LET’S GET PHYSICAL #1 – CORRI, CORRI!

di Donato Ambrogi

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E’ iniziata l’estate e si sente sempre di più l’avvicinarsi delle tanto attese vacanze.
Meta più gettonata: MARE.
Come accade di normalità, ogni anno ci si pone come obiettivo di arrivare alla prova costume più in forma possibile, affidandosi spesso però a leggende metropolitane come quella di correre per ottenere determinati risultati.

Oggi prenderemo in analisi quest’attività molto amata e per certi versi molto odiata.
C’è chi corre per passione, chi per mantenersi in salute e chi per altri validi motivi; e poi c’è chi corre per dimagrire.
Ma funziona davvero? Analizziamo  la situazione…

Premettendo che il livello della corsa debba essere sempre abbastanza sostenuto; partiamo subito dal dire che pur avendo una spesa calorica relativamente elevata rispetto alle altre attività fisiche, implica solo uno sforzo aerobico.
C’è da sapere che con la corsa noi andiamo a consumare un mix di carboidrati e grassi, più indirizzato verso il dispendio enefitness_moda_80rgetico. Tuttavia è possibile sapere quanti grammi di grassi possiamo bruciare Affidandoci alla formula di Arcelli secondo la quale quello che si brucia (in grammi) durante la corsa sarebbe misurabile in grassi;
prendiamo in analisi un soggetto donna di 60 kg. Per calcolare quanti grammi di grassi questo soggetto consumerà, ci basta prendere il peso della persona, in questo caso avremo come valore 60 kg che andrà moltiplicato per i kilometri percorsi, per poi andare a dividere il tutto per 20 (che è una costante di proporzionalità valida per ogni caso). Ipotizzando che in un ora di corsa la donna abbia corso 10 km possiamo vedere che dal punto di vista del dispendio di grassi ha speso soltanto 30g. La parte che fa che davvero dimagrire della corsa è l’attivazione del metabolismo, dei muscoli e il debito d’ossigeno che si viene a creare dopo la corsa e non durante, in poche parole può essere favorevole solo con una dieta efficiente.
Per concludere facciamo un piccolo riferimento a chi corre coperto da panciere, k-way o quel che sia.
C’è una cosa da sapere: più sudate e meno grassi andrete a bruciare; questo perché il corpo per mantenere una temperatura sempre costante, inizia a disperdere calore attraverso il sudore. Facendo ciò si ha un aumento della circolazione sanguigna sottocutanea, avendo così un evidente conflitto fra muscoli e pelle che hanno entrambi bisogno di un apporto di sangue. Il cuore così facendo, dovrà pompare più sangue e a parità di distanza e velocità percorsa avremo bruciato più zuccheri e non più grassi.

Al mese prossimo, e mi raccomando: Let’s Get Physical!

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CI PENSA MAINARDI

TAL_6877di Federico Ledda
foto di Alessandro Levati @ Just Cavalli Milano

Chi ha detto che le rockstar devono per forza riempire uno stadio e non un ristorante? E’ proprio questo che sta capitando grazie alla tonnellata di programmi televisivi riguardanti la cucina a tutto tondo.
Uno dei maggiori esponenti di questo fenomeno e quindi una delle più famose rockstar (da sold out a Wembley, per intenderci) è sicuramente Andrea Mainardi, che in televisione ha su Fox Life un suo show chiamato #CiPensaMainardi, ed è ospite fisso a La Prova Del Cuoco con Antonella Clerici. Non solo televisione per Mainardi che nel frattempo ha inaugurato un esclusivo ristorante a Brescia disponibile solo per un paio di persone alla volta, un ristorante a Boston, e uno anche a Bucharest.
L’abbiamo incontrato tra un piatto di riso e un bicchiere di rosso al Just Cavalli, dove aveva appena tenuto un divertente e istruttivo workshop.

Che cosa significa la cucina per te?
Indipendentemente da tutto dobbiamo mangiare. Sta a noi poi scegliere se mangiare bene, o arrangiarci a mangiare quello che capita. Per me la cucina è uno stile di vita, è il mio modo di comunicare…Di conoscere meglio le persone, e di farmi conoscere meglio.TAL_6871

Quali sono stati i tuoi inizi?
Quando avevo 8 anni, ho trovato una rivista del settore dove in copertina c’era lo chef Gualtiero Marchesi. Sfogliandola, ho poi deciso che avrei fatto lo chef, o che comunque avrei lavorato nel settore. Da allora ho messo tutto il cuore e anche l’anima in questo, e piano piano sono arrivati i primi risultati, prima il programma con la Clerici, poi il ristorante di Brescia e successivamente il programma su Sky, che per adesso è il più grande traguardo della mia vita.

Qual è l’ingrediente che nei tuoi piatti non può mancare?
L’acidità…Diciamo che nei miei piatti è quasi essenziale. Molte volte si pensa che sia un ingrediente a rendere un piatto speciale, ma in realtà più che un ingrediente è il mix di tutti gli ingredienti a rendere il gusto completo e quindi, un piatto ben riuscito.

E invece l’ingrediente della quale fai volentieri a meno?
Diciamo che per gusto personale non amo particolarmente le frattaglie. Sono proprio un mio limite che purtroppo non riesco a superare!

Qual è la cucina che preferisci?
Quella della mamma. Ha una storia, non è fatta a scopo di lucro, ma con amore e passione.

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PITTI WHAT?

ALE_9008 di Liliana Riva
foto Alessandro Levati @ Showbit Agency 

Dal 16 al 19 giugno 2015 a Firenze si è tenuta a Fortezza da Basso l’88esima edizione del Pitti uomo. Sulla carta, la più grande manifestazione fieristica al mondo riservata alla moda maschile e ai percorsi del lifestyle contemporanei nonché la promozione del migliore “Made in Italy”. Ma se vi state chiedendo VERAMENTE che cos’è il Pitti, la risposta è la seguente: la fiera dei dandy.

ALE_0060Ogni sei mesi per quattro giorni Firenze diventa la capitale dello stile richiamando in città il popolo della moda per scoprire in esclusiva le collezioni in vendita l’anno prossimo. Dalla stazione di Santa Maria Novella è una processione di gentlemen che, non si sa per quale motivo, girano sempre in gruppi di 4/5. Sarà l’influenza delle boy band anni ‘90? Chi può dirlo, fatto sta che quando camminano spavaldi verso di te è un attimo che nella tua testa parta un “Backstreet’s back, alright!”

Una volta entrata in fiera è il caos, un tripudio di stand di ogni genere e dimensione. Impossibile vederli tutti e osservare tutte le nuove collezioni ; Tra i più particolari però sicuramente lo stand di Happiness con il suo giardino segreto a metà tra il labirinto del torneo tremaghi di Harry Potter e Alice nel paese delle meraviglie, veramente suggestivo.

La maison Scoth & Soda, con la perfetta riproduzione di oasi nel deserto tra tavole tonde e quadrate, grandi cuscini su stuoie orientali e tappeti etnici per un momento di relax; ed infine Mc2 Saint Barth porta una ventata d’ estate trasformando lo stand in un enorme cabina bianca da spiaggia, con tanto di sdraio per prendere il sole.

Ma parliamo di persone e soprattutto di vestiti che è quello che ci interessa per davvero. Nei miei due giorni di Pitti ho osservato tre categorie principali di fashion addicted:

  1. Dandy moderni. Rigorosamente in completo di colori sgargianti e/o pastello, frequentissimo il check su pantaloni o giacche che fa subito dettaglio edgy e di tendenza. Per gli uomini il nero è bandito, sia perché tu dandy moderno, vestito di strati a fine Giugno, non puoi permetterti di avere caldo e lucidarti la fronte che poi nelle foto vieni male; Sia perché, diciamocelo, col nero nessuno ti si fila.

Barba e capelli diventano un accessorio per stupire; il “face style” richiede baffi in sù alla Dalì o arricciati “ a manubrio”, barbe lunghe personalizzate con treccine, riccioli o code donando un’aria di austerità, ricercatezza ma con quel “personal touch” che non può mai mancare.

Per completare il look una cascata di gioielli; anelli, collane, bracciali in stile etnico e floreale, must haves per l’estate ed infine, il mocassino ovviamente in pendant con l’ outfit.

  1. Lo sciatto troppa moda. Oltre al classico completo delizioso, su misura, elegante e raffinato gli uomini scelgono il tipico outfit che ti confonde; pantaloni corti oversize, tunica orientaleggiante giallo senape, cappello di paglia alla Sampei , empty pocket pochette e il sandalo aperto che tuo zio Peppe usa per la passeggiata in paese a Castellammare. Tu, con un minimo di gusto e senso estetico ti poni una sola domanda: Si è vestito al buio, o è così avanguardista e troppa moda da non essere compreso da menti comuni e mortali? La risposta è: entrambi. Lo scopo del Pitti e di tutte le manifestazioni nel campo della moda, è quello di farsi notare, essere fotografati per poi ritrovarsi su blog o articoli che trattano di street style e nuove tendenze e ormai si sa, la moda non ha regole né confini.ALE_9869
  1. Indiana Jones e il tempio maledetto. Un po’ come indiana Jones che combatte i suoi nemici, l’uomo del Pitti deve far fronte ad una competizione feroce nel magico mondo del glamour e dello stile e lo fa a colpi di cinture di pelle e cappelli da esploratore. Beige, bianco, grege e verde militare sono le palette cromatiche da seguire, l’outfit è composto da camicia di lino leggera, zaino in spalla di pelle o bauletto squadrato in legno intrecciato, accessori etnici once again e immancabile gilet etnico; queste le basi per un perfetto look da esploratore della natura selvaggia.

Per quando riguarda l’atteggiamento tipico al Pitti, la cosa veramente curiosa è che chiunque tu sia e qualsiasi cosa tu faccia lì passerai una buona metà del tuo tempo seduto su una panchina, un muretto o una ringhiera in attesa che qualche fotografo o cacciatore di street style ti faccia una foto immortalando il tuo look e la posa da gnorri, guardando l’infinito con aria sognante.

 

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THE DONATELLA – AN EXPLOSION OF FRESHNESS

di Federico Ledda
foto Alessandro Levati

Quale miglior rimedio al caldo torrido che ci sta coinvolgendo, se non una manciata di aria fresca? Ci siamo ispirati a questo per la scelta della cover di luglio/agosto, che non poteva non coinvolgere la freschezza per eccellenza: LE DONATELLA.
Cantanti per vocazione, LE DONATELLA lo fanno diventare un lavoro partecipando a una delle ultime edizioni di X Factor facendo appassionare tutti per la loro vivacità e simpatia, caratteristiche che riconfermano qualche anno dopo vincendo l’ultima seguitissima edizione de L’Isola Dei Famosi che le ha premiate sì, per la loro vivacità e simpatia ma anche per essere state le più tenaci del gruppo.
Dopo questa prova prova di coraggio, le gemelle sono tornate a produrre musica, sfornando il singolo DONATELLA con la collaborazione di Donatella Rettore, che ancora una volta conferma la loro freschezza, posizionandosi come un tormentone estivo assicurato.

Chi sono Le Donatella?
Due ragazze di 21 anni che hanno già avuto tanto dalla vita, e che cercano di viverla sempre al massimo, con tanta grinta e cercando di non avere mai rimorsi.

Com’è cambiata la vostra vita dopo X Factor?
La vita privata non è cambiata…Siamo sempre state leali e ci è sempre piaciuto contornarci di persone vere, con dei principi, quindi non è cambiato niente, se non il fatto di essere maturate, e di fare quello che amiamo per lavoro.

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Dopo la partecipazione a X Factor, si sono un po’ perse le vostre tracce, fino all’annuncio della vostra partecipazione all’Isola dei Famosi. Che fine avevate fatto?
Nessun tipo di fine! Uno pensa che se non sei 24 ore su 24 in televisione allora sei morta. In realtà no, anzi. E’ stato un periodo felicissimo e pieno di soddisfazioni per noi. Abbiamo studiato tanto, abbiamo scritto tanti pezzi, molti tra l’altro ancora inediti… Ma non solo! Essendo da sempre affascinate dalla moda, abbiamo anche lavorato come modelliste 1 anno e mezzo in un Atelier di abiti da sposa.

 

E’ difficile farvi definire cantanti dopo avere partecipato a un reality che con la musica non ha niente a che fare?
Non amiamo definirci. Facciamo quello che amiamo, che non è solo ed esclusivamente la musica.. Pur essendo la prima cosa, non è l’unica. Siamo due persone curiose e appassionate della vita.

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Cosa vi ha portato la partecipazione all’Isola Dei Famosi?
Ci ha cambiate completamente. E’ un’esperienza che ti rivoluziona, ti fa maturare, ti fa pensare molto e soprattutto, ti mette alla prova.

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E a livello lavorativo?
Per noi l’obbiettivo principale è sempre stato solo ed esclusivamente la musica. Chi ci conosce lo sa bene, e sa anche che da noi non ci si può aspettare niente, come ci si può aspettare tutto. Restate sintonizzati, e vedrete di cosa siamo capaci!

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Photographer ALESSANDRO LEVATI
Photographer’s Assistant ALESSANDRO VILLA, MARILU’ VENDITTI
Graphic designer CRISTINA BIANCHI
From an idea of FEDERICO LEDDAALESSANDRO LEVATI
Hair and Make Up EMANUELA CARICATO
Styled by FEDERICO LEDDA
Fashion collaborator VALENTINA M.
Production FEDERICO LEDDA, ALESSANDRO LEVATI, LARA BIANCHI
Location The Light Place (thelightplace.it <http://thelightplace.it> )
Special Thanks To Alfredo Tomasi, Lara Bianchi @ annaBi & Laura Magni

 

MPFW: CIFONELLI SS16

foto di Federico Ledda
foto Alessandro Levati @ Showbit Agency

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Cifonelli porta ancora una volta in passerella la classe che lo rende una certezza dal 1880.

Sofisticato, di classe e assolutamente moderno, il brand di alta sartoria francese presenta una primavera estate ricca di un fascino contemporaneo con un gusto retrò.

Estrema l’attenzione ai dettagli, per un uomo che non lascia nulla al caso.

Ecco i migliori look dalla passerella. 

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MPFW: AMI ALEXANDRE MATTIUSSI SS16

di Federico Ledda
foto Alessandro Levati @ Showbeat Agency
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Location dal look rustico e romantico per AMI ALEXANDRE MATTIUSSI , che per presentare la collezione spring-summer 2016 durante la Paris Fashion Week, sceglie uno spazio insolito e dallo stile puramente francese.

E’ difficile essere dei dandy d’estate, quando il caldo cuocente ci picchia addossoe ci fa desiderare solamente di andare in giro il meno vestiti possibile. Lo sa bene Alexandre Mattiussi, che per la prossima primavera-estate, non rinuncia alla classe, ma vivacizza i colori limitandone i tessuti.
Dal sapore anni 80, rivisitati però con tagli essenziali e mai scontati, i maestri della sartoria francese, propongono un uomo che nonostante la stagione non rinuncia al pantalone e al completo, sdrammatizzandolo però con forti influenze street ottenendo un perfetto mix tra impatto e leggerezza. Geniale la felpa turchese sotto la giacca gessata.

Ecco i migliori look dalla passerella.

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MPFW: WOOYOUNGMI SS2016 – BACKSTAGE DIARY

di Federico Ledda
foto Alessandro Levati @ Showbit Agency

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Cosa succede nel backstage di una sfilata? Per raccontarvelo siamo andati in quello di Wooyoungmi durante la Men’s Paris Fashion Week.

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I preparativi di un Fashion Show (che spesso e volentieri accade durante la settimana della moda, ovvero una settimana in cui tutti i maggiori brand di moda presentano le prossime collezioni), partono mesi prima e si sviluppano mano a mano a pari passo con la creazione della collezione da presentare. Ci sono tante cose a cui pensare: la prima cosa è il mood, ovvero, l’atmosfera che si dovrà respirare durante la sfilata, che al 99% dei casi si rifà all’ispirazione di collezione. In base a questo va scelto l’orario, la location, la colonna sonora, e le luci. Successivamente invece, si passa alla scelta dei modelli, al trucco e al parrucco. Per ultimo, ma non da meno, si pensa al catering, e si fanno i seating, ovvero, l’assegnazione dei posti degli invitati alla quale poi verrà inviato l’invito cartaceo. Tutto qua? No. Dopo aver scelto i modelli, il giorno prima della sfilata, si richiamano per fare i fitting, ovvero le prove dei look. Una volta messi a punto, è tutto pronto!

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Il grande giorno è arrivato! Dopo che la location è stata allestita, e mentre i truccatori e i parrucchieri preparano il loro l’armamentario, i modelli e il regista possono fare le prove generali per regolare tutti i tempi.

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Una volta finite le prove, si va al trucco, dove, al solito, ci si impiega almeno un paio di ore. Nel frattempo la gente inizia ad entrare e a prendere posto, ci siamo! Si inizia!

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11667041_10200654987612839_1097764174_nPoco prima dell’inizio, dietro nel backstage, i modelli si mettono in line up, ovvero in fila indiana pronti per uscire in passerella, e il regista da le ultime raccomandazioni affinché vada tutto per il meglio.

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Le luci sono calde. La musica è pronta a partire. Gli invitati ai loro posti, e i modelli in line up, è tempo di iniziare!

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La sfilata è terminata, ed è andata di bene in meglio! Adesso è il tempo di festeggiare durante l’after party ufficiale!

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MMFW: VIVIENNE WESTWOOD SS16

di Federico Ledda

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I politici sono criminali.
Ancora una volta Vivienne Westwood utilizza la sua sfilata per diffonedere un messaggio specifio e, in questo caso, politico.

”I politici sono criminali” proietta lo schermo dietro ai modelli che nel frattempo sfilano per presentare una collezione essenziale e poco pretenziosa, che in perfetto stile Westwood cerca di rappresentare un messaggio che va oltre i vestiti.

”La politica è stata deviata dai criminali. Politici! Chiamiamoli criminali”

Per saperne di più: www.climaterevolution.co.uk 

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RJ MITTE FROM BREAKING BAD

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MMFW: DAKS SS16

di Federico Ledda

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MENS SANA IN CORPORE SANO – è ispirato ad una delle più celebri locuzioni latine la collezione DAKS primavera estate 2016.

Collezione dall’eleganza distintiva e raffinata, le cui linee sono dettate – così come nella ginnastica, da rigore e disciplina, all’interno della quale due diverse anime convivono in modo sinergico e complementare.

Dalle linee classiche e con uno sguardo al vecchio rigore della ginnastica degli anni 30 che rivive nei pantaloni ampi, a vita alta, con il ritorno delle pinces, e in una stampa, l’unica voluta nella collezione e visibilmente deco’ che viene proposta anche sulla maglieria, presente nella collezioni solo in tre fibre diverse.

Formale, ma estremamente elegante e sofisticata la collezione firmata DAKS, si esprime principalmente in colori pastello e grazie anche al cuoio naturale: un caro richiamo alle palestre d’epoca, e l’unica componente in pelle della collezione, dalla quale nascono dai capispalla a prestigiosi accessori per un uomo classico, ma pur sempre audace.

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MMFW: JOHN RICHMOND SS 2016

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Sfilata estremamente iconica per John Richmond che sceglie di guardare al futuro ricordando il passato, grazie ai pezzi classici che da sempre caratterizzano la maison, rivisitati però con dettagli sovversivi che mescolano eleganza sartoriale e casual chic a praticità sportiva.

Bianco e nero, blu directoire, mimosa, rosso agrodolce e arancione cheddar. Questi i colori principali della spring summer 2016, che grazie anche a stampe optical e a tessuti quali seta/cashmere, cotone jacquard, lana super leggera e pelle lavorata con trasparenze, donano ai look un effetto rock-sofisticato.

Ancora una volta, la musica ricopre un ruolo fondamentale nella sfilata e nella creazione degli abiti. In questo caso, a fare da colonna sonora ci hanno pensato i Chemical Brothers con Hey Boy Hey Girl: un beat dance che aumentando cattura i look cut-up e angolari della primavera estate 2016.

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MMFW: DIRK BIKKEMBERGS SPORT COUTURE SS 2016

di Federico Ledda
 foto di Alessandro Levati @ Showbit Agency
backstage Marilù Venditti

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Dopo avere faticato e sudato per tutto l’inverno, è arrivato il momento di spogliarsi per mostrare i risultati di tanta fatica, e finalmente rilassarsi. Sceglie infatti le Terme di Milano Dirk Bikkembergs per presentare la sua collezione SS 2016. L’elemento predominante? L’acqua e il benessere a 360 gradi.
La sport couture firmata Bikkembergs ci fa pensare all’uomo visto come un guerriero urbano e sofisticato che dopo devota dedizione allo ”sweat” decide di prendersi una pausa estiva per ritrovare il suo equilibrio interiore.

Il mondo orientale è l’ispirazione della collezione, che reinterpreta secondo i canoni della maison elementi rubati alle uniformi delle arti marziali, grafismi, linee e motivi origami.
Il tema che caratterizza la collezione, invece è sicuramente il red bamboo, che insieme a smoking sartoriali in jacquard, accessori formali come cravatte, foulard e pochette, dà un tocco di eccentricità ottima al look.

A predominare sono invece il bianco e il nero, con accese irruzioni di verde e rosso.

Forza e tenacia, da sempre caratteri predominanti dell’uomo Bikkembergs non vengono trascurati nemmeno in quest’ultima sfilata, dove a rappresentargli al meglio ci ha pensato un ospite d’eccezione, il ragazzo d’oro per eccellenza: Gue Pequeno, che ha chiuso la sfilata.

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THE ART OF SEX

di Valentina M.

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Se vi sono due cose che apprezziamo e seguiamo, queste sono l’arte e la pornografia; più nel dettaglio, l’arte contemporanea ormai non segue più nessuna regola o tabù legittimando, invece, la libertà sessuale.

Attraverso la pornografia e il porno il nostro corpo perde la sua identità e diventa neutro, in questo modo è libero di provare piacere dando libero sfogo ai suoi istinti.

E’ il trionfo di un corpo pieno di desideri che non è più lo specchio di una identità e di un volto che è pubblico; è quindi una sorta di maschera che noi possiamo portare quando vogliamo.

Il sesso è, altre sì, uno tra i più grandi business del mondo. Anche se dall’inizio della vita, l’attività sessuale fa parte del nostro ciclo vitale e routine, l’uomo non si stancherà mai di esserne affascinato, alla ricerca giorno dopo giorno, di un qualcosa, di un particolare o di un attimo che lo faccia incuriosire e quindi eccitare.

Jeff Koons nel 1990 decide di farsi immortalare durante un rapporto sessuale con la pornostar e futura moglie Llona Staller, in arte Cicciolina; gli scatti vennero poi esposti durante la Biennale di Venezia dando vita per la prima volta, ad un’opera d’arte che prevede l’uso della pornografia.

Con Made in Heaven, diversamente dall’arte conosciuta fino ad ora, l’atto sessuale viene mostrato nella sua forma più cruda, senza l’uso di veli e senza significati intrinsechi, il sesso viene così elevato e nobilitato, mentre il corpo che l’artista mette a disposizione diventa un vero e proprio oggetto di arte, se non l’opera stessa.

Grazie a questa installazione Koons è diventato uno tra gli artisti più influenti e innovativi del mondo, dando un punto di partenza per altre opere d’arte a sfondo pornografico.

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Andrea Serrano, artista americano famoso per gli scatti d’impatto, pubblica History of Sex e Interpretazione dei Sogni dove tratta dello stretto legame tra sesso, sogni e teorie Freudiane.

Infatti nel sogno non sono presenti Tabù, non vi è un giusto e un sbagliato ne una logica; sogniamo prettamente ciò che nel profondo desideriamo e solo durante il sonno riusciamo a dare sfogo alle nostre fantasie più intime.

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Andrea Fraser decide invece di trasformare il proprio corpo in opera d’arte attraverso un rapporto sessuale con chi di arte se ne intende: il collezionista. L’atto avvenne in una camera d’albergo del Royalton Hotel di New York, dove, in un angolo, fu posta una videocamera che per 60 minuti riprese tutto.

Con questa performance del 2003, l’artista voleva sottolineare il potere indiscusso dell’uomo visto come sesso forte, e lo stretto legame tra prostituzione e marketing.

Furono realizzati 5 copie del video, 3 delle quali andarono a privatisti, ed una al collezionista del video, che partecipò

non per sesso, ma per un esperimento artistico

In Official Welcome (2001) la Fraser si propone ancora come oggetto artistico, ma questa volta decide di esporsi durante una cerimonia artistica in una gallerie, nella quale si spoglia per rimanere coperta solo da un piccolo perizoma e da un paio di scarpe Gucci.

L’artista si decanta non più un essere vivente ma bensì un oggetto artistico e chiede di essere collezionata.

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In Nudes di Thomas Ruff, l’artista si appropria delle immagini pornografiche e le trasforma in oggetti artistici.

Preleva alcune immagini da film porno amatoriali,la trasforma, le sfuma e le rende più confuse, per prendersi gioco della nostra fantasia e della nostra vista.

Per quanto noi cerchiamo di captare il particolare e la definizione, perché è questo che ci eccita, non la troveremo mai. Il lavoro di Ruff, è infatti una riflessione sui nostri sensi, sull’impossibilità di veder tutto e mostrare tutto, anche se vorremmo farlo.

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WHEN IN ROME… #4 – WALKING AROUND

di Sara Bianchi
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“Come è iniziata la tua carriera? Il momento in cui hai capito di avercela fatta?”

L’ATTORE FETICCIO

FABIO DE LUIGI, Roma -Cinecittà-

“Allora…la mia carriera é iniziata nell’ormai lontanissimo 1990, stavo studiando nell’Accademia delle Belle Arti a Bologna e ho cominciato iscrivendomi quasi per scherzo ad un concorso per giovani comici emergenti”

“Per quanto riguarda il momento in cui…forse oggi…ahahahah…il giorno in cui ho capito di aver fatto la scelta giusta, beh alla fine era quello che volevo fare da quando avevo tipo tre anni per cui quella fortuna lí l’ho avuta e finché non se ne accorgono vado avanti!”

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LA FETICISTA

CHIARA FRANCINI, Roma -Cinecittà-

“Oddio…la mia carriera é iniziata al teatro della Limonaia di Sesto fiorentino quando ho iniziato il primo anno del corso dell’Accademia. Per quanto mi riguarda penso tutti i giorni di aver fatto la scelta giusta, sono felice, certo é un lavoro faticoso ma sono veramente molto felice, però posso dirti che non c’é un giorno in particolare perché penso di dover fare ancora molta molta strada…”

IL POETA ROMANO

RICKY MEMPHIS, Roma -Cinecittà-

“Come devo risponne?”

“Tu parla, io registro e poi trascrivo!”

“Ok…allora la mia carriera è iniziata fine ’89 inizio ’90 con la pubblicazione di un articolo ed un servizio fotografico che mi riguardava sul mensile dell’epoca che era King. Me l’avevano fatto perché leggevo delle poesie che scrivevo nei locali notturni di Roma…da lì Maurizio Costanzo ha letto l’articolo, si é incuriosito e mi ha fatto chiamare. Sono stato in trasmissione, la trasmissione la stavano seguendo in televisione Tognazzi e Simona Izzo che stavano per girare un film, io lí ho espresso il desiderio di fare l’attore, mi hanno chiamato, ho fatto il provino e cosí ho fatto il primo film.Tutti i giorni mi rendo conto di aver fatto la scelta giusta, tutte le mattine in cui mi alzo e vado sul set a giocà e a divertimme…”

 

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NERD ALERT: DONNIE DARKO

di Luca Rivolta
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Ben ritrovati al solito appuntamento con lo schermo cinematografò [cit.]. Oggi abbiamo deciso di soffermarci su qualcosa di più nerd, nonostante rimanga qualcosa di mergaextrasuper cult. Ah, da nerd veri, non quei nerd che di nerd hanno solo la scritta sulla maglia, e poi scopano più di Mick Jagger. Direi che è un film più che altro adatto a quelli che hanno assidui rapporti con uno schermo. Che poi sia diventato fenomeno di massa e in quanto tale venga abusato da cani e porci è un altro discorso.

Innanzitutto la pellicola è stata scritta e diretta da un certo Richard Kelly (non meravigliateli di non averlo mai sentito, è tipo un profeta di qualche altro universo parallelo, giusto per restare in tema, sceso sulla terra per dirigere questo film e poi scomparire) nel 2001, ma per ovvi motivi in Italia è stato proiettato per la prima volta nel 2004 (che bello essere sempre all’avanguardia).

Tra gli attori non figurano sono nomi particolari, o per lo meno all’epoca dell’uscita nessuno era un attore più di tanto affermato, forse solo Drew Berrymore e Patrick Swayze. Infatti il film è stato girato con un budget veramente basso, primo dei motivi che lo rendono un capolavoro.

Il secondo motivo, come ben potete immaginare, è la colonna sonora. È incredibile come mi stupisca ogni volta del ruolo che riveste la musica nei film. Fa davvero da sola metà del lavoro. All’interno della pellicola si possono trovare pezzi come Head Over Heels dei Tears for Fears, Love Will Tear Us Apart dei Joy Division e Mad World reinterpretata da Gary Jules. Davvero, basterebbero queste tre canzoni a concludere qua l’articolo (sì è un articolo).

Il terzo motivo è che il film non ha un conclusione certa, ma è aperta a diverse interpretazioni. E, cosa che aumenta esponenzialmente il valore, per formulare un’ipotesi devi avere ottime conoscenze in robacce come fisica quantistica, wamhole, universi paralleli, esoterismo, filosofia e quant’altro (per questo all’inizio parlavo di nerd). Oppure invece che formulare ipotesi potete cercare in internet. Penso vada per la maggiore questa soluzione. In ogni caso quello che ci tenevo a specificare è che il film non è fantascienza pura. O meglio, rimane una storia assolutamente inventata, ma ha un riscontro importante sulle attuali teorie scientifiche sul continuo spazio tempo. Basti pensare che è così difficile da interpretare che gli autori hanno dovuto pubblicare qualche estratto inventato dal pseudobiblium “La filosofia dei viaggi nel tempo”, più volte citato all’interno del film

Prima di andare a parlare dell’ultimo motivo lasciatemi spiegare, evitando come al solito il più possibile spoiler e anticipazioni nel caso siate così babbi da non averlo ancora visto, un minimo della trama. Praticamente, il classico adolescente introverso, con un accenno di schizofrenia, va a scuola, viene bullato, se la fa con una ragazzetta, je cade un motore di un aereo in camera mentre lui è fuori o forse no, qualcuno muore o forse no, si torna indietro nel tempo o forse ci si trasferisce semplicemente in un universo parallelo. Più o meno è questo quello che penserete una volta vista la conclusione. La cosa veramente assurda, e che più mi ha colpito è il contesto in cui la storia si svolge: è facile fare un film dove si parla di viaggi nel tempo quando sei su una navicella e stai entrando in un buco nero e tutto il film è ambientato nello spazio e parla di viaggi interstellari (ogni riferimento è puramente casuale. Ovviamente non mi sto riferendo a 2001: Odissea nello spazio, perchè era il 68, e mentre la gente era fuori a spaccare cose Kubrick girava scene che a 50 anni di distanza Nolan ha riproposto paro paro. Il precedente riferimento non è più casuale.). La cosa incredibile è averla applicata in un mondo così semplice e banale come questo: il classico teenager americano, con la classica fottuta camicia sopra la maglietta e i cazzo di armadietti in corridoio a scuola. È come se Richard Kelly fosse riuscito a tirare fuori la Tour Eiffel da una cannuccia. Inoltre, all’interno del film vi è una retrosprettiva assurda non solo su tutto il discorso già accennato dello spazio-tempo, ma anche sulla psicologia che si cela dietro il protagonista. L’altra “aspetto morale” degno di nota è quello filosofico: non quello legato direttamente allo spazio-tempo, ma più quello connesso alla morte ed alla consapevolezza di essa. Perché Donnie Darko, è si un film che parla delle problematiche giovanili, del primo bacio, e delle solite cazzate, ma lo fa in un modo così cupo e sinistro tale da far si che tutto passi in secondo piano rispetto al volto vero e reale di tutta la faccenda: la morte e l’esistenza. E non posso spiegarmi meglio senza andare a racconare il film, ma vi assicuro che sono pensieri davvero maturi e profondi, e per nulla banali.

Quindi per quanto mi riguarda, se nel macinino butti dentro Joy Division, camicie sopra le magliette, esistenza umana e spazio-tempo, esce tipo una fusione tra Emily Ratajkowski e Sasha Grey.

Unica nota controversa: se come me fate la doccia con la porta del bagno chiusa quando siete in casa da soli perché avete paura che i mostri entrino senza farsi beccare mentre vi sciacquate lo shampoo, il coniglio con la maschera schifosa che ogni tanto compare in qualche angolo potrebbe farvi cagare addosso non poco.

 

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JASON DERULO – THE HITMAKER

di Federico Ledda

 

Chi è che non ha mai sentito in radio canzoni come Wiggle, Talk Dirty o Want To Want Me? Chiunque ha canticchiato almeno una di queste tre canzoni. Tre hit mondiali prodotte tra dalla stessa persona: Jason Derulo, l’uomo che non ha bisogno di introduzioni. Ed è davvero così, perché dopo aver piazzato 6 canzoni nella top 10 della classifica più importante del mondo, tutti conoscono e amano il rapper di Miami che ha fatto del suo nome una garanzia di successo. The Eyes Fashion l’ha incontrato nel quartier generale di Warner Music Italia dove era a presentare Everything Is 4, il suo ultimo album uscito lo sorso 1 giugno.
Ah, e mi raccomando, dopo aver letto l’intervista, tutti a ballare come se non ci fosse un domani con ”Want To Want Me” a tutto volume.

Descrivi il tuo nuovo disco in una parola
Necessario. Questo disco è un viaggio che ha qualcosa per ogni persona e per ogni situazione. C’è il pezzo che ti fa ballare, c’è quello che ti aiuta a dire ti amo, e quello che ti dà forza. C’è davvero qualcosa per tutti, quindi sì, è stato necessario per me, e spero che lo diventi anche per chi lo ascolta.

Everything Is 4 (Tutto è per…), ci puoi spiegare questo titolo?
Tutto è per mia madre, tutto è per i miei fans, e tutto è per la musica. In inglese diciamo ”for”, che si può semplificare anche con il 4, e anche questo ti fa pensare: quattro sono le stagioni, le gambe di un tavolo… Everything Is 4!

Nel disco ci sono collaborazioni davvero notevoli, tra cui quella con Stevie Wonder…
Sì, è stato pazzesco! Ancora non ci credo! Ci siamo conosciuti a una cena alla casa bianca, e dopo esserci presentati ho iniziato a pensare al mio prossimo album, e al fatto che ci sarebbe stata una canzone con l’armonica intitolata Broke. Non tutti sanno che Stevie è un bravissimo armonicista, cosa che mi ha fatto pensare: ”che bello se in Broke l’armonica la suonasse Stevie Wonder”. Così gliel’ho chiesto! Vedendo la sua sua risposta positiva e la sua disponibilità allora ho aggiunto: ”Che ne diresti di cantarci pure?” E lui a quel punto mi ha detto una cosa che mi ha fatto un piacere enorme: ”Certo che voglio e ti dico il perché: so già che se sentirò questa canzone alla radio, e se non ci sarà anche la mia voce, so già che me ne pentirò”.

Hai anche collaborato con Jennifer Lopez. Com’è stato lavorare con lei?
Non una, ma ben due leggende in questo nuovo disco! Un sogno! JLO è una delle artiste femminili più importanti di tutti i tempi, ma allo stesso tempo, oltre a essere estremamente professionale, è anche una persona davvero buona e dolce. Lavorare con lei è stato grandioso, spero che ricapiti.

Le tua canzoni vengono risuonate da ogni parte del mondo, come ci si sente ad aver raggiunto il successo planetario?
Sono contento che la mia musica piaccia a così tante persone, e sono fiero che le persone usino i miei pezzi come colonne sonore delle loro giornate, o addirittura a volte, della loro vita. E’ una cosa che mi riempe il cuore.

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WHEN MUSIC MEETS FASHION

di Federico Ledda
foto di Alessandro Levati

Per il numero di giugno abbiamo pensato ai due universi che caratterizzano maggiormente il concept di The Eyes Fashion: la musica e la moda. Spesso i cantanti, specialmente nella musica pop, costruiscono la loro immagine secondo i canoni dettati dalla moda. Le domande che invece noi ci siamo posti sono state: chi, tra gli artisti, al posto di seguire la moda cerca di crearla? Per chi la moda ha una parte fondamentale nella musica? Per chi è uno stile di vita? Ci sono venuti in mente subito due nomi. Vittoria Hyde e Saturnino. Così simili, ma così diversi.

Da una parte abbiamo Vittoria, camaleontica cantante e volto femminile di Virgin Radio che, ricca di entusiasmo e di sogni si prepara a lanciare un’importante nuovo progetto, che darà una nuova sfumatura al suo sound. Dall’altra abbiamo Saturnino immenso musicista ed insaziabile curioso, che insieme a Lorenzo Jovanotti, suo socio, ha lavorato a brani che hanno rivoluzionato la musica italiana. Ma non solo! È il fondatore della Saturino Eyewear: sofisticato brand di occhiali da sole dalle forme dinamiche e innovative. È uscito da poco il racconto della sua vita, dal titolo Testa di Basso scritto con l’aiuto di Massimo Poggini, e si prepara a calcare nuovamente i più importanti stadi d’Italia insieme a Jovanotti con un tour che lascerà il segno. Insieme per The Eyes Fashion, come mai prima d’ora.

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Vittoria, da quando The Eyes Fashion è partito, hai sempre cercato di dare il tuo contributo mettendoci anche la faccia. Come mai questa scelta?
Ho sempre avuto un debole per la moda. Mi piace la creatività, e la versatilità. Cosa che in questo progetto ho visto sin dall’inizio. Ho voglia, e sono orgogliosa, di far parte di questo giovanissimo team che mi insegna ogni giorno una cosa nuova, permettendomi di crescere insieme a loro.

Saturnino, tu invece come mai hai deciso di accettare di essere la parte maschile della cover di giugno?
Mi hanno sempre affascinato i nuovi progetti, cerco sempre di rendermi disponibile e di metterci la mia come posso.

Voi due invece come vi siete conosciuti?
S: Ci siamo conosciuti parecchi anni fa a un evento mentre io facevo un djset, ma poi ci siamo persi di vista per un po’…
V: Sì, ma poi ci siamo ritrovati!

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In che modo hai conosciuto Jovanotti?
S: E’ successo a Milano in un bellissimo studio di registrazione che purtroppo oggi non esiste più.
Siccome lo studio era molto vicino alla casa di Claudio Cecchetto, lo scelse per le registrazioni di Una Tribù Che Balla. Il proprietario dello studio, che io frequentavo, mi segnalò a Lorenzo, che all’epoca stava cercando una band.

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Il numero sulla quale siete in copertina, è intitolato When Music Meets Fashion: quanto la moda caratterizza la vostra vita e in che modo influisce sulla vostra musica?
S: Mi viene in mente una frase bellissima che ha detto Eric Clapton: ”Da quando inizi a guadagnare soldi con la musica, non finisci mai di comprare strumenti. Poi però ne hai troppi, allora inizi a comprare anche vestiti. Quando invece il guadagno diventa maggiore, inizi a comprare macchine, e poi case”. Io per adesso sono fermo ai vestiti (ride ndr).
V: Per me la moda è estremamente importante in ogni sfaccettatura, non la vedo superficiale come è per molti. E’ un modo di esprimermi, di approcciarmi alla vita, è viscerale.

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Saturnino, ho tra le mani il tuo libro. Come e quando hai sentito l’esigenza di doverne scriverne uno?
Il libro mi è stato proposto da un grande giornalista musicale che da anni si occupa di musica e di spettacolo per Rizzoli, che è Massimo Poggini. Un giorno mi ha chiamato e mi ha chiesto se ci avessi mai pensato, la mia risposta è stata semplicemente ”no, mai!”. A quel momento lui mi ha detto: ”Vediamoci, e conversiamo. Mentre registro, ti faccio delle domande e tu mi rispondi” e così è nato Testa di Basso. La cosa bella di questo libro è che non ha un inizio e una fine, lo puoi leggere un po’ nel modo che vuoi, come il libro delle risposte!

Qual è il capitolo che è stato una liberazione scrivere?
Direi che quello su Giovanni Allevi è stato catartico! Dopo dieci buoni anni passati ad ascoltare cazzate, è bene dare al pubblico una versione alternativa.

E il capitolo alla quale sei più affezionato?
Quello su mio padre. Ho amato raccontare di lui a una persona che non fosse di famiglia.

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Vittoria, sei uscita da poco da ”Forte Forte Forte”, il primo talent di Rai 1. Cosa pensi dei talent, e cosa credi debba succedere dopo?
Purtroppo adesso riuscire ad emergere senza un talent è praticamente impensabile, specialmente in Italia. Il mercato è sempre più saturo di talenti figli di televisione, che spesso hanno vita breve. Nonostante abbia partecipato a due talent, credo e sostengo la musica prodotta alla vecchia maniera, quella carica di passione, e non di audience. Filosofia che sto adoperando anche con il mio nuovo progetto.

Ti va di parlarcene?
V: Ho deciso di ripartire da zero. Nel mio cammino ho avuto la fortuna di incontrare dei formidabili musicisti con la quale ho deciso di intraprendere una nuova avventura chiamata Vittoria And The Hyde Park. Nuovo look, e soprattutto nuovo sound. Sono reduce da un mese passato a Los Angeles insieme a vari amici, dove ho anche avuto occasione di dedicarmi a della nuova musica che uscirà a breve. Vedrete, ne rimarrete sbalorditi!

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Stai per fare un nuovo tour negli stadi, che ti porterà per la terza volta a S.Siro. Cosa pensi cambierà dalle volte precedenti?
S: Quando affronti le cose con maggior consapevolezza, forse te la godi di più. Ne hai più tempo. E’ un po’ come il sesso, più lo fai, e più diventi esperto. Non devi però dare niente per scontato, le persone che ti sono a sentire hanno delle aspettative, e tu devi mettercela tutta affinché vengano rispettate.

 

Photographer ALESSANDRO LEVATI
Photographer’s collaborator ALESSANDRO VILLA
From an idea of FEDERICO LEDDA, ALESSANDRO LEVATI
Hair and Make Up EMANUELA CARICATO
Styled by FEDERICO LEDDA, VALENTINA M.
Production JOHNNY DALLA LIBERA, FEDERICO LEDDA
Graphic designer CRISTINA BIANCHI
Special Thanks to ANDREA CARBONARI @ DIRK BIKKEMBERGS
Location DIRK BIKKEMBERGS HEADQUARTER, MILANO

Sneakers #Addicted

di Federico Ledda
foto Alessandro Levati

Scure, colorate, alte, basse… La tendenza del momento è stare comodi, la tendenza del momento è la sneaker.

Portate al mondo principalmente per uso sportivo, abituati a vederle addosso a giocatori di basket, di tennis, e chi ne ha più ne metta, la scarpa da tennis, così chiamata ”all’italiana” è diventata un vero e proprio MUST: dai più piccoli ai più grandi, dalle fashionista alle celebrities, dagli stilisti agli imprenditori, sembra proprio che sia in atto la rivoluzione della comodità: non più tacchi chilometrici per lei, e non più scarpe laccate per lui. L’eleganza dell’uomo rinasce bensì dalla scarpa sportiva, cosa che sa bene anche la donna che al posto di un tacco chilometrico a un vestito sceglie di abbinarci una suola bassa, che seduce, ma in totale tranquillità.

E voi per che Sneaker siete? Ecco la nostra TOP 6 delle Sneaker MUST HAVE della stagione:

 

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ADIDAS ZX FLUX IN ESCLUSIVA DA FOOT LOCKER
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REEBOK ZPUMP
S3
ADIDAS TUBULAR
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ADIDAS ZX FLUX IN ESCLUSIVA DA FOOT LOCKER
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REEBOK INSTAPUMP FURY
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ADIDAS TUBULAR

WTF??? – #5 – CINQUE MODI PER RICONOSCERE UNO STRONZO

di Ludovica Borzelli (http://www.belou.wtf/)

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Gli stronzi sono ovunque: possono nascondersi dietro alla faccia paciosa del tuo postino, dietro ai modi falsamente gentili del tabaccaio di fiducia, dietro al sorriso tirato del tuo datore di lavoro, ma anche (anzi, soprattutto) dietro alle belle (e finte) parole delle persone che consideri amiche.
Come riconoscerli?
Ecco cinque comportamenti tipici dello Stronzo D.O.C.

1. Non rispetta le tue idee e i tuoi valori
Non fumi perché in famiglia hai avuto una perdita causata da un tumore ai polmoni? Sei uno
sfigato di merda, sempre ad ascoltare la mammina.
Sei buddista e lui è cattolico? Non capisci un cazzo, fanculo il Nirvana.
È normale avere idee diverse ed è normale discuterne, ma il rispetto prima di tutto. Se questo
viene meno, la persona che hai di fronte non merita la tua attenzione.

2. Cerca di metterti in imbarazzo davanti ad altre persone
Gli hai già detto svariate volte che ti senti a disagio quando racconta di quanto fossi sfigato/a alle
medie, ma lui continua imperterrito. “Ma come sei permaloso/a, sto solo scherzando!”, ti dice.
Certo ma, come si suol dire, il gioco è bello quando dura poco; e soprattutto c’è differenza tra un
amico che ride con te e uno che ride di te.
Probabilmente ti vede come una minaccia e crede che, mettendoti in cattiva luce, riuscirà a
spiccare.
Aiutalo a spiccare: tiragli un calcio e mandalo nell’iperspazio.

3. Ti dà buca sempre all’ultimo
Dovevate vedervi per una birra, ma dieci minuti prima dell’appuntamento ti chiama per dirti che
ha avuto un contrattempo e non potrà esserci. Okay, non importa.
Organizzate un secondo appuntamento e la storia si ripete. D’accordo, può capitare.
La terza volta che decidete di vedervi, arrivi in birreria e lui non c’è. Lo chiami e non si prende
nemmeno la briga di risponderti. “Magari ha avuto un problema serio”, ti dici.
Poi però apri Facebook e vedi che è appena stato taggato in una foto che lo ritrae in un altro
posto con altri amici.
Un “amico” che ti tratta in questa maniera non è abbastanza interessato a te; sei semplicemente
la sua ruota di scorta per quando non ha niente da fare.
Tronca i rapporti e lascialo a piedi quando una delle sue ruoti motrici si bucherà.

4. Quando ha bisogno di qualcosa cambia atteggiamento
Da qualche tempo cerca di essere gentile, è sempre disponibile ad aiutarti e ti fa un sacco di
moine. Che abbia capito di essersi comportato male e stia cercando di farsi perdonare?
Manco per il cazzo.
Si sta preparando a chiederti un favore, e spera che cambiando atteggiamento tu accetti di
aiutarlo.
Negaglielo, ma sii gentile: “Cortesemente, fottiti.”.

5. Ti sminuisce
Sei contento perché hai raggiunto un traguardo importante?
Lui ti dirà subito di averlo raggiunto molto più in fretta, o con risultati migliori dei tuoi.
O magari davanti a te si congratulerà, mentre alle spalle ti accuserà di essere raccomandato/a o di
aver fatto un cattivo lavoro. Forse perché sa di non poter arrivare al tuo livello.

Di’ la verità: leggendo questi cinque punti ti è venuta in mente almeno una persona che incarna
perfettamente lo Stronzo D.O.C., ho ragione?
Se così fosse, corri a chiudere i rapporti con lui!

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A PROPOSITO DI DAVIS

di Luca Rivolta APDD_manifesto_30c64dae2547320242320749c05e63fc

Bubu-settete. Eccoci tornati alle origini, al solito (e banale) appuntamento con un film che spacca. Questa volta davvero, non come le ultime due volte, nelle quali abbiamo parlato di cose un po’ inusuali per le nostre pagine. Oggi parleremo di A proposito di Davis, un film del 2013, diretto dai fratelli Coen. Se dovessimo inquadrarlo penso si avvicini al genere “drammatica commedia musicale”. Esatto, un film dei Coen, punto.

La premessa che va fatta è che spacca perché è dei fratelli Coen. Dai, sul serio, come può uscire qualcosa di deludente da quella testa? Una testa in due corpi, spacca per forza.

Sempre cercando di spoilerare il meno possibile, la trama è piuttosto semplice (“il film non aveva una trama vera e propria, e ciò ci portò a riflettere su questo punto, e fu per questo che inserimmo il gatto”): l’ambientazione è quella di una New York agli inizi dei ‘60, più precisamente il Greenwich Village, la capitale del rock, patria di artisti del calibro di Bob Dylan, Andy Wharol e Lou Reed. Come ben sapete quelli erano gli anni del boom folk, gli anni in cui Dylan incise Highway 61 diventando popolare in tutto il mondo. Ma questa, è solo la viglia. Il mondo, seppur per poco, non è ancora pronto ad accettare la musica di Llewyn Davis. È questa è la sua storia, o meglio, è una delle settimane della sua vita, ma l’emblema di essa, e un po’ anche l’emblema del visione dei Coen (chissà perché in questo periodo la parola emblema va così di moda). La storia presenta la temporalità ciclica e breve tipica dei Coen. Il film come inizia finisce. Llewyn, come nasce muore. Povero, così pieno e vero nelle sue parole, ma vuoto nella conclusione di ogni cosa. È la storia di un musicista, uno di quelli veri e completi, a cui non niente funziona, anche se per un momento sembra tutto girare per il verso giusto. Incide un disco di successo? Il suo collega si suicida e lui non ne guadagna quasi nulla. Il gatto delle persone che lo ospitano scappa per colpa sua ma poi riesce a ritrovarlo investendolo poco dopo. Un famoso produttore gli concede un’audizione? Al termine della emozionante ballata riesce solamente a sentirsi dire non si fanno soldi con quella roba”. Prova a fuggire da tutto e tutti imbarcandosi in marina? Perde il biglietto pagato con gli ultimi risparmi.

Il tutto immerso in una cinicissima atmosfera Coeniana, quasi al limite tra il comico e il grottesco. È una vita di stenti, ed l messaggio è uno dei più nichilisti della storia: Llewyn è perfettamente consapevole che lui sia la causa di tutte le sue sventure, ma è altrettanto consapevole che qualsiasi cosa faccia risulta del tutto inutile, che non esiste nulla, che l’esistenza stessa non ha un senso vero e proprio. Che fa schifo tutto, e basta, sia che tu ti dia da fare, sia che passi il tempo sul divano. Così inizia il film, e così finisce: in un quasi sconosciuto locale del Village, a suonare per poche mance. Nellultima scena del film, si intravede un personaggio che si esibisce dopo di lui con una canzone intitolata Farewell. Beh, la sua storia sapete com’è andata a finire.

Certo l’ambientazione in cui è inserita eleva la storia moltissimo, più che altro per la coerenza con cui si sposa col protagonista. Quale personaggio se non un musicista folk del Village può avere tali vicissitudini? È un matrimonio perfetto. Ma penso che l’unico matrimonio che rende perfetto il film sia quello (inconsapevole) tra Joel ed Ethan Coen. Nessun altro sarebbe riuscito a partorire qualcosa che assomigliasse anche lontanamente a tutto questo. Sarebbe rimasta sicuramente una bella pellicola musicale, ma nient’altro.

Da apprezzare senz’altro le citazioni a “Colazione da Tiffany” (uscito appunto nel 61), e le prove attoriali dei vari personaggi, compresa quella di Justin Timberlake, che per quanto mi riguarda rimane la persona che riesco meno a giudicare del mondo. Davvero, non riesco a capire se sia un fenomeno o un coglione.

E banalmente, non passa inosservata la colonna sonora, che riesce a soddisfare le comunque alte aspettative del film: non è facile inserire una colonna sonora originale in un film che parla di una della scene musicali più importanti di tutta la storia.

Il film riesce in tutto e per tutto, e spacca, perché riesce a essere un’opera d’arte, qualcosa che critica senza risultare una polemica, una ballata sull’amore, sull’arte, sull’industria, sul mondo e forse anche sui loro stesso prodotto.

Mi sa che se una sera dovessi uscire a bere con loro, mi sveglierei la mattina dopo nel loro letto.

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LA SFIDA GERARCHICA DI GENERE SESSUALE E LE NUOVE DONNE

di Valentina M.

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Dall’alba dei tempi, passando per il Medioevo e fino alla metà degli anni ‘90, la donna è sempre stata vista come una cuoca, casalinga e sfornatrice di flgli; in poche parole una Passiva. Dal canto suo, l’uomo, è stato costantemente classificato come il genere sessuale attivo e dominante, ossia il fico della situazione.

Poi qualcosa cambiò.

Infatti, dagli anni ‘60 vi fu un ondata di movimenti di protesta da parte del mondo femminile e omosessuale contro una società patriarcale; lo scopo era quello di mostrare al mondo la loro vera natura come esseri dotati di intelligenza e indipendenza. E proprio per questo, alcune nuove donne pensanti e indipendenti divennero artiste e sperimentarono un nuovo tipo di arte che, diversamente da quella precedente, aveva lo scopo di osare, far ragionare ma, specialmente, di scioccare.

Nacque la performance, un’esibizione fatta di azioni che scorrono nel tempo e, diversamente dalle altre forme d’arte vede nello spettatore e nelle sue reazioni il protagonista assoluto in prima persona.

OUR PERIOD.

Nel 2001-2005 Joana Vasconcelos, creò The Bride (La sposa), un magnifico e grandioso lampadario di 5 metri degno dei palazzi di Versailles. Cosa c’entra con la rivoluzione sessuale? Il lampadario è composto interamente di tamponi vaginali; ecco che un oggetto così poco aulico e vagamente schifato dall’uomo, diventa una bellissima opera d’arte.
Più che critica, è un grandissimo monumento alla vagina.

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CAROLEE’S SCROLL

In una delle opere più celebri di Carolee Schneemann, The Scroll, l’artista nuda e sporca di fango estrae una lunga pergamena dalla vagina e la legge al pubblico. Il testo è in parte un poema, in parte un manifesto e in parte alcune sue esperienze divertenti con il sesso maschile nel contesto artistico. Il corpo della donna, ma prima di tutto la vagina, si trasforma in opera d’arte e, allo stesso tempo, conoscenza pura… Ben lontana dalla visione puramente sessuale e riproduttiva che aveva in passato.

“I thought of the vagina in many ways– physically, conceptually: as a sculptural form,
an architectural referent, the sources of sacred knowledge, ecstasy, birth passage, transformation.
I saw the vagina as a translucent chamber of which the serpent was an outward model: enlivened by it’s passage from the visible to the invisible, a spiraled coil ringed with the shape of desire and generative mysteries, attributes of both female and male sexual power.
This source of interior knowledge would be symbolized as the primary index unifying spirit and flesh in Goddess worship.”

Carolee Schneeman

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DEATH SEX

Più forte visivamente è Meat Boy, performance dove uomini e donne si accoppiano circondati da animali morti squarciati; L’atto richiama un rito macabro ed erotico in rappresentanza delle arti sessuali estreme mentre si sottolinea la componente distruttiva, violenta e animale dell’essere umano. I corpi vivi si fondono ai cadaveri degli animali e diventano inespressivi e privi della loro soggettività.

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Con Vagina Painting (1965) Shigeko Kubota attacca l’arte maschile e mostra il suo sesso come apparato creativo più che puramente sessuale. L’artista, accovacciata a terra e muovendo ritmicamente le anche, riesce a disegnare sul pavimento tramite un pennello inserito nella sua vagina e precedentemente intinto nella tempera rossa. Ovviamente vi è un richiamo immediato al mestruo, ma anche ad alcuni lavori di Pollock in cui vi sono schizzi simil-eiaculatori.

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RED LIGHTS

Troviamo invece un’artista più aggressiva in Valie Export che, nel 1968 decise di entrare in un cinema a luci rosse con un mitra e un paio di pantaloni aperti sul davanti che mostrano al pubblico i genitali. Gli spettatori che guardavano il film non avevano il desiderio di essere spiati, la Export, invece, mettendo a loro disposizione il suo corpo, li sfida ad agire. Davanti a questa scena l’uomo entrava in uno stato di panico (l’opera si chiama appunto Genitalpanik), veniva messa a repentaglio la natura privata della sua sessualità; era diventato lui il passivo della situazione.

Sempre rivolta al tema del porno è la performance “Tapp-und Tast-Kino” (Tap and Touch Cinema).

Tra il 1968 e il 1971 la Export decise di camminare per strada indossando una piccola televisione di cartone, una scatola, attorno al suo corpo nudo nella parte superiore, in modo che il suo seno potesse essere visto. Chiedeva agli uomini di toccarle il seno, quindi di “attraversare lo schermo” e passare dal desiderio all’esperienza. Fu una vera e propria sfida per l’uomo, infatti solo pochi furono i coraggiosi che la toccarono. Lei era l’oggetto del desiderio fatto presente, ma non nella sfera privata, bensì in quella pubblica; con ciò offriva il suo corpo sfidando la sessualità alle proprie condizioni.

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THE RAPED

Forse una delle performance più forti e impressionanti della storia dell’arte è Rape/Murder di Ana Mantieda. In questa famosa opera, l’artista invitava il pubblico ad entrare nel suo appartamento; dalla porta semi aperta si poteva passare alla stanza principale e trovarsi davanti ad uno spettacolo terrorizzante; l‘artista priva di sensi e seminuda appoggiata al tavolo e sporca di (tempera color rosso) sangue. Lo spettatore si trovava ovviamente in uno stato di shock.
La performance richiamava un vero e proprio stupro, atto che accadde realmente nel 1973 ad una studentessa dell’università dell’Iowa, molestata e poi uccisa; la notizia oltraggiò moltissimo l’artista e da qui nacque Rape/Murder . Mantieda volle mostrare come la società riduca il corpo della donna in un oggetto in balia delle voglie e dei desideri maschili, spesso violenti e senza scrupoli.

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LA CATTIVERIA DEL PUBBLICO

Opera d’arte al limite della comprensione è Rhytm 0 di Marina Abramovich, performance avvenuta nel 1974 a Napoli. Marina mise in una stanza completamente spoglia un lungo tavolo con 72 oggetti sia di piacere (piuma, bottiglie, scarpe, ecc), che di dolore (fruste, catene, pistole e lamette, ecc) poi si sedette e fece entrare il pubblico.
Per 6 ore consecutive l’artista si privò della sua volontà e mise a disposizione in modo passivo il suo corpo al pubblico che, attraverso uno di questi oggetti, poteva interagire con l’artista in qualsiasi modo, guidato e al tempo stesso provocato dalle seguenti istruzioni:

Sul tavolo ci sono 72 oggetti che potete usare su di me come meglio credete: io mi assumo la totale responsabilità per sei ore. Alcuni di questi oggetti danno piacere, altri dolore.

Dopo qualche esitazione il pubblico napoletano diede inizio alla performance; le lamette vennero subito usate per ridurre in brandelli gli abiti di Marina e poi passate direttamente sulla pelle nuda dell’artista. Gli uomini le succhiarono il sangue dalle ferite e iniziano ad avere un approccio incline alla violenza sessuale mentre alcuni cercarono di proteggerla.
Estremo il momento in cui nelle mani dell’Abramovich venne messa la pistola carica, appoggiata al collo, con un dito della stessa artista appoggiato sul grilletto.

La performance più che arte è una indagine sulla natura umana, l’uomo, avendo la possibilità di fare ciò che desidera, da sfogo alla sua vera natura, che, a volte, è violenta e aggressiva.

La domanda è; cosa sarebbe successo se qualcuno non avesse fermato quelle persone? Fin dove si sarebbe spinta la violenza?

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