PAROV STELAR – THE BURNING SPIDER – THE REVIEW

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Sound nuovo per l’austriaco Parov Stelar che nonostante le aspettative dovute al suo successo All Night (platino in italia) stupisce tutti creando delle vibrazioni completamente nuove.

Un disco che promette di fare innamorare molte più persone alle produzioni dell’artista grazie alla ricerca di nuovi suoi campionati da Stelar, suo marchio di fabbrica da sempre.

Importanti le collaborazioni. Una su tutte quella con Muddy Waters in Soul Fever Blues, ballata che potrebbe diventare la colonna sonora della vostra prossima estate. Disco must have.

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TINIE TEMPAH – YOUTH – THE REVIEW

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Tinie Tempah is back e lo fa in grande stile. Dopo mesi, anni di attesa, è finalmente uscita la sua ultima fatica YOUTH. Successivamente a Demonstration e dopo il suo progetto Junk Food, il nuovo album si presenta come un disco maturo. Più degli altri. Testi meno superficiali, più sentiti e dalle vibrazioni tropicali/jamaicane il cantante inglese, che per anni è stato l’uomo più elegante secondo GQ, torna alle origini ispirando l’ultimo lavoro ai ritmi e ai grandi che hanno ispirato la sua infanzia. Importanti anche le collaborazioni, di spicco le tracce Text From Your EX con TINASHE e Not For The Radio con MNEK.

LAÏOUNG

di Federico Ledda

Copertina Facebook
È da tempo ormai che il mondo dell’hip hop è bombardato dalla musica trap. Dagli Stati Uniti all’Italia, da Travi$ Scott a Sfera Ebbasta, sono sempre di più gli artisti che emergono grazie a questa nuova contaminazione dell’hip hop. Sia chiaro, nuova per l’Italia, “normale” ormai per gli States. Lo sa bene Laïoung, il “personaggino” che trovate sulla copertina di The Eyes Fashion. Classe 1992, nato a Bruxelles da mamma sierraleonese e papà pugliese, Giuseppe Bockaire Consoli questo il vero nome, sta davvero facendo parlare di sé. Partiamo dall’inizio.

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Erano mesi che ci frullava per la testa di scattare un’artista di questo movimento. Tante erano le idee, ma come tali sono rimaste. Tempo fa mi compare su Spotify “Quello Che Voglio”, il singolo di Laïoung. Bam. Punto. Ne sono rimasto folgorato. Ho iniziato a seguire i suoi passi, ad annusarlo, a capire se potesse davvero essere interessante o se invece era solo un altro bluff dell’industria. Sono inciampato poi su “Ave Cesare” il suo primo album in italiano e su “Giovane Giovane” il singolo con Izi e Tedua. Folgorato. La storia di questo artista è pazzesca. Lui si definisce nomade e così mi piace pensarlo quando sento la sua roba. Cittadino del mondo, il ragazzone di quasi due metri ha vissuto in Francia, Canada, Stati Uniti, Belgio e Inghilterra. Grazie a questo, credo, ha sviluppato un’internazionalità unica nel suo genere, pubblicando ”Ave Cesare”, il suo primo disco in italiano, dopo averne già fatti tre in inglese. Il 21 di questo mese uscirà il suo nuovo disco, il primo sotto SONY e come se non bastasse è anche uscito il nuovo singolo “Vengo dal basso” con la collaborazione di Gué Pequeno.
Laïoung è unstoppable: scrive, produce e soprattutto, usa l’autotune con responsabilità.
Abbiamo portato lo tsunami nel collettivo ZAM dove per un pomeriggio ha veramente potuto fare “quello che voglio”. Cantava, ballava, suonava, faceva le flessioni… Mai mi sono divertito tanto a lavorare con un’artista e mai sono stato tanto ispirato da (quasi) un mio coetaneo.

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Hai una storia che nonostante la tua età, è già enorme. Quanto il tuo percorso ha influito sulla tua musica?
Ho cominciato a sentire quello che andasse in Italia a settembre 2016 dopo avere speso un anno in Canada. Quando ero là, ispirato, ho prodotto il disco “Ave Cesare”, il mio primo in italiano.

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Lo so, in due cazzo di settimane. È pazzesco.
Dovevo andare ad Atlanta da Toronto, ma non mi era stato concesso il visto.  Avevo lo spazio mentale per realizzarlo. Sentivo che fosse arrivato il momento di dire la mia. Ho rispolverato “Senza Nessun Dubbio” che avevo scritto nel 2014, ho lavorato ad altri sette pezzi, li ho mixati, masterizzati e poi l’ho “buttato” online. Finalmente in Italia ho pensato, ha cominciato ad andare il sound alla quale lavoro da nove anni. Finalmente parliamo la stessa lingua. Sono contento e sono molto ispirato da tutto quello che esce. Non vivevo in Italia per il semplice fatto che non venivo ancora capito. Adesso sono qui.

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Sei il fondatore della RRR Mob, il collettivo musicale che mette insieme i ragazzi di seconda generazione. Da dove nasce il progetto? 
Nasce nel 2012. Viene alla luce perché essendo io un nomade, ho famiglia ovunque. Ho cercato di portare in Italia dell’internazionalità musicale attraverso appunto, questo collettivo di giovani talenti che come me hanno una storia importante.

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Come hai scelto i membri?
RRR significa Real Recognize Real (Vero riconosce vero, ndr.). Conosco un sacco di artisti che spaccano ma che non sono veri. Quanto ci tieni davvero a spaccare, quanto sei disposto a sacrificare la tua vita per fare musica, è quello che a me interessa. Se sei bravo viene dopo, ma deve esserci cuore in ciò che fai.

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Fammi un esempio

Mi piace definire i ragazzi della RRR come i miei piccoli Frankenstein. Izi Noice, è il mio Frankenstein. La sua voglia di fare musica, molto ispirata dall’America e dalla Francia, mi ha motivato ad aiutarlo a mettere molta elettricità musicale nella sua dimensione. È quello che successivamente è successo con gli altri ragazzi che formano il movimento.

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Il 21 di questo mese esce il tuo secondo disco in italiano, dimmi di più 
Saranno due dischi. Uno sarà la ristampa di Ave Cesare. Con anche “Giovane Giovane”, e “Quello Che Voglio”. Ci sarà anche un nuovo disco con otto inediti che si chiamerà “Veni Vidi Vici”, e conterrà anche “Vengo Dal Basso” con Gué.

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Com’è stata la realizzazione di Veni Vidi Vici?
Ho prodotto dalla prima alla diciottesima canzone. In una ho collaborato con un’artista di Lecce che, tra l’altro è appena uscito il suo album dove ho collaborato con quattro produzioni e due featuring. Mi sono anche occupato della masterizzazione e del mixing.

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Chi è che ti ispira?
Per non focalizzarmi su cosa succede solo oggi, posso dirti che mi ispira tantissimo Lil Wayne.

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Come mai proprio lui?
Lil Wayne è il padre di un sacco di rapper. È grazie a lui se oggi l’autotune sta diventando cultura. Wayne ha iniziato a usare questo strumento perché non ha la migliore delle voci. Una volta disse: “non ho una delle voci migliori che possiate sentire, ma voglio fare le migliori canzoni che possiate sentire”. Questo concetto mi ha sempre ispirato.
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Parli diverse lingue. Quando pensi, in che lingua lo fai?
Bella domanda! Diciamo che dipende dall’ultima conversazione che ho avuto. Se parlo con mio padre, con te, penso in italiano, se parlo coni mio fratello, penso in inglese, se sono in Spagna, penso in spagnolo.

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E quando invece pensi un pezzo?
Quando penso a un pezzo, penso a una hit. Cerco di renderla il migliore possibile. Quando la realizzo penso sempre a coinvolgere chi l’ascolta, voglio che anche chi di solito non canta non riesca a stare fermo… Adesso sono in Italia e quindi produco in italiano, mi esce naturale.

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HELLO GREEN FASHION WEEK!

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Patrocinata dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con UNFCCC e organizzata da GD Major e dall’associazione no-profit FSA (Fashion Service Association), Green Fashion Week ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della sostenibilità e promuovere il percorso che l’industria della moda deve seguire per soddisfare gli obiettivi sottoscritti dai 193 paesi membri dell’ONU con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

GFW intende essere un punto di riferimento sui temi moda e sostenibilità, sia per gli esperti del settore che per chiunque abbracci la causa. L’iniziativa coinvolge stilisti e aziende internazionali che intendono promuovere il concetto di sostenibilità attraverso le loro collezioni e i loro prodotti, realizzati con materiali e processi produttivi sostenibili da un punto di vista ambientale, sociale ed economico. Tali collezioni sono la prova di come la moda ecosostenibile non debba scendere a compromessi con lo stile e l’eleganza. Green Fashion Week, infatti, fin dalla sua prima edizione ha raccolto aziende che volevano trasmettere stile, eleganza ed eccellenza nel campo del lusso, del comfort e del benessere, utilizzando materiali sostenibili.

In particolare, GFW si impegna a coniugare la qualità dei suoi prodotti con una profonda attenzione per la sostenibilità, ciò significa non solo l’adozione di strategie e processi produttivi che abbiano un impatto ambientale minimo, ma anche, cosa forse più importante, la ricerca di nuovi materiali e soluzioni innovative che migliorino la competitività dell’industria della moda in un mercato sempre più attento ai temi della sostenibilità e della circolarità delle risorse.

La prossima edizione di Green Fashion Week si terrà negli Stati Uniti dal 30 Marzo al 5 Aprile 2017. Los Angeles e Las Vegas saranno i protagonisti indiscussi di questa avventura green, che mira a diffondere consapevolezza sull’impatto della moda sull’ambiente, grazie a sei giorni di sfilate, eventi, feste, servizi fotografici, video, incontri, proiezioni e cortometraggi, in location uniche e sorprendenti.

 

A CHAT WITH THE WHITE MILANO CO-FOUNDER

di Federico Leddawhite-835

Creare una realtà importante e significante per la moda di tutto il mondo non è da tutti. Lo sa bene Brenda Bellei, co-fondatrice del White, il salone collaterale alla fashion week milanese che di anno in anno diventa una manifestazione sempre più rilevante. Il White sceglie per ogni stagione i brand emergenti e non più interessanti e meritevoli, offrendogli la possibilità di mostrare la loro collezione all’interno dell’evento.

Sono stato invitato a visitare il White per vedere con i miei occhi la freschezza che la fiera sta  riuscendo a sviluppare grazie ai sui designer. Insieme a me c’era Brenda Bellei, che mi ha spiegato come si mette in piedi una manifestazione così di rilievo…

Quanto il White è diventato importante per Milano?
Spero tanto. Il salone porta a Milano più di 25mila operatori a edizione. Senza contare gli espositori, collaboratori, stampa etc… Credo che portiamo molto alla città infatti, siamo gli unici ad essere patrocinati dal comune.

Nel corso degli anni il White è diventata una potenza mondiale. In che modo si è sviluppato?
Avevo 28 anni, e insieme a Massimiliano Bizzi abbiamo pensato a creare questa realtà. Sembrava una follia giovanile, mai avremmo pensato arrivasse a questi livelli… Ne siamo molto contenti.

Per che cosa sta ”WHITE”?
Abbiamo voluto scegliere un nome che non fosse un nome fieristico. Essenziale. Un po’ Margiela (ride, ndr.)

Quai sono stati i punti di forza che vi hanno portato fin qui?
Senza dubbio la passione e la dedizione per quello che facciamo. Facciamo tanta ricerca, scouting. Questo è importante. Sin dal primo giorno abbiamo sempre cercato di dare tutti noi stessi.

Come avviene lo scouting?
Viaggiamo tantissimo, in tutto il mondo. Visitiamo le fashion week internazionali, da quelle più importanti, a quelle più piccole e sconosciute. Andiamo nei negozi, visitiamo le altre fiere. Abbiamo poi un bacino di richieste che cresce sempre a dismisura. Da scouting e richieste selezioniamo i brand più consoni e li invitiamo al salone.

Qual è la metrica di giudizio per selezionare i brand?
Abbiamo una commissione composta di giornalisti e buyer. Insieme cerchiamo di studiare il brand in tutte le sue sfaccettature come ad esempio, la sua distribuzione, la copertura della stampa, in quali negozi è presente etc. Se invece il brand è emergente, incontriamo lo stilista, guardiamo gli schizzi…Abbiamo un team di tutoring che ci aiutano a capire e aiutano lo stilista stesso, a emergere.

Qual è il futuro del White?
Renderlo un prodotto sempre più internazionale. Stiamo lavorando tantissimo all’estero, portando brand internazionali, abbiamo brand Cinesi, Belga, Georgiani. Ci piacerebbe renderlo sempre di più una finestra sul mondo.

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COSMO MEANS HYPE

di Federico LeddaIMG_4946

Una cosa è certa: vedere Cosmo live è un’esplosione di energia clamorosa. Il concerto più che sold out di ieri sera ai Magazzini Generali di Milano lo ha confermato. Estrema potenza non solo da parte di Cosmo e dei suoi, ma anche dal pubblico che diciamocelo, era (in parte) il vero spettacolo. Il live si presenta come un live ben strutturato, con la band che non smette di suonare le basi elettroniche che tanto lo stanno contraddistinguendo nel mercato italiano. Scaletta iniziata con Cazzate e proseguita con il “masterpiece” L’ultima Festa con tanto di crowd surfing e di fan sul palco. Dal vivo Cosmo non ha limiti e dà tutto sé stesso. Da vedere assolutamente.

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ALBERT WATSON – THE ICON

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Dalla foto storica ritraente Steve Jobs utilizzata perfino da Apple, al poster di Kill Bill, siamo tutti familiari con i lavori di Albert Watson. Fotografo scozzese che dalla fine degli anni 70 ha creato vere e proprie opere d’arte che hanno rivoluzionato il mondo della fotografia per sempre. Alfred Hitchcock, Queen Elizabeth, 2Pac, Jay Z, Kate Moss, David Bowie, sono solo alcuni dei personaggi con cui Watson ha collaborato nel corso degli anni. Quello che rende la sua fotografia così riconoscibile, è il tratto essenziale, semplice, con il quale ritrae tutti i suoi soggetti.
Siamo stati al Museo della Permanente dove Watson stava lavorando alla preparazione della preview di KAOS, la sua mostra che sarà presentata poi al Palais De Tokyo di Parigi. Estremo perfezionista, il fotografo ha personalmente curato ogni singolo dettaglio della mostra. Dalle musiche (alcune dalla serie Gomorra, ndr.) alla disposizione delle opere.

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Come mai decidere di fare una preview a Milano di una mostra che sarà invece a Parigi?
Sì, la mostra completa sarà a Parigi, ma tornerà poi a Milano e aprirà al pubblico. Adesso ci sono solo 40 opere ma al suo ritorno saranno 300.

In quale modo hai deciso le 300 stampe e le 40 per la preview?
Ho cominciato da una selezione di 1000 immagini. Organizzandole in gruppi sono riuscito a eliminarne 100 e poi altre 100. Da quelle 800 la scelta è stata dura ma con calma sono arrivato a 300. Una volta selezionate, per esserne certo ho controllato ancora quelle eliminate. Sceglierne poi 40 per la preview è stato estremamente istintivo

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Da dove deriva il titolo Kaos?
Rappresenta semplicemente la frenesia che ha avuto un periodo della mia vita. Mi trovavo alla Couture Week di Parigi e un momento dopo al Cairo per scattare i pezzi di Tutankhamon. In Scozia a fotografare paesaggi, e poi a Hollywood a lavorare al poster di Kill Bill. Quello che fotografavo era caotico. Era moda, erano diamanti, erano paesaggi. Poteva essere tutto. Ecco da dove viene il termine. Rappresenta la mia vita.

Cosa preferisci fotografare di solito?
Se lavoro per due settimane con delle modelle, sono contento se poi devo stare in studio a scattare still life. Mi permette di staccare la mente e di concentrarmi su oggetti inanimati. Di solito cerco di alternare ogni mio lavoro in modo da avere sempre lo stesso piacere per ogni progetto.

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Qual è stata la persona con cui hai lavorato, che più ti ha ispirato?
Ce ne sono state diverse. Mi è piaciuto molto lavorare con Jeff Koons. E’ intellettuale, sofisticato e divertente come un bambino. E’ davvero intelligente. Ogni volta che ho la possibilità di passare del tempo con lui, è sempre un’esperienza unica. Un’altra persona che mi è piaciuta particolarmente è stata 2Pac.

David Bowie?
Una persona estremamente premurosa e di un’intelligenza disarmante. Un grande attore. Era capace a interpretare qualsiasi personaggio davanti all’obiettivo. Ho imparato tanto da lui. Un’altra persona che mi ha colpito tanto è stata Marilyn Manson.

Come mai?
Prima di diventare cantante era un mimo. In realtà si chiama Brian, ha creato Marilyn Manson per sfuggire dal mondo reale. L’ha fatto in un modo estremo, fuori dagli schemi. Geniale.

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Che cambiamenti hai notato da quando hai iniziato a lavorare come fotografo?
Adesso è tutto molto più spontaneo. In tanti hanno una macchina fotografica e tutti hanno un telefono che scatta fotografie. Mi piace tantissimo l’iPhone. Ti permette di scattare in modo semplice e immediato. Inoltre credo abbia avvicinato molte più persone alla fotografia.

Possiamo quindi dire che la fotografia è diventata mainstream?
Credo che sia ovunque. Per creare una grande fotografia hai comunque bisogno di una reale macchina fotografica e soprattutto, di saperla utilizzare. Vedo tanti fotografi improvvisati ultimamente. Lo fanno sembrare facile come guardare la tv…

E’ cambiato il tuo modo di fotografare?
Sì, ma non nel modo in cui credi. Una macchina fotografica digitale o a pellicola, non fa differenza per me. La digitale è come se fosse un auto sportiva mentre quella a pellicola è come la Rolls Royce. Sono diverse. La cosa interessante secondo me, è come sono cambiati i computer. Adesso puoi manipolare la realtà come un pittore può controllare l’olio su una tela. E’ davvero affascinante.

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JULIEN FOURNIE’ BACKSTAGE SS17 HAUTE COUTURE – PARIS

Pictures by: h7o7Films (Hadi Moussally & Olivier Pagny).
For more: www.h7o7Films.com & www.HadiMoussally.com

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Siamo stati nel backstage della sfilata Haute Couture di Julien Fournié a Parigi. Lo stilista ha presentato la prossima Primavera-Estate nello storico Oratoire Du Louvre. Sofisticata bellezza mischiata a estrema femminilità, hanno fatto dello stilista un’icona ammirata perfino da Victoria’s Secret, che spesso collabora con lo stilista per le sue sfilate.

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CHEF RUBIO – FISH CHIP

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Solitamente, nelle introduzioni delle mie interviste, cerco sempre brevemente di spiegare chi è l’intervistato. Ma veramente, chi non conosce Chef Rubio? Al secolo Gabriele Rubini, guadagna popolarità grazie al programma sullo street food Unti e Bisunti. Da lì il boom, che lo fa approdare di recente su Canale 9 con l’irriverente programma Il Ricco e Il Povero. Impegnato anche in diverse attività benefiche, quello che emerge conoscendolo di persona è il suo cuore grande. Grande quanto la sua passione per il Rugby che lo accompagna da tutta la vita. Gabriele è anche il commentatore a bordo campo durante i match del torneo Sei Nazioni, in diretta questo mese su Canale NOVE. Dove potevamo portarlo quindi, se non a fare due lanci?

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Chi è Chef Rubio? Dove finisce il personaggio e, dove inizia Gabriele?
Chef Rubio è Gabriele. Si alternano. Quando c’è bisogno di sfacciataggine esce Rubio, quando invece deve emergere discrezione, ci pensa Gabriele. Adesso è diventata però una cosa abbastanza ibrida, non c’è praticamente più distinzione tra i due. Prima c’era una necessità di racconto che con la crescita è diventata appunto, meno importante.

Se dovessi descriverti con una parola?
Ossimoro. Sono fatto di contrasti.

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La tua passione principale quindi? Cucina o Rugby?
La cucina è una necessità vitale. Il Rugby è uno sport che mi rimarrà dentro tutta la vita.

Ti ha segnato?
Più che segnato mi ha formato.

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Sei l’inviato a bordo campo del Sei Nazioni. E’ la prima volta che ti viene affidato un simile compito?
E’ la prima volta che mi dedico totalmente a questo. E’ una bella esperienza.

Come la stai affrontando?
Di sicuro non con il dolcevita! (Siamo sul set e siamo pronti a scattare, ndr.) L’affronto tranquillamente, conoscendo buona parte dei giocatori. Anzi, con alcuni di loro c’è un grande rapporto di amicizia da anni. Quando sono a bordo campo, cerco di fare emergere il loro lato umano, non tanto quello da giocatori.

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Ami viaggiare. Il tuo ultimo programma Il Ricco e il Povero è infatti, basato anche su questo. Quanto cambia la mentalità viaggiare?
Credo si nasca con l’attitudine al viaggio. Di sicuro crescendo la si affina. Sin da ragazzino ho avuto la passione di andare in giro, di scoprire posti, cultura e persone diverse da me.

Qual è la meta dove andare almeno una volta nella vita?
Nuova Zelanda, Islanda o Azzorre. Sono le migliori realtà paesaggistiche che abbia mai visto. Sicuramente la Nuova Zelanda è più completa ed è quella dove ho più ricordi. L’Islanda e le Azzorre hanno dei paesaggi che sono quasi fantascientifici dalla bellezza. E’ impossibile sceglierne solo una. Da vedere tutte e tre. Assolutamente.

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Il posto dove non andare mai?
Cuba. Ci sono stato di recente. E’ un discorso molto complesso che non si riuscirebbe a riassumere in una risposta. E’ un’isola in cui qualcuno ha giocato con il popolo e lo ha reso schiavo. E lo è tutt’ora. Non incoraggerei un sistema del genere andandoci a fare il turista.

Quali sono i tuoi gusti musicali?
Vengo dal Metal, cresco in parallelo con Punk e Grunge, interessandomi poi all’hip hop e al mondo rap. Ho sempre sentito tutto. Avendo adesso amicizie che cantano in gruppi hip hop, rock, indie etc. mi viene spontaneo ascoltare ancora di più ogni genere musicale. Non mi precludo nulla. C’è tanta bella roba, ma c’è pure tanta ‘monnezza.

Dopo il torneo cosa farai?
Sicuramente tanto lavoro. Ho tanti progetti da continuare e da terminare. Non sarà un momento di riposo. Riposare è difficile quando il tuo lavoro è la tua passione.

 

 

HEY ROSSELLA BLINDED! WHAT’S IN YOUR TOUR BAG?

di Federico Ledda
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E’ di Milano, ma sta conquistando tutto il mondo con i suoi sick beat. Lei è Rossella Blinded: professione deejay o, come direbbe Fatty Wap: trap queen. E’ proprio così che si descrivere al meglio Rossella. Definita uno dei prodotti più interessanti in uscita dall’Italia, la deejay è anche speaker radiofonica. La potete sentire su Bass Island Radio, la radio Drum n Bass per eccellenza. Molti sono stati gli ospiti con la quale Rossella ha avuto a che fare, tra cui Flux Pavillion e Borgore. Reduce dal suo primo tour americano abbiamo sbirciato dentro la sua tour bag, ecco i suoi musi have!

Schermata 2017-01-30 alle 18.34.47Adidas Originals SST Track Metal Jacket
Adoro Adidas da una vita e questa track jacket è perfetta sia da usare quando sto suonando o facendo il soundcheck nei locali più freddi oppure come una giacca stilosa quando esco la sera o durante il giorno!

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Dolly Noire Black Beanie Pom Black
Ho sempre freddo (sul serio… tranne ad agosto diciamo…) e raramente riesco ad uscire fuori di casa senza un beanie. Quello che uso e amo di più in questo periodo è quello nero di Dolly Noire. Super caldo e super in tono con il mio stile street.

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Nike Air Zoom Pegasus Black/Gold
Amo sentirmi comoda quando cammino o quando sono in tour tra aerei e treni da prendere. Anche quando suono cerco questo comfort, salto sempre, in continuazione e le Nike Pegasus sono tra le mie sneakers preferite. Potrei saltare per ore con queste ai piedi e le uso molto spesso anche in palestra!
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Puma Net Top Sweater Black
Questo top della puma unisce il comfort ad un stile street wear pazzesco! Quando esco lo uso con una gonna, solitamente con quelle al ginocchio, o con i leggins quando suono. Super fresh in entrambi i casi.
Schermata 2017-01-30 alle 18.44.37Sapopa Emana Leggins Black  and Poppy Bra Black.
Questi capi per me sono essenziali per due ragioni. Primo per dare un tocco femminile ai miei outfit quando suono. Secondo per tutte le volte che trovo una palestra in hotel e posso approfittarne per fare yoga o allenarmi, il materiale di cui sono fatti è unico e ha una flessibilità e leggerezza mai vista! 

 

 

THE BEST FROM HAUTE COUTURE SS17

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È terminata ieri la settimana dell’Haute Couture di Parigi, durante la quale si è presentata la Spring Summer 2017. Dalle passerelle, attraverso i vari stili dei brand, è emerso un filone comune: stupire. Stupire con estrema eleganza, come ha saputo fare Alexis Mabille, Valentino e Galia Lahav. Stupire con opulenza come è stato per Guo Pei o, andare completamente contro tendenza presentando una collezione vera, sincera, come ha fatto Demna Gbasalia per VETEMENTS. Ecco i dodici migliori look secondo The Eyes Fashion.

Alexis Mabille, Fashion Show, Couture Collection Spring Summer 2017 in Paris
Alexis Mabille
Galia Lahav, Fashion Show Couture Collection Spring Summer 2017 in Paris
Galia Lahav
Maison Margiela, fashion show, Couture, Spring Summer, 2017, Paris, NOWFASHION
Maison Margiela
Vetements, fashion show, Ready To Wear Collection, Fall Winter, 2017, Paris, NOWFASHION
VETEMENTS
Guo Pei, Couture, Spring Summer 2017 in Paris
Guo Pei
Valentino, Couture, Spring Summer 2017 in Paris
Valentino
Dior Cuture Collection Spring Summer 2017 Paris Fashion Week NYTCREDIT: Gio Staiano / NOWFASHION
Dior
Celia Kritharioti, Fashion Show, Couture Collection Spring Summer 2017 in Paris
Celia Kritharioti
Julien Fournié, Fashion Show Couture Collection Spring Summer 2017 in Paris
Julien Fournié
Chanel, Couture, Spring Summer 2017 Fashion Show in Paris
Chanel
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Ziad Najad
Viktor & Rolf, Couture, Spring Summer 2017 in Paris
Viktor & Rolf

GREEN DAY DESTROYED MILAN

di Federico Ledda

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Concerto epico quello tenutosi sabato dai Green Day a Milano. Uno show rivoluzionario, ispirato a Revolution Radio, loro ultimo album uscito lo scorso ottobre.
È stato tutto perfetto, curato nei minimi dettagli. Perfino il warm up era grandioso e, soprattutto, semplice. Bohemian Rapsody a tutto volume. È bastato questo e l’aiuto di un coniglio-mascotte viola gigante a caricare la folla a dovere prima dell’arrivo della band. Lo show è durato oltre due ore, e ha percorso la storia della band attraverso i brani storici come “Basket Case” e “Holiday”, oltre a quelli dell’ultimoa fatica. I Green Day sono formidabili, specialmente grazie a Billie Joe, il front man e instancabile talento. Per due ore nette suona senza nemmeno una pausa. Salta. Corre. Canta, perfettamente. Interagisce. Eccome se interagisce! Invita i fan sul palco, li fa cantare e poi buttare con dei divertenti crowd surfing e ad una fortunata regala pure la sua chitarra, dopo averla scelta per suonare la  durante “She”.
Nella scaletta non sono mancate nemmeno le cover come Satisfaction dei Rolling Stones e la travolgente Shout degli Isely Brothers. Bellissimo l’omaggio a George Michael con l’esecuzione dell’intro di “Careless Whisper” da parte del sassofonista della band. Lo show ha chiuso con American Idiot, prima di un encore acustico da parte di Billie. La band tornerà a suonare in Italia questa estate, affrettatevi!

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Il pop dei Baustelle

di Federico Ledda_K1A8540

Ho sempre ammirato i cantautori italiani che, a mio parere, sono, e soprattutto sono stati,  un vanto di questo Paese. Ci sono stati sicuramente tempi migliori (vogliamo parlare dei ’70?) per questo genere  di musica, eppure qualche raro esempio emerge ancora, e proprio per questo è particolarmente interessante. Uno fra tutti? I Baustelle, il loro nuovo disco: L’amore e la violenza, vira tra pure ispirazioni pop alla Viola Valentino a veri e propri racconti di guerra. L’ album, della band di Montepulciano, è un disco cinico, malinconico, sincero e musicalmente maturo.  Arriva dopo una pausa, durante la quale Francesco (Bianconi – voce, chitarra e tastiere,  ndr.) ha pubblicato la sua ultima opera letteraria La Resurrezione Della Carne , mentre Rachele (Bastreghi – voce, tastiere e percussioni ,ndr.) ha dato vita al suo primo progetto da solista intitolato Marie.  Le tracce must listen sono: Basso e batteria, L’era dell’acquario, Il Vangelo di Giovanni.

Come nasce il titolo dell’album? 
Generalmente scriviamo prima la musica, passando poi a scrivere i testi. Da un paio di dischi a questa parte io ho invece puntualmente il blocco dello scrittore. Mi trovo davanti queste ”caselle” da riempire e penso di avere già detto tutto nei dischi precedenti. Quindi mi blocco. Uno stratagemma per evitare questo, è, banalmente, darsi dei temi sulla quale lavorare. Per ricercare i temi del nuovo disco, ho dato un’occhiata al mondo, e l’ho trovato in guerra. Quindi, parte dall’idea di guerra. Una guerra diversa da quella a cui siamo abituati. Che entra nell’intimo. L’idea è quindi stata quella di pensare a delle canzoni d’amore in un ipotetico tempo di guerra. Ecco quindi il titolo L’amore e la violenza.

Quali sono state le ispirazioni principali durante la lavorazione?
L’ispirazione è arrivata da Jaques Prévert e da altri poeti autori di liriche d’amore in un contesto di guerra.

In che modo avete lavorato sulle produzioni? C’è un grande distacco dal disco precedente. Come è andata?
C’è un utilizzo, oserei dire dogmatico, di strumenti di una volta. Come diceva Umberto Eco, a volte la storia cammina all’indietro. Ci sono delle tecnologie che sono state inventate nel 1942, che risultano all’avanguardia ancora oggi. Noi crediamo che una canzone sia fatta dalla melodia, dagli accordi, dall’armonia ma anche dal suono e dal timbro con cui viene suonata. Che cambia totalmente in base allo strumento con la quale la suoni. Durante la lavorazione abbiamo infatti giocato tanto con i sintetizzatori analogici, inventati decine di anni fa ed estremamente complessi nell’utilizzo. Che non sono però tutt’ora comparabili alla loro versione tecnologica. Due suoni estremamente diversi.

Il singolo di lancio dell’album, rende omaggio a un personaggio pop iconico. Che cosa simboleggia nella canzone, il personaggio di Amanda Lear?
La canzone è cervellotica. Volendo, Amanda Lear non c’entra niente. Parla di una storia d’amore tra un uomo e una donna. Stanno insieme. Si amano. Lei però continua a ripetersi che niente dura per sempre. Preferisce bruciare subito, piuttosto che durare in eterno. Lui prende alla lettera questa sua filosofia spicciola, e la tradisce con la prima che passa, in sostanza. Questo ”plot” che ti ho raccontato, nella canzone viene raccontato con un doppio flashback, comincia con lui che si rivolge a questo amore. Poi, ti facciamo sapere nel pre ritornello dove si trova lei in questo momento. Sembra quindi che sia lei la cattiva, in realtà, nel secondo flashback vediamo che è lui l’infedele. Amanda Lear c’entra perché nel mio racconto, lei fa sempre la similitudine del LP: ”dobbiamo essere come un LP di Amanda Lear, il lato A e il lato B.

Partirete anche in tour che, per la seconda volta sarà nei teatri. Come mai?
Non è stata una scelta facile. Mentre con Fantasma (l’album precedente, ndr.) è stata una scelta naturale, essendo il disco suonato con un’orchestra. Questo no. Il teatro però è una dimensione che ci piace. Stiamo preparando un live che inizia presto, e finisce presto, in modo da catturare il pubblico. Speriamo che piaccia a tutti.

COVER ALBUM

 

 

MAKE THE EYES FASHION GREAT AGAIN!

Copia di copertina 2

È tempo di cambiare musica.
E’ il proposito principale di The Eyes Fashion per il nuovo anno. Siamo cresciuti. Sono cresciute le persone che credono in questo progetto, e sono cresciuti anche i lettori. Per numero ed età.

La scelta di iniziare il 2017 senza soggetti in copertina, è una decisione coraggiosa, ma voluta con determinazione. Una scelta di evoluzione.

Lo strillo “Make The Eyes Fashion great again“, fa infatti il verso al più noto slogan di campagna elettorale utilizzato dal, purtroppo, nuovo presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump. Gli ultimi mesi dello scorso anno non sono stati facili per il mondo intero che, oltre alla Trump-presidenza, ha visto spegnersi tante icone musicali che da sempre hanno influenzato l’espressione artistica del magazine e, più nel profondo,  di tutti .

Serviva quindi una nuova rinascita: a new beginning tanto per stare in tema.

Per rendere The Eyes Fashion great again, ci impegneremo tanto, e tanti saranno i cambiamenti.

Aspettatevi tutto. Non aspettatevi niente.

Federico Ledda

Copia di PROVA COVER-2

BARBARA ALESINI AT ESSENZA

Siamo stati insieme alla deejay (e nostra ex covergirl) Barbara Alesini alla data zero di ESSENZA, l’evento-esperienza che punta il coinvolgimento di tutti i sensi (dal tatto a, soprattutto, l’udito) come non li avete mai utilizzati. Ecco il nostro racconto attraverso l’ombra di Barbara.

Non siete venuti?

Non temete, ESSENZA torna presto.

(foto Alesandro Levati)

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Hello Sem&Stènn!

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Eleganza, fashion e buona musica. E’ questo il mix perfetto creato dal duo che sta facendo impazzire e ballare tutta la nightlife milanese e non solo. Con la loro musica Sem&Stènn stanno riuscendo a trasmettere un nuovo messaggio di unità e di parità farcito con musica prodotta in modo impeccabile. Gli abbiamo conosciuti fuori dal concerto di Dua Lipa e ci hanno catturato con la loro musica!

Come nascono Sem&Stènn?
Nasciamo nel lontano 2006, conoscendoci in un blog di musica, quando praticamente uscivamo dalla scuola materna. Nel 2011 ci incontriamo (finalmente) fisicamente a Milano, dove sboccia l’amore e ci trasferiamo per studiare e lavorare. Da li a poco è emersa timidamente la voglia di fare musica insieme. Ci iscriviamo al corso di Electronic Music Production, in NABA. In occasione di una festa dell’Accademia ci troviamo per la prima volta una console davanti per fare un djset di fronte a un centinaio di persone. Non avevamo mai pensato all’idea di fare i dj, eravamo li per imparare a produrre. Pur non conoscendo il 90% dei tasti di quella macchina è andata discretamente bene e ci siamo divertiti molto. Pensavamo che, finché non avessimo pronte delle nostre produzioni, potesse essere un modo carino per condividere la nostra musica. Da li si sono presentate diverse occasioni. Poco meno di due anni fa abbiamo preso in mano la nostra tastiera midi e avevamo capito che era il momento giusto di fare la nostra musica.

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Quanto la cultura pop influenza la vostra musica?

Siamo noi stessi fatti di sostanza pop. Essere pop spesso è una pessima nomea, come se si fosse cheap, banali, o meno “arte” . Molti artisti si distaccano da questo attributo, quasi inorriditi. A noi non dà fastidio, anzi. In realtà essere pop, e farlo bene, è difficile, richiede capacità di rinnovarsi, di trovare ispirazioni nuove ogni volta, di soddisfare un pubblico molto più ampio. Il pop non è tutto per noi, c’è anche dell’altro, in realtà c’è un po’ di tutto. Nel momento di produzione ci si muove d’istinto e il risultato finale non sai bene da dove venga…ma sai che l’hai fatto tu.

Il vostro duo nasce a Milano. Altre città che vi ispirano?
Abbiamo avuto la possibilità di viaggiare poco, a dire il vero. Ma sicuramente, ragionando per immaginari, direi New York – se ci fosse una macchina del tempo che ci riportasse a fine degli anni ’70, con il boom della DiscoMusic, la nascita del Vogueing e della Black Music, ancora meglio – e Parigi, per lo scenario di musica elettronica contemporaneo che ammiriamo molto.

9p6a6179Che musica influenza maggiormente il vostro sound?
Il nostro album celebra la nostra identità e come tale ha qualche rimando agli anni ’80, ma anche alla scena dance dei primi anni ’90 e a quella elettronica del nuovo millennio. E’ di grande ispirazione il Synth pop degli anni ’80, la musica elettronica francese e quella nord-europea di artisti come i Pet Shop Boys, Depeche Mode, Basement Jaxx, Robyn, Sebastian, MGMT, Years & Years, Daft punk e molti altri.

Partirà un tour del vostro progetto?
Siamo in fase di programmazione. Molto presto annunceremo le prime date. Nel frattempo, usciranno i remix di Baby Run e Jewels&Socks. E’ stato bello collaborare con altri produttori e sentire i nostri brani mescolarsi con nuovi sound.

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Photographer: Jusher Avain

Styling & Make Up: Pablo Garcia, Ignacio Muñoz

 

ROSE VILLAIN IN ITALIAN PSYCHO

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Di chi è la voce ammaliante che canta insieme a Salmo nel suo ultimo singolo Don Medellín? Chi sentendo la canzone, o magari, vedendo il video non si è posto questa domanda almeno una volta? Il video, che su YouTube ha raggiunto oltre tre milioni di visualizzazioni in sole due settimane,  vanta la collaborazione di un volto fresco, nuovo. Il suo nome è Rose Villain, è del 1989, di Milano e vive a New York. Abile nello scrivere si sta facendo conoscere per l’originalità dei suoi testi che insieme a degli arrangiamenti cosmici la rendono di rilevanza internazionale.  Per adesso ha rilasciato due canzoni sul suo canale VEVO: ”Get The Fuck Out Of My Pool” e ”Gheisha”. The Eyes Fashion l’ha incontrata per capire meglio chi è e qual è il suo background. Per farlo però le abbiamo fatto interpretare una nuova versione di Patrick Bateman, protagonista di American Psycho, suo film preferito.

1Si sa ancora poco su chi è Rose Villain. Racconta chi sei, Rose Villain è il tuo vero nome?
Il mio vero nome è Rosa ma fin da piccola mi chiamano tutti Rose, colpa di Titanic. Villain invece viene dal nome di una cover band punk che avevo a Los Angeles, The Villains e, alla Ramones, avevo assegnato a tutti il cognome.

Sei di Milano ma vivi a New York, come ci sei arrivata?
Appena dopo il liceo mi sono iscritta al conservatorio di musica di LA. Poi, dopo qualche anno, ho fatto studi di teatro e musical a Broadway e mi sono innamorata di NY, dove vivo da sette anni.

2Quali sono le differenze più grandi tra l’Italia e l’America? So che è sbagliato chiedertelo, ma dove ti senti a casa?
Mi sento a casa a NYC. Sono cresciuta a Milano ma le vere esperienze le ho fatte lì: casa da sola, lavoro, musica, amore… l’italia è un gioiellino tra cibo, natura e città, davvero unica. New York, che è molto diversa dal resto dell’America, è un centro pulsante di ambizione, energia e passione. In Italia manca un po’ la morsa ma in America manca un po’ la cultura.

Come è iniziata la tua carriera? Che tipo di collaborazione c’è con Machete?
Sono un paio d’anni che scrivo pezzi con producer americani ma, finché non ho incontrato a Manhattan l’italianissimo Sixpm, il mio producer, non ho trovato il mio suono. Lui ha veramente capito chi sono, cosa voglio trasmettere e ha trasformato le mie idee in musica. Infatti mi ci sono fidanzata. Tramite lui ho iniziato a registrare alcuni pezzi negli studi Machete ed è nata una bella sinergia: in Italia mi rappresentano loro.

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Ti sei fatta conoscere dal mondo rilasciando “Get the fuck out of my pool”, “Geisha”, e ora la collaborazione “Don Medellín” con Salmo. Qual è il processo di nascita di una tua canzone?
Inizio sempre da un concept, un titolo che spesso è suscitato da sogni, immaginari, film e libri. Mi piacciono il pulp e l’horror, il kitsch e l’eleganza, e ogni pezzo deve essere bilanciato alla perfezione come una ricetta.

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Qual è la risposta che sta dando il pubblico alla tua musica? Da dove arriva il maggiore supporto?
Beh, devo dire che ho l’approvazione di molti. Sono molto felice che si sia capito che voglio fare qualcosa di grande ed eventualmente portare in italia una ventata di internazionalità. Su Spotify i maggiori ascolti arrivano dagli USA, da Hong Kong e dal Brasile.

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Hai di recente dichiarato di avere firmato un contratto con Universal Europa, what’s next?
Eh, adesso inizio a farmela sotto. Lavoreremo un paio di singoli, probabilmente GTFOOMP per primo e verrà spinto in tutta Europa. Germania, Francia, UK si alleano per la terza guerra “musicale”.

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Cosa significa per te essere la covergirl del mese di dicembre di The Eyes Fashion?
È la mia prima copertina, quindi The Eyes Fashion rimarrà nel mio cuore e se faccio il botto vero rimarrà nella storia!

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WHEN VANS MEETS TOY STORY

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Vans, il marchio di scarpe e abbigliamento sportivo dallo stile unico, celebra i personaggi originali del film d’animazione Toy Story nella sua nuova collezione firmata Toy Story Disney•Pixar. Un omaggio ai giochi preferiti di Andy nell’ampio assortimento di calzature per adulti e bambini, oltre a capi d’abbigliamento e accessori per le prossime vacanze.
Toy Story debutta nel 1995, affascinando generazioni di bambini e famiglie in tutto il mondo con le avventure di un gruppo di giocattoli che si animano quando gli adulti non sono presenti. Vans ripercorre le nostalgiche dinamiche fra i personaggi principali del film, Sheriff Woody, Buzz Lightyear e il loro gruppo di amici, in un’esclusiva collezione di calzature, abbigliamento e accessori.

Vesti i panni di Buzz Lightyear, lo space ranger dello Star Command, grazie alle Sk8-Hi Reissue! Indossa questo paio a luci spente e vedrai stelle e decorazioni illuminarsi al buio! I fan Disney•Pixar potranno sfoggiare il loro look Buzz Lightyear personale con il modello Old Skool, realizzato con tomaie in pelle bianca e verde, in tinta con la tuta spaziale di Buzz. Guardale da vicino e scoprirai le viti decorative disegnate a mano, gli occhielli colorati e la suola viola tono su tono.

La collezione Toy Story Disney•Pixar di Vans sarà disponibile a partire dal 29 novembre online e negli store europei di Vans oltre che sullo store online di lifestyle leader nel mondo YOOX.

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WITHOUT PLACEBO I’M NOTHING

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Ieri sera a Milano si è svolto uno dei concerti più attesi di tutta la stagione: quello dei vent’anni di carriera dei Placebo.
Live celebrativo per festeggiare ”il loro compleanno” come Brian Molko e soci hanno definito più volte durante la serata, è stato uno show con la quale il titolo del loro ultimo disco, un best of, si sposa benissimo: ”A Place For Us To Dream”, e così è stato.
Lo show è durato oltre due ore, e la scaletta è stata un viaggio che ha fatto sognare i numerosi fan. La setlist, iniziata con ”Pure Morning” e finita con la cover di Kate Bush ”Running Up That Hill”, ha anche saputo sorprendere con canzoni come ”Space Monkey” e ”Without You I’m Nothing” che la band non eseguiva dal vivo da tempo, ma c’è stato tempo anche per le loro hit più famose come ”Special K” e ”Bitter End”.
Il concerto è stato uno show fatto bene, quasi impeccabile, come non se ne vedevano da tempo. Si vede che la band non ha perso la passione, così come non la hanno persa i fan che hanno cantato dalla prima all’ultima parola.
La promessa di Molko è stata quella di tornare con il prossimo tour, noi ci speriamo.

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