarpe basse che completavano i look dei vestiti con spacchi laterali vertiginosi, pellicce rivisitate come se fossero magliette da basket, e jogging pants in coccodrillo.
Curiose sono state le sneaker con la suola che si illuiminava stile anni 90.
Ospite d’eccezione Azealia Banks che ha intrattenuto gli invitati con il suo pezzo Heavy Metal And Reflective.
Genny ha portato in passerella una sofisticata e seducente atmosfera ispirata all’antico Egitto.
La direzione artistica di Sara Cavazza presenta una collezione fatta di stampe che raffigurano gocce di olio, ricami e motivi jacquard disegnando elementi della natura come segno distintivo di un autunno inverno elegante e sofisticato.
Silhoutte fluide in velluto di seta, dove abiti in velluto di seta, fanno da sfondo a una collezione ricca di capi spalla avvolgenti, di tailleur in jacquard e gonne in fil coupé bicolore.
Per Genny sarà sicuramente un inverno elegante e sensuale.
di Federico Ledda
foto Alessandro Levati
KATY PERRY's PRISMATIC WORLD TOUR - Milan
Potremmo tornare a rivivere ciò che è accaduto la scorsa notte? Sembra un sogno, eppure ieri sera a Milano c’è stata l’unica tappa italiana del PRISMATIC WORLD TOUR marchiato Katy Perry. Parole troppo lungimiranti? Lo credevo anch’io prima di aver visto il concerto dal vivo. Il live si presenta come un vero e proprio show studiato per appassionare, divertire e stupire il pubblico; a partire dall’opening act, che non poteva essere che il meglio del meglio, ovvero CHARLI XCX, pop star inglese che conosceremo meglio sul numero di marzo di The Eyes Fashion. Subito dopo l’inglese, la pedana della passerella del palco si è alzata, diventando una piramide di led, e tra urla, luci e fumi, è spuntata una raggiante KATY PERRY che con la sua ROAR ha rapito un estasiato pubblico che comprendeva, tra gli altri, Jeremy Scott, Anna dello Russo e Fausto Puglisi.
La prima parte dello show è andata via in un soffio, ma nonostante questo lo spettacolo è andato di bene in meglio proseguendo con la cantante americana, che, cavalcando un cavallo d’oro per la sua DARK HORSE, ha sfoggiato un un look completamente diverso da quello precedente.
Il concerto prosegue, e dopo almeno altri tre cambi termina.
È stato un live epico sotto tanti aspetti, innanzitutto lo è stato per l’interazione dell’artista con il pubblico, ma anche grazie ai ballerini, ai musicisti, alla scaletta, ai costumi, alle luci, ai fans e soprattutto: al mastodontico palco a forma di piramide che coinvolgeva l’intero Mediolanum Forum.
Katy Perry si è dimostrata una vera e propria performer sapendo riuscire a divertire anche i più scettici. Il PRISMATIC WORLD TOUR è davvero per ogni età e per ogni genere di persona, mai scontato, sempre spumeggiante e sbalorditivo. Da vedere.
Eccoci qui al solito appuntamento cinematografico. Oggi tratteremo di un film del 2011, diretto da Nicolas WindingRefn, interpretato da Ryan Gosling, vincitore a Cannes per la miglior regia: Drive.
E la domanda è sempre la solita: perché spacca? Ovviamente anche la risposta è la solita: boh.
Per chi non ne avesse neanche mai sentito parlare, non è un film spazzatura stile Fast And Furious, non c’entra davvero nulla. Il ruolo di pilota è marginale al fine della pellicola. O meglio, la trama è ovviamente sviluppata sulle azioni del protagonista, tutto ruota intorno al pilota, ma come suggerisce il titolo, la guida è solo uno degli aspetti, quello più visibile, quasi un travestimento; infatti la parola drive significa anche motivazione, impulso, ma soprattutto piantare, ficcare, basti pensare all’ultima scena.
Molto brevemente: il pilota, di cui non viene rivelato il nome, lavora come meccanico in un’officina, oltre che fare lo stuntman part-time e l’autista per rapine. Si innamora della vicina, proprio mentre gli si apre una finestra che gli permette di entrare a far parte di un campionato automobilistico. All’improvviso, a causa di una serie di eventi quasi fortuiti si ritrova sua malgrado immischiato in un affare di mafia. Come spesso accade nei film trattati in questa rubrica, non è la trama ad attirare: tutte cose già viste un miliardo di volte in un miliardo di film. La prima cosa che colpisce è lo stile del protagonista. Grandi meriti a Ryan Gosling; è risaputo, prendete un fico della madonna, fatelo dirigere da un regista con delle buone idee, e sbam, personaggio dell’anno. La prima peculiarità che salta all’occhio, oltre alla fichezza ovviamente, sono i silenzi. Tutti i personaggi gli parlano e lui, silenzio. Al massimo un cenno col capo. Del tipo che si passa metà del film a urlare “RISPONDIGLIII”, ma una volta superato questo blocco ci si accorge che è in perfetta linea con il personaggio. Nella prima fase del film, quest’aspetto del personaggio fa molto assomigliare la pellicola a “Lost in Translation”, probabilmente per questa storia d’amore che non riesce a diventare una storia fisica, ma non per questo non intensa, con questi silenzi riempiti dalle musiche quasi psichedeliche. Nella seconda fase viene lasciato più spazio alle scene di violenza, rivelando la duplice personalità del pilota, che comunque non abbandona mai la sua pacatissima tranquillità. È come se due cose opposte raggiungessero un punto di equilibrio, dove si mischiano senza distinguersi. Come detto prima, in un film di silenzi, il lavoro lo fanno le musiche. La colonna sonora , dove spiccano nomi come Riz Ortolani (il migliore dei migliori), Kavinsky e Cliff Martinez, con suoni molto synth e martellanti, si sposa magnificamente con le sequenza in una Los Angeles vista da un’altra prospettiva, meno caotica ma ugualmente cruda e spietata.
Il tutto crea un’atmosfera veramente assurda, quasi inspiegabile, un misto di sensazioni contrastanti. Ogni singolo aspetto del film aggiunge quel tocco di cupa pacatezza, dalla colonna sonora, alla scelta dell’uso delle luci, ai titoli di cosa. Qualcosa che rimane dentro.
Drive spacca perché ti rimane dentro, dal primo momento, dalla sequenza iniziale a quella finale. E anche la mattina dopo. Uno di quei film a cui basta pensarci per farti riaffiorare quelle sensazioni. Da guardare per capire.
di Johnny Dalla Libera
foto di Alessandro Levati
Special thanks to: Ohibò Milano
Oggi abbiamo incontrato i Telesplash in occasione del loro live all’Ohibò di Milano dove avranno modo di presentare il loro terzo disco intitolato ‘’Non è più poesia’’, un titolo ingannevole, perché è vero che la loro personalità è scanzonata, come dicono loro, un po’ spensierata e leggera, tuttavia nonostante la leggerezza sono arrivati ad una produzione davvero matura sia nei testi che nell’alta qualità dei suoni merito di un ottimo lavoro di squadra in studio di registrazione.
Ora meglio lasciar parlare loro e la loro musica.
Siete rientrati in studio per incidere ‘’Non è più poesia’’, un disco con un sound ed una formazione rinnovati: com’è stato l’affiatamento artistico della band? Marco (Cantante): Non è stato facilissimo perché ognuno ha i propri gusti, tuttavia i tre quarti del gruppo coincidono e poi è bello passare il tempo a discutere in sala prove sulle nostre idee. Un fattore della nostra impronta è anche quello, appunto, che ognuno arriva con un proprio bagaglio culturale musicale alle spalle e contribuisce alla creazione di un sound nuovo.
Le musiche sono molto curate sia nel sound che nelle melodie, dalle linee del basso, ai riff di chitarra. Ma quanto conta per voi il testo di una canzone durante il processo di composizione?
M: Nei dischi precedenti abbiamo approcciato la scrittura dei testi in modo spensierato, per noi hanno priorità le melodie perché essendo filo-britannici conta molto il motivo soprattutto per un ascoltatore non madre-lingua e cerchiamo di curare il suono delle parole. Tuttavia in alcuni pezzi, essendo noi maturati, abbiamo lavorato con cura al testo come in Pioggia e sole. Infine se dovessi mettere su due piatti della bilancia una canzone col testo profondo ma che manca di melodia ed un testo spensierato ma che suona come una bomba noi scegliamo il secondo.
C’è qualcuno di voi che a livello compositivo è più presente rispetto ad altri membri della band?
M: Prima influiva il batterista, ora mi sto impegnando molto io ma dal momento che l’idea viene proposta alla band col passare del tempo comincia a prendere forme e colori diversi sia come melodie sia come ritmi, quindi alla fine ognuno contribuisce con le proprie pennellate per poter ottenere un ottimo quadro!
La parola d’ordine del disco è divertimento tuttavia avete intitolato il disco ‘’Non è più poesia’’, si riferisce a qualcosa in particolare nelle vostre vite questo titolo?
M: Noi siamo sempre stati molto scanzonati nello stile di vita, chi ci conosce lo sa, però col passare del tempo è difficile convivere all’interno di una band con le divergenze di pensiero. In più Non è più poesia è una frase che si trova all’interno del brano Pioggia e sole che tra l’altro è la canzone che secondo noi meglio rappresenta l’essenza di questo disco. Ci è piaciuta la frase da subito e significa che è finita la pacchia che dobbiamo mettere fine alla scanzonatura col fine di maturare. Comunque la parola d’ordine divertimento rimane, chi partecipa ai nostri live lo sa!
Vantate una collaborazione con Pupo in Freddo, la seconda canzone del disco. Chi è un artista italiano col quale vi piacerebbe collaborare?
M: A me piace tantissimo Jovanotti e a livello di sound è quello più aggiornato e fresco nonostante faccia musica ad alti livelli da molti anni. Se però posso dire più di un nome mi piacerebbe tantissimo Adriano Celentano, basterebbe anche solo la sua voce.
Srano (nome d’arte del chitarrista Mattia Sarno ndr): A me piacerebbe lavorare con Thom Yorke (leader dei Radiohead e degli Atoms For Peace, ma anche protagonista solista ndr) poiché penso sia uno che dedica molto tempo alla cura del suono ed ha composto della musica di qualità.
Robot (Roberto Elia Palazzi Bassista): Essendo un bassista adoro Jovanotti, il suo bassista Saturnino e la sua musica, sarebbe un sogno una collaborazione con lui. Uscendo dall’Italia mi piacciono i Saint Motel che hanno un’ottima base ritmica. Un sound un po’ retrò reso moderno poi sono giovani e stanno meritando il loro successo.
Ascoltando in modo più approfondito ‘’Non è più poesia’’ non sono riuscito a creare una similitudine tra voi e altre band. Ma quali sono le vostre influenze musicali?
M: Per dirla in modo un po’ grossolano il brit-pop in generale ma non posso non citare i The Beatles. All’unanimità possiamo dire i The Clash, ma il chitarrista arriva da un background Metal anche se non si direbbe, perché si è plasmato bene all’interno della band e siamo tutti molto diversi gli uni dagli altri ed un grande aiuto ce l’ha dato il nostro produttore. Davvero troppo forte l’ultimo disco degli Arctic Monkeys!
R: Macca (soprannome di Sir Paul McCartney ndr) è il mio bassista preferito poiché vengo da una realtà di musica inglese, quindi The Beatles, The Smiths sono le mie ispirazioni e quindi io lavoro molto sugli arrangiamenti e sulle melodie, un po’ meno sul ritmo. Dimenticavo, adoro i Jamiroquai.
S: Amo i The Beatles, i The Cure e i Blur fra le tante band che ascolto. Questi gruppi hanno dei chitarristi che non si limitano a virtuosismi bensì sanno dare il colore giusto alla loro presenza nel brano. Ormai non si suonano più gli assoli di due minuti nei brani moderni.
Mi riferisco solo a Sarno per una curiosità sulle chitarre: quali hai usato per registrare l’album?
S: Ho usato una Gibson Les paul che apparteneva al mi babbo (mio papà ndr), la Fender Stratocaster ma prediligo due chitarre che non possono mancare in tournée la ES 335 e in cima alla classifica c’è la Fender Telecaster: è la prima chitarra elettrica della storia e forse è la più completa! In più ho usato degli effetti che non usavamo prima e degli amplificatori valvolari Vox e Fender!
Qual è la maggiore differenza tra quest’ultimo disco in confronto ai precedenti?
M: A livello di suono siamo maturati tantissimo. Benchè a Bar Milano (disco uscito nel 2010 ndr) io ci sia molto affezionato, poiché ci ha fatti uscire dal nostro piccolo contesto, ascoltando i nostri tre dischi insieme si evince che quest’ultimo è più maturo riguardo alla ricerca del suono, sia nei singoli strumenti sia nel prodotto finale. Grazie anche al nostro produttore abbiamo raggiunto una qualità più elevata e matura.
Penso che raramente mi sia capitato di essere così interessato all’opening act di un concerto.
E’ però quello che mi è successo ieri sera allo spettacolo di Kiesza. Prima che la cantante canadese salisse sul palco, a intrattenere i presenti ci ha pensato Marianne Mirage: nuovo criptico e talentuoso talento by Caterina Caselli e Sugar, sua casa discografica, che ha saputo piacevolmente sbalordire tutti quanti.
Timidissima sul palco, lascia i convenevoli da parte per far parlare solo la sua anima, attraverso una voce mozzafiato, una chitarra tra le mani, e i suoi sintetizzatori con la quale si diverte durante il live.
Mirage si presenta con un tocco di internazionalità sia per le sue sonorità estremamente aggiornate e al passo coi tempi, ma anche per un inglese, francese e italiano impeccabili che danno spessore ai suoi pezzi, rendendola così curiosa anche per un pubblico che ascolta dance-pop come quello di Kiesza.
Siamo sinceri, per noi Marianne non è un volto nuovo, per vie traverse la conosciamo già da un mese, e il suo pezzo Come Quando Fuori Piove, risuona prima di ogni riunione della nostra redazione. Non l’avevamo però ancora sentita live, e credetemi, è sbalorditiva.
Il disco è in lavorazione, non ci resta che aspettarlo, seguendola live, cercandola su YouTube e sui vari social dove è lanciatissima.
In diretta dalla cerimonia più importante della musica internazionale, ecco i meglio e peggio vestiti dei GRAMMY AWARDS 2015.
Live from music’s most important ceremony of the year, the Grammys, here’s the best and worst drressed.
di Federico Ledda
foto Alessandro Levati
Special thanks to: Cantine Isola (via Paolo Sarpi 30)
Bianco: un’artista che sicuramente non si vergogna della sua sensibilità, anzi, la mostra come il più prezioso dei suoi averi. E’ questo che mi ha colpito del cantautore Torinese che abbiamo incontrato in occasione dell’uscita del suo terzo disco Guardare Per Aria: disco particolarmente bello, di quelli che proprio non ti stufi mai di ascoltare talmente è scritto e prodotto bene. Insomma, album squisito che merita di essere ascoltato, compreso e cantato a squarciagola… specialmente Areoplano e Corri Corri! Oltre che cantante, Bianco vanta un posto nella squadra di Levante, dove è parte integrante delle produzioni.
Potevamo quindi perdere l’occasione di fare due chiacchiere con Bianco in carne ed ossa? Assolutamente no!
Un disco molto intimo, probabilmente il più intimo dei tre che hai pubblicato fino ad ora: come è stato scriverlo? Una liberazione?
E’ stata una liberazione, ma anche una prova con me stesso per vedere se veramente avevo capito le esperienze che ho avuto la fortuna di vivere negli ultimi anni. Diciamo che mi interessava ritornare dentro quelle storie e trasformarle in musica!
In che modo è avvenuta la scrittura del disco? Descrivici il processo
L’ho scritto tutto in una settimana e mezzo. Volevo farlo, avevo proprio l’esigenza e il desiderio di scrivere cose nuove, però avevo il blocco dello scrittore…Ho però poi traslocato in una piccola casa sperduta a Moncalieri, con un panorama davvero mozzafiato, e dopo aver montato la scrivania con il computer e il microfono, ho iniziato a scriverlo senza fermarmi!
Qual è stata la canzone più difficile da scrivere?
Non riuscivo a finire Corri Corri, motivo per cui ho chiesto a Claudia (Levante) di intervenire… Mi sono reso conto che serviva una visione femminile, stavo raccontando una dinamica di coppia, quindi mi interessava capire anche l’altra parte cosa poteva pensare, quindi ho poi chiesto a lei che parallelamente stava vivendo una situazione simile a quella del pezzo, e finalmente sono riuscito ad ultimarla!
Tu e Levante siete ormai inseparabili! Tra tournée e disco… come vi siete trovati?
Le piaceva il mio sound, e cercava qualcuno che le arrangiasse i pezzi. Dopo essere stati in studio, è partita la tournée che è durata un anno, sai, in furgone i rapporti si trasformano diventando molto più personali, tutte le inibizioni vanno a quel paese… Diventa la tua famiglia!
Ti ho chiesto prima quale canzone fosse stata la più difficile da scrivere… Quale è stata invece la più facile?
Dal punto di vista della scrittura è stata Filo d’Erba, che è venuta proprio in un secondo. E’ stata però anche la più difficile per l’arrangiamento perché avendola composta col connubio chitarra/voce, bisognava trovare una base per riempirla… Mi interessava che arrivasse a tantissima gente, e in Italia il fatto di mettere basso e batteria è davvero molto importante per raggiungere un pubblico più vasto.
Qual è invece il pezzo a cui tieni di più? Le Stelle Di Giorno, perché è una sorta di ninna nanna, anche se c’è una parolaccia di mezzo! (Ride ndr) Durante la strofa cerco di descrivere una cosa che non è proprio mia, ed è la prima volta, mentre invece nel ritornello parlo di una cosa super personale, quindi ha delle metafore che fanno da contrasto. Tuttavia è una canzone semplice, anzi è proprio LA canzone! Ci tengo molto.
Da cantante, è stato difficile abbandonare il microfono, per iniziare a suonare per qualcun altro?
Ho iniziato suonando la chitarra in un altro gruppo, quindi tornare sul palco a suonare per altre persone mi è piaciuto tantissimo perché è stato un po’ un ritorno alle origini.
Sarà difficile adesso quindi fare un concerto dove a cantare sarai tu?
Sarà difficile in quanto è difficile fare un concerto in cui canti! Non di più, e non di meno…Spero che le esperienze di questi ultimi anni mi aiuteranno ad arrivare a un livello più alto!
You can’t SEAT with Us. In molti ci hanno fatto notare il nostro ”erroraccio” nello scrivere SEAT anzi che SIT. Errore? Affatto! Il gioco di parole della nostra cover sta proprio qua: seat come insediarsi, cosa che IL PAGANTE è riuscito a fare come nessun altro prima d’ora: gruppo inizialmente nato per gioco, tra amici, è invece diventato uno dei gruppi più in voga del momento da vantare anche un contratto con Warner Music, e una fanbase in crescita esponenziale. Nonostante l’enorme successo che li ha coinvolti, questa è la prima volta che “Il Pagante” accetta di mettersi a nudo per una testata. Potevamo noi quindi farci scappare la possibilità di farli appendere le Air Max al chiodo per un paio di Cesare Paciotti? Noi ci abbiamo provato, ed ecco a voi il risultato, come direbbero loro: MINCHIA FRATE, CANNONATE!
È tutto iniziato per gioco, vi aspettavate un successo così di massa e in continua crescita? Inizialmente no! Il tutto è nato sì per gioco, ma la cosa ha funzionato da subito. Siamo felici e ansiosi di vedere che cosa il futuro ha in serbo per noi.
Quanto vi rappresenta quello che cantate? Rappresenta più il nostro passato che il nostro presente, eravamo i personaggi che descriviamo fino a qualche anno fa, oggi puntiamo a far divertire chi ci segue e chi ci ascolta.
Avete firmato la colonna sonora di “Italiano Medio” di Maccio Capatonda con la vostra “Pettinero”. Che similitudini ci sono tra le vostre canzoni e l’Italiano medio? Ci sono svariate similitudini, in primis la satira su personaggi “medi” italiani, ma anche uno slang molto particolare e originale utilizzato sia da noi che dai protagonisti del film.
Fate musica irriverente e sopra le righe: come pensate di evolvere questa cosa nel corso del tempo? Creando nuovi format, nuove idee da mettere in musica e tante altre cose che vedrete molto presto, stay tuned!
Quali sono i posti più belli dove avete avuto il privilegio di esibirvi? Abbiamo avuto la fortuna di esibirci in location spettacolari e pluriblasonate, ad esempio l’Aqualandia di Jesolo, la Casa Della Musica di Napoli, Il Supersonic Music Arena di Treviso… Club rinomati come il Piper di Roma, lo Yab Di Firenze, il Made Club di Como, il Celebrità di Novara e molti altri, senza dimenticarci del suggestivo boat party in Croazia!
Siete in tournée: qual è l’esperienza che più ricordate con piacere? Il ricordo più bello in tournée sono sicuramente le date estive, in giro tutti insieme con il nostro super furgone! I live all’aperto sono tutta un’altra cosa! Piscine, parchi acquatici, qualcosa di unico. L’esperienza più bella rimarrà sempre il primo sold out a Milano, l’affetto di casa ha sempre un qualcosa in più.
Avete una fan base che sta crescendo sempre di più: qual è la cosa più strana che un fan ha fatto per voi? La cosa più “strana” che al momento ci viene in mente è sicuramente aver visto alcuni fan piangere per noi. Abbiamo visto anche tatuaggi, video estremi di vario genere e cose che non si possono proprio raccontare! (Ridono ndr)
Chi è il vostro pubblico? Il nostro pubblico si divide in 2 rami: c’è chi riconosce l’ “ironia” contenuta nel nostro messaggio e, pur sentendosi chiamato in causa si diverte lo stesso, e chi invece crede che siamo gli stessi dei video quindi si rivede in ciò che fa ogni sabato sera. A livello di target invece chiaramente la nostra orbita è molto giovane, dal liceale al neo-universitario, ma non escludiamo il fatto che ci sia anche qualche caso “fuori quota”.
Quale accessorio non deve mancare quando siete sul palco? Come definireste il vostro stile? L’accessorio che non deve mai mancare sono sicuramente gli occhiali da sole! Per il resto Il Pagante segue sicuramente la moda, cercando magari l’outfit estremo per spiccare sugli altri paganti, ma non si parla mai di controtendenza.
Qual è secondo voi la chiave del successo? La chiave del successo nessuno saprà mai qual è… Nel nostro caso penso abbia vinto la “spontaneità” della situazione, il fatto che non sia mai stato un progetto ideato “a tavolino” ma che sia sempre venuto tutto con naturalezza e facendo ciò che ci riesce meglio, divertirci.
Cosa dite a chi vi ama? E’ grazie a loro se siamo arrivati qua, non smetteremo mai di ringraziarli.
E a chi vi odia? Grazie anche, anzi, soprattutto a chi ci odia! Quando vi accorgerete che senza di voi, noi non saremmo mai esistiti sarà troppo tardi.
Quali sono i vostri prossimi progetti? E’ inutile nasconderlo ormai abbiamo in cantiere il progetto di realizzare un vero e proprio album, siamo al lavoro per far si che Il Pagante si espanda in tutte le città d’Italia cercando di interagire con più persone possibili per rendere ancora di più tutto un vero e proprio tormentone!
Photographer ALESSANDRO LEVATI
Photographer’s collaborator ALESSANDRO VILLA
From an idea of FEDERICO LEDDA, ALESSANDRO LEVATI, JOHNNY DALLA LIBERA
Hair ADRIANO CATTIDE
Make up EMANUELA CARICATO
Styled by FEDERICO LEDDA
Fashion Collaborator GIULIA FALZONI
Production ALFREDO TOMASI, JOHNNY DALLA LIBERA
Graphic designer CRISTINA BIANCHI
Location IL GATTOPARDO (Via Piero della Francesca, 47 – Milano)
Se pensate che ora aggiungerò qualcosa del tipo «Ma sono passati di moda!» sbagliate di grosso: non è questo l’argomento. Piuttosto parliamo di chi, da vera fashion victim, compra tutto quello che vede addosso a Cara Delevingne pur essendo alta un metro e un barattolo e avendo una quinta di reggiseno.
Cara fashion victim, lo so che tu sai tutto ma proprio tutto sulle tendenze più cool del momento, ma hai mai pensato anche solo per un momento che, dal tuo metro e cinquanta di altezza, i tronchetti che indossi non potranno mai avere l’effetto che hanno su Naomi Campbell? E che, tutt’al più, potranno farti assomigliare a un Umpa Lumpa? E se, per una volta, provassi a individuare e valorizzare i tuoi punti di forza, invece di tirarti la zappa sui piedi comprando tutto quello che vedi addosso alle scheletriche modelle di Prada? Mettiti bene in testa che, se una cosa va di moda, non vuol dire che automaticamente stia bene a tutte. Un esempio? Io adoro le scollature a V, quelle che mettono in risalto un bel seno prosperoso, ma poiché la mia taglia di reggiseno si aggira intorno alla 0+, il risultato non è quello che otterrebbe Beyoncé; a malincuore evito il capo e mi limito ad ammirare le mie amiche più formose indossarlo. Triste, penserai. Beh, non del tutto: io posso permettermi le scollature vertiginose sulla schiena e quelle verticali che arrivano all’ombelico e che non prevedono un reggiseno, o anche gli scolli all’americana, che le fanciulle prosperose non potrebbero mai mettere senza sembrare dei davanzali porta fiori. Insomma, a ciascuno il suo. Ecco allora qualche breve dritta per evitare di mettere in risalto i tuoi difetti fisici [perché ammettiamolo, tutte ne abbiamo]:
Se hai il fisico “a clessidra” [vita sottile, seno e fianchi prosperosi]:
No ai capi dalle linee dritte [camicie larghe, caftani, etc] Sì ai capi che mettono in risalto spalle e punto vita
Se hai il fisico “a mela” [punto vita poco marcato, spalle larghe e fianchi stretti]: No alle magliette con righe orizzontali e a tutto ciò che appesantisce visivamente la parte superiore del corpo Sì a ciò che mette in risalto le gambe, in modo da slanciare la figura
Se hai il fisico “a pera” [spalle strette, torace minuto, fianchi e glutei accentuati]: No a shorts e pantaloni attillati con fantasie e stampe colorate Sì agli abiti ad “A”, alle scollature a barchetta e alle gonne morbide
Se hai il fisico “da insetto stecco” [poco seno, fianchi stretti, fisico androgino]: No agli scolli a V e agli “abiti-sottoveste” con le spalline sottili Sì alle fantasie, alle righe e agli scolli all’americana
Detto ciò, sei chiaramente libera di metterti quello che vuoi [condoglianze a chi vedrà una fanciulla taglia 48 strizzata in leggings push up COLOR CARNE taglia 42], ti lascio solo con una domanda su cui riflettere: se un giorno la tua icona di stile uscirà di casa con le mutande del nonno in testa, farai lo stesso? Non sarebbe meglio iniziare a pensare con la tua testa?
Sono passati pochi mesi dalla prima intervista ma, nel frattempo, sono successe moltissime cose.
Prima fra tutte: il 1 Dicembre 2014 siamo diventati “The Eyes Fashion”! Era dunque necessario contattare di nuovo la nostra amica Loop Loona e chiederle come sta procedendo la sua vita e la sua carriera.
Dall’ultima volta che ci siamo incontrati cosa è cambiato per Loop Loona? Sono più consapevole, dopo tanta attesa finalmente l’album è uscito…ormai sono quasi sei mesi! Ha ricevuto ottime critiche e tutto ciò è servito ad allargare il mio pubblico ed a consolidare la mia “fan base”. Non puoi immaginare quanto io sia contenta che piaccia alla gente…a volte mi fa commuovere quello che mi scrivono.
Come sta andando l’album? Il tour? Bene, molto bene. Sto avendo buoni riscontri…contando i pochi mezzi con cui è uscito, abbiamo fatto passi da gigante. Ho suonato in molti posti, ora penso che mi fermerò per un po’ per poi riprendere più avanti. Ma qualche data spuria forse uscirà, staremo a vedere.
Negli ultimi tempi stanno apparendo molti rapper nella scena italiana, lanciati soprattutto dai talent show… Che ne pensi di questo fenomeno? Andrebbe incoraggiato o fermato? Non credo che un genere come il rap possa avere un buon posto all’interno di questi format ma non ho nulla contro chi vuole partecipare e tentare la fortuna. Anche io sono stata contattata da uno di questi programmi…ma non è una cosa per me, non mi sarei sentita a mio agio.
Secondo te il vincitore di un talent può poi avere successo con un genere musicale come il rap nel nostro paese? Dipende dalla persona, dall’artista. Uno come Moreno è riuscito ad avere successo. È passato da 0 a 100. Altri invece non ce l’hanno fatta.
Pensi che questo fenomeno sia solo una moda passeggera o credi che l’Italia sia pronta per questo nuovo genere? Penso che per adesso sia di moda ma penso anche che ormai il rap abbia guadagnato il suo posto all’interno del panorama musicale italiano, quindi, se ci saranno artisti capaci, continuerà a essere un genere di spicco.
C’è un nuovo album o delle nuove canzoni in programma? Vorrei cominciare a lavorare a nuove cose. Devo ancora però decidere la strada da intraprendere…soprattutto a livello di produzioni.
Se vi state chiedendo di quale film che non vi siete mai minimamente inculati andremo a parlare oggi, dovreste riformulare la domanda. Niente film sconosciuti, malati e assurdi. Oggi un colossal; alla fine abbiamo appena passato le feste, non posso mettermi a parlare di Cronenberg con gente che beve il brodino facendo quel fantastico rumore di risucchio. Meglio spostarsi su qualcosa di più commerciale. Gravity.
Diretto da Alfonso Cuarón, interpretato quasi esclusivamente dai due protagonisti, Sandra Bullock e George Clooney, è riuscito ad aggiudicarsi ben 7 oscar. L’unica cosa che mi sfugge è come sia possibile che un film che è stato giudicato come il film con la miglior regia, la miglior fotografia, il miglior montaggio, la miglior colonna sonora, il miglior sonoro e il miglior montaggio sonoro sia stato giudicato peggiore di “7 anni schiavo”; ma non addentriamoci troppo nei meccanismi dello spettacolo, in fondo di questi tempi va così di moda essere antirazzisti.
C’è comunque da specificare che il film non ha ricevuto solo lodi, ma anche aspre critiche, soprattutto riguardanti il lato scientifico. In effetti non bisogna essere degli scienziati per capire che sotto una tuta da astronauta non ci si mette solo una fantastica canottiera scollata e degli aderentissimi pantaloni candidi (una che è stata nello spazio non so quante ore, dove m***hia ha pisc***o?!?). E qua il discorso è molto meno banale di quanto sembra: in effetti un film del genere, non può essere solo un film di fantasia, perché cerca di raccontare una storia verosimile con elementi contemporanei. Però non è neanche una storia di fantascienza, non è un film grottesco, tutto deve essere credibile e verosimile. Chiaramente il film deve rimanere intrattenimento, non deve essere un documentario scientifico, ed è qui che è difficile adottare un compromesso, una non semplice scelta da parte della regia. Ma purtroppo il regista non ha molta scelta. Se questa è la trama, così deve andare. Non si può rinunciare a determinate scene. Quindi, a parer mio, in questo caso lo sforzo lo deve fare lo spettatore. In poche parole l’unica cosa che deve fare è sorvolare su certe cose, non fa nulla se l’Hubble e la stazione spaziale internazionale hanno orbite differenti di 150 km, o se ci vogliono anni e anni di addestramento per riuscire ad atterrare con uno sconosciuto modulo spaziale cinese. Coleridge coniò il termine “sospensione dell’incredulità” appunto per descrivere questo fenomeno. In poche parole, frega nulla a nessuno della velocità dei detriti, l’importante è farsi coinvolgere. E questo è possibile solo grazie all’incredibile mix di immagini e suoni creati da Cuaròn. Non si fa alcuna fatica ad ignorare gli aspetti scientifici, perché si è troppo impegnati a rimanere in ansia per la Bullock, ad ammirare le magnifiche aurore boreali, a rimanere sorpresi per gli inaspettati colpi di scena.
Il film riesce a essere credibile nel suo complesso nonostante le imperfezioni scientifiche, che non è cosa facile, anzi. Probabilmente sarebbe molto più facile consultare Piero Angela, con una piccola intervista a Nespoli, e fiù, ecco un bel documentario. Invece no, Gravity è qualcosa di più, riesce a essere arte. Riesce a tenerti incollato allo schermo, con il cuore che batte, riesce a farti provare sentimenti veri e intensi. Il mix di fotografia e sonoro è secondo me qualcosa che ha davvero pochi precedenti. E soprattutto, riesce ad essere un film per tutti (o quasi), cosa non facile per film che si elevano rispetto alla calma piatta dei cinema italiani (e non). Da vedere.
Argomento nuovo e insolito per THE EYES FASHION. Il mondo dei Tatuaggi. Ho sempre ammirato chi è tatuato, perché riesce a vedere il proprio corpo come una tela, e riesce ad usarla come tale senza vergogna, senza paura dei pregiudizi. Durante il celebration party dell’anniversario dei primi venti anni della Milano Tattoo Convention, mi sono imbattuto in una ragazza minuta, molto colorata, che non passa inosservata.
Il suo nome è Amanda Toy, ed è e una delle tatuatrici più famose e rinomate al mondo. Ha viaggiato e lavorato in posti come San Francisco, e Londra tatuando i più famosi rapper della scena ed è uno dei principali volti della prossima Milano Tattoo Convention che avrà luogo dal 6 all’8 febbraio presso il centro congressi Quark Hotel,
Non potevamo perderci un’intervista con lei: Amanda incarna perfettamente l’essenza di The Eyes Fashion, riuscendo a portare in un mondo ”scuro”, per via dell’inchiostro, originalità, armonia e tanto colore.
Come nasce Amanda Toy?
Ho iniziato diciotto anni fa, a Genova, casa mia. Dopo mi sono trasferita a Trieste, dove per tredici anni insieme al mio ex fidanzato, ho avuto uno studio che era diventato un punto di riferimento non solo per il nord-est, non solo per l’Italia, ma per tutta l’Europa, in quanto molta gente ci raccontava di prendere l’aereo apposta per venire a farsi tatuare da noi, grazie anche allo stile che contraddistingue sia me che lui. Dopo appunto, esserci separati, mi sono trasferita a Milano, dove ho aperto il mio studio Toy Tattoo Parlour e dove proseguo nel raccontare attraverso i disegni quello che non dico attraverso altre forme d’arte. Diciamo che il Tatuaggio è per me una forma d’arte che mi permette di raccontare quello che non riesco attraverso le parole.
Crescendo e acquisendo una certa maturità, è stato difficile mantenere il tuo stile?
E’ stato difficile perché devi sempre impegnarti al massimo perché la gente da te si aspetta il meglio, e non puoi deluderli. E’ stato anche difficile perché nel corso degli anni potevo rischiare di fossilizzarmi proprio sugli stessi disegni, mentre invece ho cercato di evolvermi mantenendo un filo conduttore nel mio lavoro, cercando però di cambiare soggetti . E’ stato complesso, ma spontaneo e rigenerante.
Hai iniziato negli anni in cui, almeno in Italia, il Tatuaggio era un po’ un Tabù
Ci sono state altre generazioni prima di me, che hanno vissuto questo in prima persona. Diciamo che io sono arrivata nel momento in cui era difficile procurarsi l’attrezzatura, in cui c’erano meno di dieci donne a fare questo mestiere, mentre adesso si parla di oltre un migliaio. Comunque, era un’altra epoca. Non era un Tabù, ma diciamo che se andavi in giro con le braccia tatuate, la gente si girava per osservarti, mentre adesso, non è normalità, ma è sicuramente più popolare.
Cosa pensi di questa evoluzione popolare?
Come tutte le cose ha i suoi pro e i suoi contro. Sono una persona ottimista, ma viviamo in un’epoca difficile, trovo che si sia persa un po’ la magia. Viene tutto filtrato dai media come la televisione, che è un canale che sì, ti permette di entrare nelle case della gente, ma fa sì che tutto diventi più commerciale, dando quindi meno spazio all’arte e più al lato finanziario. Così come accade al tatuaggio, trovo si dia troppo spazio a fumentarlo come una moda e poco come forma d’arte. Ma come ti ho detto sono una persona ottimista, proseguo per la mia strada cercando di esprimermi al meglio cercando l’originalità in ogni pezzo.
Commercializzazione estrema quella del tatuaggio in questo momento: serie tv, film, davvero qualsiasi cosa. Avendo iniziato in un momento in cui avere un tatuaggio era quasi una vergogna, come vivi tutto questo?
Ho rifiutato di fare una serie Tv perché non volevo diventare troppo commerciale, e sono felice di averlo fatto. Il mio studio è abbastanza conosciuto, non vedevo motivo per farmi ulteriore pubblicità. Penso che questo mercato sia adesso molto saturo, anche se molti tatuatori della nuova generazione sono degni di nota. Credo però che il futuro sarà quello di tatuarsi dalle persone che brillano di luce propria avendo inventato un loro stile e non da persone che brillano di luce riflessa copiando la firma di altri.
Da dove trai ispirazione per i tuoi tatuaggi?
Trovo ispirazione da più fonti, può essere una canzone, un’immagine che vedo in un film, una stampa su una tshirt, che ovviamente non riproduco uguale, ma usando i colori che magari mi hanno colpito per un’altra creazione, può anche essere la frase di un libro. Può arrivare da milioni di cose.
Camaleontica, sorprendente, iconica. Per il ruolo di Mia Wallace, non potevamo che scegliere Justine Mattera. Solo lei sarebbe stata capace di ricoprire un ruolo così complesso con tanta eleganza.
Per quelli che non lo sapessero, Mia Wallace è la protagonista femminile incarnata da Uma Thurman in Pulp Fiction. Nel film, interpreta una tossicodipendente “moglie del capo”, ma che nonostante la sua vita poco raccomandabile, è un’immensa femme fatale capace di far innamorare qualsiasi uomo grazie alla sua classe ed eleganza. È proprio questo che ho notato in Justine quando ci siamo conosciuti: l’eleganza, e soprattutto il suo essere poliedrica. L’abbiamo vista in Televisione, l’abbiamo ascoltata in radio, l’abbiamo sfogliata nelle maggiori riviste nazionali e non, l’abbiamo vista al cinema e anche a teatro, dove, infatti tornerà dal 28 gennaio al 22 febbraio, con la commedia “Pene d’amor perdute” di William Shakespeare e diretto da Riccardo Giudici con i trench Burberry.
A Justine piace mettersi in gioco, affrontare nuove sfide, per lei nulla è scontato: motivo per cui alla nostra richiesta, non ha esitato a dirci sì, interpretando al meglio un ruolo così complesso. Ladies and gentleman Mrs. Mia Wallace.
Per quale motivo hai scelto di accettare la nostra proposta, e di diventare la nostra covergirl di gennaio?
Dopo avervi conosciuto ed essere stata colpita dal vostro talento, ho deciso di seguire il mio istinto e di buttarmi in questo progetto. E’ giusto dare spazio ai giovani!
Nella tua carriera hai fatto, e stai facendo davvero tanto. E’ stato difficile interpretare un personaggio così distante da te?
Non lo è stato! Pulp Fiction è un film che ho adorato e che conosco molto bene. Chi poi non vorrebbe essere Uma Thurman? Non che io lo sia, eh! Ma quando ho messo la parrucca mi sono immedesimata in lei, mi sono fatta trascinare dal momento, dalla situazione, dai vestiti ed ecco fatto.
Come sarebbe secondo te la giornata tipo di Mia Wallace?
Mia me la immagino come una classica ricca, snob, ma più che altro annoiata, abituata a ottenere ciò che vuole, e a cui piace divertirsi… Anche grazie all’abuso di sostanze illegali.
Invece com’è la giornata tipo di Justine Mattera?
Forse la mia è più noiosa della sua! (ride ndr).
Ho due bambini, non ho mai molto tempo per me stessa. A volte capita che dopo averli accompagnati a scuola, vada in qualche showroom a scegliere alcuni abiti, o faccia delle interviste in televisione, o che magari se è sera, vada a fare da vocalist in qualche locale. Adesso invece sto facendo le prove per ”Pen D’Amor Perdute” di Shakespare, che debutta tra poche settimane al teatro Caboto di Milano, quindi, anche le prove dello spettacolo fanno parte della mia giornata.
A proposito di teatro, adesso ti appresti a tornarci con ”Pene D’Amor Perdute” di William Shakespeare…
Sì, è un progetto sperimentale che mi ha colpito sin da subito. Diciamoci la verità, Shakespare a teatro non vende, a meno che non ci sia Al Pacino ad interpretare Riccardo III, o un personaggio simile. Però ho pensato che quando mai mi sarebbe ricapitato di prendere parte in Italia ad un’opera di William Shakespeare? Penso mai nella vita, quindi ho accettato. Negli Stati Uniti ho avuto occasione di recitare in lingua originale in opere come Macbeth e La Tempesta, mentre invece questo è lavoro meno conosciuto… Una sorta di commedia light, rivisitata in chiave ironica, fashion, ma di spessore. Io interpreto la Principessa di Francia, che ha studiato negli Stati Uniti… proprio come me! (ride ndr)
Sei anche impeccabile in fatto di moda, infatti hai messo una grande impronta nel nostro shooting. Quanto la moda influisce nella tua vita?
La moda mi diverte, mi da modo di esprimermi quotidianamente. La prima impressione, alla fine, è basata su quello che indossi, quindi è importante essere impeccabili, ma rimanendo sé stessi. Mi piace definirmi una ”freak” perché mi piace divertirmi indossando cose che la gente non si aspetterebbe. Non mi piace essere prevedibile.
Negli scatti ti vediamo sempre con un bracciale nero, cos’è di preciso?
E’ il mio Beurer Activity Tracer, un sensore di attività a bracciale che registra ininterrottamente l’attività fisica e monitora la qualità del sonno che posso poi controllare con un app direttamente sul mio Smartphone!
Così distanti ma così unite, con la parrucca addosso ho difficoltà a ricordarmi che in realtà sei Justine e non Mia Wallace. Qual è un aggettivo che ti unisce a lei, e uno che ti differenzia?
In comune abbiamo la consapevolezza di chi siamo… l’essere sexy. Mi differenzia il fatto che io non mi drogo, non mi sono mai drogata, e a differenza sua, non sono sposata con un Gangster!
Quentin Tarantino è un regista che presta molta cura alla parte sonora del film… Alle colonne sonore. Quale secondo te, dovrebbe essere quella giusta per il nostro servizio?
Noi abbiamo usato quella originale del film, che secondo me è stata una parte fondamentale per ricreare il mood originale che si respirava sul set. Se ne dovessi scegliere una, Girl You’ll Be A Woman Soon degli Urge Overkill.
Photographer ALESSANDRO LEVATI
From an idea of ALESSANDRO LEVATI, JOHNNY DALLA LIBERA, FEDERICO LEDDA
Make up YLENIA MOLINARI
Styled by FEDERICO LEDDA, JUSTINE MATTERA
Production JOHNNY DALLA LIBERA, VANINA VIVIANI, ALESSANDRO VILLA
Backstage video ALESSANDRO VILLA
Graphic designer FILIPPO MANELLI
Location DRIVER INDOOR PARK (Via Pasquale Paoli 114, – Como)
Il Natale è arrivato e si è fatto anticipare dall’atmosfera che lo introduce: strade e balconi illuminati, addobbi, canzoni, regali e la neve!
Ah no! Ma così come la rondine non fa primavera, la neve non fa il Natale!
Nel mio Natale da #addicted devono esserci ben altre simbologie oltre alla neve!
Ammettiamolo non è Natale senza JingleBells ed i vari canti tradizionali Natalizi, nonostante arrivino dalle culture occidentali USA perché oltre ai film dai quali veniamo inondati ogni anno i grandi artisti pop ci hanno regalato delle vere perle da appendere al nostro albero.
C’è anche un ordine cronologico da rispettare nelle canzoni. Devi iniziare ricordando il tuo “Last Christmas” poi lasciarti trasportare dallo spirito di “Jingle Bells Rock” mentre stai “Rocking Around The Christmas Tree“. Non ti resta che guardare fuori dalla finestra ed aspettare un “White Christmas” e semplicemente esortare un “Let It Snow“!
Guardando i regali e le persone vicine a te devi considerare chi davvero è importante per te perché “All I Want For Christmas Is You” e dopo la compagnia, lo scambio dei regali e dei brindisi devi andare a letto perché “Santa Claus Is Coming To Town“!
Una volta arrivato finalmente il Natale allora non resta che augurare a tutti un “Happy Xmas [War Is Over]” (quella di John Lennon per intenderci) and a happy new year!
E’ finalmente accaduto!
Giovedì scorso si è svolto il nostro party di lancio al #JustCavalliClub di Milano. Tanto divertimento, tanto stile e soprattutto tanta musica by Federico Ledda come #CRAZYMOTHERCUKERS, duo ideato insieme a Vittoria Hyde. Un ringraziamento doveroso va ai nostri ospiti d’onore Justine Mattera, Andres Diamond e la nostra covergirl Valentina Pegorer. Ma anche a tutti i nostri amici, colleghi e lettori accorsi all’evento. Eravate tutti bellissimi.
In attesa del prossimo evento, che siamo sicuri, avverrà presto, ecco alcune foto dell’evento. Ne potete trovare delle altre all’interno della nostra pagina ufficiale di Facebook. #JustCavalli4TEF
It’s finally happened!
Last Thursday at the #JustCavalliClub, in Milan We officially launched #THEEYESFASHION! Lots of fun, of style and music played by Federico Ledda as #CRAZYMOTHERFUCKERS, duo created with Vittoria Hyde. A huge thanks to Our guests Justine Mattera, Andres Diamond to Our covergirl Valentina Pegorer, and also to Our friends, colleagues and readers who came to celebrate with Us! You were all gorgeous.
See now more pictures about the night in our Facebook Official Page. #JustCavalli4TEF